Scatti utili a presentare l'ambiente naturale e le modificazioni che esso ha avuto nel tempo, e documenti che si riferiscono espressamente ad opere di trasformazione dell'ambiente naturale.
Prima della cascata davanti a casa Pisoni "Biasi", illustrata nella prima foto, una parte dell'acqua veniva deviata su una canaletta in pietra per azionare le ruote idrauliche poste su questo edificio.
La roggia si allontana poi dalla casa, visibile sullo sfondo della seconda foto, incuneandosi con una serie di cascate nell'orrido della val dei Canevai.
A dirla correttamente si tratta di un mazzetto di "Stipa pennata" o "lino delle fate piumoso", pianta perenne poco diffusa in valle, che fiorisce tra maggio e luglio. Le spighette esposte al sole e al caldo si aprono diventando piumose.
Nelle foto si vede lo stesso mazzo nelle due diverse situazioni.
Lo si usa per addobbare i cappelli tirolesi insieme all'immancabile piuma, ma quello che riportiamo qui è il gioco dei "boacéti".
Emanuele Pisoni, classe 1948 di Calavino, lo faceva da bambino con gli amici.
I ragazzi preparavano un mazzetto di quest'erba che cresceva solo in un luogo a Calavino, lo intingevano nella calce conservata nel “calcinèr” e lo lanciavano sul muro di una casa. Si spiaccicava e rimaneva attaccato per breve tempo alla parete come una “boàcia” (escremento di vacca), di qui il nome del gioco. Vinceva chi la faceva rimanere più tempo sulla parete. Gli raccontavano che quelli più vecchi di lui li intingevano proprio nelle "boàce".
Ci conferma questa versione Dolores Zuccatti, classe 1933 di Ciago, che andava con la sua amica Luigia poco sopra il paese a ricercare quest'erba particolare e difficile da trovare, che chiamavano "molina". Ne raccoglievano uno stelo qua ed uno là, finché riuscivano a farsi il loro mazzetto. Rientrate in paese, infilzavano gli spuntoni sporgenti dalle spighe nelle "boàce", che si trovavano frequenti nelle vie sterrate o selciate, e si divertivano a lanciarle lontane.
Con questo video Ecomuseo, con la collaborazione del Coro Valle dei Laghi e dell'antropologo Luca Pisoni che ci guida alla riscoperta di piccoli segni, lasciati dai pastori. È uno dei sei video del progetto "Ciak si gira in Valle dei Laghi" finanziato dal Primo bando CARITRO per il volontariato culturale 2021 e dalla Comunità di Valle ed integra le proposte di Ecomuseo della serie:
Con questo video Ecomuseo, con la collaborazione del Coro Valle dei Laghi e della geologa Tiziana Dallapè, offre alcune informazioni di base sulla geologia della Valle dei Laghi. È uno dei sei video del progetto "Ciak si gira in Valle dei Laghi" finanziato dal Primo bando CARITRO per il volontariato culturale 2021 e dalla Comunità di Valle ed integra le proposte di Ecomuseo della serie:
Con questo video Ecomuseo, con la collaborazione del Coro Valle dei Laghi, offre una visione di ciò che la natura regala in Valle dei Laghi, grazie alla grande varietà climatica che la caratterizza.
È uno dei sei video del progetto "Ciak si gira in Valle dei Laghi" finanziato dal Primo bando CARITRO per il volontariato culturale 2021 e dalla Comunità di Valle ed integra le proposte di Ecomuseo della serie:
Video realizzato da alcuni volontari di Vigo Cavedine in occasione del Natale 2021. Attraverso alcune fotografie e un racconto in dialetto trentino si è voluto rievocare la storia della Vicinia Dònego di Vigo Cavedine, un’associazione secolare di cui facevano parte (e ne fanno parte tuttora i discendenti) le antiche famiglie di Vigo Cavedine (i cognomi: Bolognani, Comai, Cristofolini, Eccher, Galetti, Lever, Luchetta, Manara, Merlo, Turrina e Zambaldi).
L’origine della Vicinia si perde nella notte dei tempi, tra storia e leggenda, ed è il frutto di un lascito documentato da alcune pergamene a partire dal 1332.
Fraveggio è attraversato da una roggia che deriva dalla sorgente Canevin Malea all’altezza di Lon, il paese soprastante. Questa viene arricchita dalle acque dei rivi di Garubol e Fossà provenienti dai locali acquedotti potabile e irriguo. La roggia arriva in paese dalla cascata al torrione, leggermente spostata nel 2007, come si vede nella foto pubblicata a pag.17 del notiziario comunale n.3 di quell'anno (sotto riportato).
Scorre lungo il Vicolo dei Molini, dietro la chiesa di san Bartolomeo e si divide in due rami intubati nel sottosuolo del centro storico. Una parte scorre a fianco della toresela, attraversa la strada e raggiunge la campagna dove sempre nel 2007 è stata realizzata una vasca di decantazione.
L’altra prosegue sotto la piazza biforcandosi nuovamente, alimentando il lavatoio, affianca la canonica e si riunisce per attraversare gli orti e precipitare in una suggestiva cascata assieme all’altro ramo.
Raccoglie le acque sgorganti a Paltan, alle Rogiòle e ai Tovi, alimentando nel contempo l’acquedotto irriguo di Santa Massenza. Continua la sua discesa affiancando verso Est la loc. Campagna, fino ad arrivare in località Vai da dove prosegue intubata sotto la zona utilizzata dagli impianti della centrale idroelettrica. Raccoglie le acque di deflusso del depuratore (in media 11 l/s) e sfocia infine nel lago di Santa Massenza a quota 245 mslm, dopo un percorso di 1900 metri.
Una roccia costruita dall'acqua
Nei pressi delle cascate si verifica un fenomeno molto curioso: la formazione del travertino, chiamato anche “el tof per far i vòlti”.
Il travertino è un tufo calcareo poroso e leggero che si forma con le particelle di minerali (carbonato di calcio) portate dall’acqua. L’acqua, nebulizzata intorno alla cascata, evapora ed i minerali in essa contenuti formano la roccia inglobando all’interno resti vegetali, come foglie o ramoscelli, che poi si decompongono, lasciando al suo interno dei buchi e conferendole il caratteristico aspetto spugnoso. Questo tufo leggero, isolante e relativamente resistente, veniva estratto facilmente ed utilizzato nella costruzione di avvolti, intercapedini, pareti non portanti (“strameze”), ma si vede in un vecchio edificio situato fra i due mulini di Fraveggio un esempio di uso anche per la costruzione della parte più alta delle pareti esterne. L’opificio che si occupava della lavorazione del tufo era “la sega per el tof” ed in zona era presente a Padergnone, poco sotto la chiesa di San Valentino in agro, e a Terlago.
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Bibliografia:
La Roggia di Ciago nasce dalle sorgenti di Valachel a quota 670 e 692 mslm in loc. Mondal e subito alimenta il serbatoio dell’acquedotto irriguo.
Nella sua ripida corsa attraverso il paese, lungo la Val dei Molini, un tempo forniva l’energia idraulica necessaria ad una fucina e cinque mulini ed alimentava due lavatoi, uno accanto al mulino Cattoni e uno sull’attraversamento di Via San Rocco. Ora in quel tratto c'è una vasca di decantazione e da Via San Rocco viaggia intubata fin sotto la strada del Pedegaza, passando anche sotto un edificio. Arrivata sotto il paese scende più tranquilla lungo la campagna. Da quanto risulta dal progetto di completa sistemazione dell’alveo del 1908, l’acqua andava allora in gran parte dispersa prima di unirsi alla sorgente di Nanghel, punto in cui assume il nome di Roggia di Nanghel, la cui importanza risulta dalla Carta di Regola di Vezzano del 1574 (Vedi pag 239-240 Il libro delle acque).
Al suo arrivo a Vezzano la roggia viaggia intubata fino alla nuova rotatoria del 2006 dove è stata deviata e riportata in superficie in un percorso più lungo per oltrepassare la rotatoria stessa, raggiungere il lavatoio davanti alle scuole e continuare il suo viaggio intubata sotto via Roma. Arrivata alla piazza principale di Vezzano, un tempo veniva deviata verso sinistra, intubata superava l’Albergo Stella d’Oro, tornava in superficie negli orti adiacenti a Via Borgo, si univa ad un’altra sorgente, tuttora attiva, e passando per la campagna di Terra Mare si immetteva nella Roggia Grande. Approfittando dei lavori alla rete fognaria, la roggia di Nanghel, è stata poi intubata insieme alle acque bianche sotto via Roma fino agli Alberoni. Attraversata la strada provinciale, ritorna allo scoperto in località Fossati unendosi alla sorgente Fontanele, proprio dove un tempo c’era il grande lavatoio usato dalle donne del Dos. La roggia attraversa la zona artigianale fra nuovi alti argini in pietra per poi immettersi nella Roggia Grande in località Acque Sparse, prima che essa riattraversi la strada provinciale nel suo viaggio verso Padergnone.
Informazioni tratte da:
L'anziana nella foto è Orsola Zambanini, moglie di Albino Zuccatti tessitore, di cui ci ha raccontato qualcosa la nipote Antonia classe 1931 nell'intervista collegata. Antonia è la più piccola in questa foto, l'altra bimba è la sorella Carmen, classe 1927, mentre la loro mamma, Maria Coslop era incinta di Giovanna, ricordo che ha permesso la datazione dello scatto.
Sullo sfondo si vede il dos dei Segrai praticamente spoglio.
Curioso anche il racconto di Antonia rispetto al fotografo: Alviz Zambanini, cugino della nonna, era emigrato in Austria e quando arrivava da Linz in bicicletta per far visita ai parenti portava con sé la sua macchina fotografica, fissando così su carta immagini della famiglia.
"Laste" di pietra venivano un tempo largamente utilizzate per pavimentazioni, per realizzare piccoli "ponti", delimitare confini... quelle piccole venivano usate anche per giocare.
Questo termine ricorre anche come toponimo di luoghi dove queste venivano estratte.
Al plurale fa "tóvi".
Il detto "Stà lontan dai tóvi se nó te vòi ciàpar sassi en le gambe!" viene utilizzato genericamente per dire di stare lontano dai pericoli e dalle liti.
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Può avere anche un altro significato:
La Paganella proietta la sua ombra sulla parte alta della parete Sud del Monte Becco di Corno, un'ombra che disegna un enorme abete, "pézza" in dialetto locale, essa si fa sempre più evidente tra le 10 e le 11 ora solare, per poi affievolirsi e scomparire dopo mezzogiorno. È dunque un orologio solare naturale che, considerati i quasi 2000 metri di altitudine, è visibile in un vasto territorio.
Ai nostri valligiani contadini e pastori, privi di orologio, l'osservazione e l'identificazione di quell'ombra era ovvia e per fortuna non è stata distrutta dalla costruzione della strada.
Il messaggio offerto dall'ombra era per loro chiaro: per i pastori era ora di avviarsi verso casa con le bestie al pascolo, per i contadini era ora della pausa per il pranzo e presto sarebbe arrivato qualche bambino a portare il pranzo. I contadini infatti, se erano lontani da casa, si fermavano in campagna e consumavano il pranzo all'ombra di qualche albero, per poi continuare il loro lavoro senza dover rifare di nuovo la strada. Era invece compito dei bambini e delle bambine portare il pranzo ai genitori.
Così ne parlava Nereo Cesare Garbari in un articolo del 1970 riportato a pag. 13 del notiziario comunale, che invitiamo a leggere:
Sulle falde del Monte Gazza un'ombra che disegna un grande 1, alta una cinquantina di metri, si fa sempre più evidente tra le 9 e le 10 ora solare, per poi affievolirsi e scomparire dopo le 11. È dunque un orologio solare naturale visibile da diversi luoghi del "Pedegagia".
La si può osservare volgendo lo sguardo verso la strada di Ranzo, poco sotto il tracciato appena superata la "galleria" in salita.
Ai nostri valligiani contadini e pastori, privi di orologio, l'osservazione e l'identificazione di quell'ombra era ovvia e per fortuna non è stata distrutta dalla costruzione della strada.
Il messaggio offerto dall'ombra era per loro chiaro: per i pastori era ora di avviarsi verso casa con le bestie al pascolo, per i contadini era ora della pausa per il pranzo e presto sarebbe arrivato qualche bambino a portare il pranzo. I contadini infatti, se erano lontani da casa, si fermavano in campagna e consumavano il pranzo all'ombra di qualche albero, per poi continuare il loro lavoro senza dover rifare di nuovo la strada. Era invece compito dei bambini e delle bambine portare il pranzo ai genitori.
Così ne parlava Nereo Cesare Garbari in un articolo del 1970 riportato a pag. 12 del notiziario comunale, che invitiamo a leggere:
Il qui ritratto Giulio Pedrotti ci racconta che un tempo la fontana non era così infestata dalla vegetazione perchè assieme a suo fratello ogni sabato pulivano l'alveo del piccolo ruscello che scorreva con cucchiai e cazzuole. Anche la boscaglia non era così fitta perchè la legna veniva tagliata per ardere.
La bardana è una pianta che fa delle infiorescenze sferiche piene di aculei che si attaccano ai vestiti, usate anche dai bambini, che se le tirano per giocare.
"Pétole" sono dette proprio queste palline attaccaticce ed, in senso figurato, sia quelle persone noiose e importune che ti si appiccicano addosso, sia quelle situazioni dalle quali non riesci a districarti.
Nei periodi di siccità gli abitanti di Ranzo dovevano scendere fino alla sorgente del Tuf, nella gola del Sarca, con le "brentóle" e i secchi per prendere l'acqua ad uso domestico. Ci volevano due - tre ore di scosceso cammino. Qui vediamo un momento di incontro tra chi scendeva e chi tornava; si notano infatti dei secchi vuoti ed altri pieni d'acqua coperta da figlie, utili a trattenere lo sciabordio dell'acqua durante il percorso.
Per saperne di più leggi pagine 279 - 280 del "Libro delle acque" collegato.