Una concentrazione di attività artigianali, prevalentemente mulini per la macinazione dei cereali, si sviluppava all’imbocco del rione Mas in corrispondenza del ponte del “Cleo” (da clivo = erta, salita).
A questo punto si dipartiva una nuova articolazione del corso d’acqua:
- il ramo principale che, com’è attualmente, seguiva un profilo rettilineo;
- un’ampia derivazione arcuata, che andava a lambire gli edifici in sponda destra con una movimentazione di canalette e ruote dentate, finalizzate all’alacre lavorio delle macchine artigianali.
Nel 1860 era documentata qui la presenza delle ruote idrauliche di Pisoni Giuseppe ("Tirares"), Casoni Giovanni Sen. ("Feltrini") e Lunelli Antonio ("Lunèi"):
Posto subito sotto il Rione del Mas, sulla sponda in sinistra orografica della Roggia di Calavino, in un tratto del corso d’acqua caratterizzato da un notevole dislivello con una serie di cascate.
Nel 1860 si fa riferimento al mulino di Aldrighetti Sebastiano:
Rappresentazione grafica elaborata al computer ricostruendo come si presentava l'opificio quando era attivo.
Una derivazione portava l'acqua ad una vasca di carico da cui partivano due canalette, una alimentava la "bót de l'òra", dalla quale usciva poi il tubo dell'aria ossigenata che arrivava alla fucina, l'altra portava alla ruota idraulica.
La vasca di carico era usata anche come lavatoio vista la presenza della lastra di pietra inclinata.
Rappresentazione grafica elaborata al computer ricostruendo come si presentavano i mulini al Bailo quando erano attivi.
L'alveo della Roggia di Calavino, con le sue impetuose cascate, affiancava il mulino Aldrighetti-Scalfi, con la sua ruota idraulica, e scendeva poi a sfiorare l'edificio sottostante.
Qui una derivazione, con le sue saracinesche, alimentava la "bót de l'òra", la canaletta che portava al mulino del conte Sizzo Giuseppe e quella più lunga che portava alla ruota del mulino Lutterini Antonio "Galinòta". Ogni utilizzo aveva poi il canale di scarico per il ritorno dell'acqua nella roggia.
I Mulini al Bailo, così chiamati dal toponimo della località, sono un complesso di edifici, ristrutturati negli anni ’90 del ‘900, posti sulla sponda in sinistra orografica della Roggia di Calavino poco sotto l'abitato.
Questo tratto del corso d’acqua è caratterizzato da un notevole dislivello con una serie di cascate, condizione favorevole in passato per movimentare proficuamente le ruote idrauliche.
Nel 1860 si fa riferimento alla presenza qui del mulino del conte Giuseppe Sizzo e di quello di Lutterini Antonio "Galinòta” (1815-1923):
Rappresentazione grafica elaborata al computer ricostruendo come si presentava l'opificio quando era attivo.
In primo piano l'alveo della Roggia di Calavino, la derivazione coperta con la saracinesca che permetteva l'afflusso di acqua, un'altra saracinesca che permetteva il deflusso dell'acqua in eccesso da un canale di scarico, una terza saracinesca per l'immissione sulla ruota, la ruota idraulica ed il foro per il ritorno dell'acqua nella roggia.
Il Mulino a Venzòn, così chiamato dal toponimo della località, detta anche Pontára, è il secondo edificio che si incontra sulla sponda in destra orografica del corso della Roggia, risalendo la Forra di Canevài.
Nella mappa del 1860 è qui segnalata la presenza di una ruota idraulica ed al catasto risultava di proprietà degli eredi Gianordoli Massimiliano, vi si macinavano i cereali.
Questo mulino sfruttava l'acqua della Roggia di Ranzo o Rio Valbusa.
È uno dei più antichi documentati in Trentino anche se non conosciamo l'anno di costruzione.
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A pag 147 del libro di Giuseppe Sebesta
Prima della cascata davanti a casa Pisoni "Biasi", illustrata nella prima foto, una parte dell'acqua veniva deviata su una canaletta in pietra per azionare le ruote idrauliche poste su questo edificio.
La roggia si allontana poi dalla casa, visibile sullo sfondo della seconda foto, incuneandosi con una serie di cascate nell'orrido della val dei Canevai.
La ricostruzione di un mulino in forma ridotta, ma perfettamente funzionante, è stata fatta su un'idea ed a spese di Emanuele Pisoni.
Come per la segheria, è stato subito affiancato da Fabio Bassetti che ha costruito la struttura portante e da Ferruccio Morelli che ha realizzato le parti in metallo; il resto è stato tutta opera sua: ruota, lubecchio, lanterna e tramoggia. Le macine in pietra sono state fatte da Giancarlo Pozzani di Stravino, noto scalpellino.
Massima attenzione è stata data ai particolari, compreso l'elevatore per la rabbigliatura delle macine.
Il mulino è smontabile così da poterlo trasportare e ricostruire in luoghi diversi.
Una pompa permette il movimento e ricircolo dell'acqua, indispensabile al moto della ruota idraulica, laddove non possa essere collegato direttamente ad una roggia.
I pezzi di questo pestino a mole sono stati recuperati dal mulino Ricci Dinòti e montati nel giardino della casa di fronte da Sandro Ricci. A quanto ricorda il pestino è stato acquistato dalla sua famiglia con l'intenzione di affiancarlo alle macine del mulino ma non è mai stato montato nel mulino stesso.
Il pestino a mola era una macchina mossa dall'energia impressa dalla ruota idraulica, o più anticamente dagli animali e dagli uomini, allo scopo di brillare l'orzo, cioè decorticarlo, togliere la buccia ai chicchi.
Era formato da un contenitore in pietra a forma di scodella, con la parte centrale rialzata e forata; a volte solo la base era in pietra e le pareti erano in legno. Era posizionato sul "castello" del mulino come le macine. Dal foro centrale saliva un palo, solitamente di legno, che arrivava al soffitto e che riceveva il movimento dalla ruota idraulica attraverso l'albero motore e il lubecchio. Questo palo verticale era attraversato da un palo orizzontale regolabile in altezza al quale erano collegate due pietre circolari dette "mòle"; erano folli, cioè non toccavano sul fondo. Fra una mola e l'altra, al palo centrale erano fissati uno o due raschiatoi di ferro che grattavano sul fondo sollevando l'orzo. Nella vasca veniva inserito l'orzo e la si metteva in moto, il movimento lento e regolare continuava per ore smuovendo i chicchi con moto elicoidale senza mai schiacciarli, fino a decorticarli.
"Io sono la Sega Veneziana e devo la mia rinascita alla “pazzia”, caparbietà e un pizzico di ingegno di tre signori che mi hanno voluto riesumare dalla mia ormai decennale dipartita.
Erano gli anni cinquanta-sessanta quando, dopo centinaia di anni di onorato servizio, ho dovuto lasciare spazio alla incombente tecnologia moderna.
Si dice che io sia nata da un'idea di Leonardo da Vinci; bene c'è da crederci, perché nonostante i miei movimenti siano apparentemente di una semplicità estrema, i vari sincronismi, indispensabili per il buon funzionamento, sono stati un bel grattacapo per coloro che mi hanno riportato alla vita, segno che il grande Leonardo ha dovuto pensarci un po' prima di darmi un'anima.
Certo che il mondo d'oggi è cambiato totalmente da quando operavo paziente governata da un silenzioso e instancabile “Segheta”.
Quel mondo incantato oggi non c'è più. Quando l'acqua movimentava la mia ruota e io cominciavo a sezionare le “bòre” e il “Segheta", come un burattinaio comandava serioso ogni movimento, era musica, musica vera, come quella delle grandi opere, tanto che i passanti si fermavano ad osservare incuriositi a bocca aperta. A conferma di questo, cioè che quel mondo non c'è più, ho dovuto accettare un compromesso per la mia rinascita e funzionare, qualche volta, a secco visto che l'acqua nelle piazze non c'è .
L'importante però è testimoniare in modo realistico il ruolo che ho avuto per centinaia di anni e ringrazio questi tre signori che mi hanno dato questa possibilità.
I protagonisti .
I tre protagonisti citati sono tre coscritti del 1948 di Calavino che oltre ad avere la stessa età sono accomunati da molte altre cose.
Tutti e tre figli di artigiani del legno, tutti e tre appassionati della storia dei vecchi mestieri e curiosi di conoscere i segreti (che rischiano di rimanere tali) delle vecchie macchine e attrezzi di un tempo, per questo si son messi in testa di costruire la Sega Veneziana, strumento di lavoro che ha avuto vita fino agli anni sessanta. In particolare a Calavino l'ultima Sega Veneziana è stata smantellata nel 1968 a casa Pisoni “Segheti”. Si spera che dopo mesi di lavoro certosino questa ricostruzione possa dare testimonianza vera della storia “recente” del nostro paese che in realtà sembra lontana anni luce.
CALAVINO 15 giugno 2008
Morelli Ferruccio — Pisoni Emanuele — Bassetti Fabio"
Questo citato è il testo predisposto dagli autori in occasione della prima attivazione della loro segheria alle feste madruzziane di Calavino del 2008. Nelle foto si vede la stessa sega pronta per l'edizione 2016 della stessa festa e di seguito la sega in funzione all'edizione 2018 del festival etnografico presso il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina.
Qui la storia della segheria citata:
Il mulino a pietre usa due grossi dischi di pietra per macinare.
La macina inferiore appoggia sul castello, è fissa ed ha la faccia superiore leggermente convessa. A volte presenta un bordo rialzato tutt'intorno a parte una breve tratto da cui fuoriesce la farina.
La macina superiore è mobile. Ha la faccia inferiore leggermente concava, così da sovrapporsi esattamente alla macina inferiore, ed incassi a farfalla accanto al foro centrale nei quali è incastrata una sbarra di ferro (nottola), fissata all'albero rotante passante per le due macine, così da provocarne il movimento macinando così i cereali o altri materiali inseriti fra loro.
Ambedue le macine sulle facce di contatto presentano scanalature a raggiera e tacche.
Le mole del pestino invece, ruotano verticali, sono più piccole, hanno le facce uguali e un foro quadrato.
Per approfondire, ricercare sia mola che macina sul
Ecco qualche brano tratto dal comunicato:
"Egregio Mugnaio Artigiano,
come è noto, la rappresentanza sindacale della Vostra Ditta è affidata alla Federazione Fascista Autonoma degli Artigiani d’Italia."
"Il gran numero delle disposizioni legislative riguardanti l’industria molitoria fa sentire ai nostri organizzati l’utilità e la necessità di un’assistenza tecnica, legale e tributaria, data con competenza e completo disinteresse. Crediamo opportuno specificare le forme di assistenza gratuitamente offerte: "
"Nota
Si è creduto opportuno di ricordare ai Mugnai Artigiani che presso la propria Segreteria dell'Artigianato funziona uno speciale Ufficio di Assistenza.
Ciò perché i mugnai sappiano salvaguardarsi da pseudo società assistenziali a carattere privato e perciò speculative.
La Comunità Nazionale non può e non intende devolvere a nessuno tali assistenze di sua esclusiva spettanza; e pertanto, se ai molini artigiani si presentassero inviati di società private, i mugnai sono avvertiti che essi possono rivolgersi per tali assistenze alla Segreteria della loro organizzazione."
"I fratelli Pisoni Stefano ed Emmanuele fu [Biagio] detti biasi segantini di Calavino" chiedono un prestito di 500 corone al 5 % di interesse che "venne dagli stessi adoperato quest'importo per pagare dei legnami di larice a Chistè Alfonso di Ezechiele di Lasino, quale procuratore di una massa di colà."
Compare qui il soprannome di famiglia "Biasi" (di Biagio).
In questo registro vengono segnate ogni volta: data, paese, nome e cognome, tipo di farina, chili, a volte la professione.
Possiamo notare che il mulino oltre a Calavino serve regolarmente Lasino, Madruzzo e Sarche (talvolta "Sarcha").
Vediamo che ad inizio registro, di Sarche è registrata una "marcanta" ed in seguito un "Candido marcante" che nel corso di questi 10 mesi acquistano oltre 600 chili di farina gialla, oltre 100 chili di farina bianca e 7 chili di minestra. Il "marcante Andrea" di Lasino ne compera 300 chili di gialla.
Già da qui si capisce che la fa a gran lunga da padrona la farina gialla, vengono poi citate la farina bianca e di segala.
Da notare come le quantità siano molto aumentate rispetto al registro della stessa famiglia del 1891-92:
Nella registrazione della farina macinata come si evince dai titoli di colonna a pagina 15, il numero davanti indica i "Kili" e quello in fondo indica gli "steri" (staio). Non è chiaro se la prima colonna indichi le entrate di cereali e l'ultima le uscite di farina.
Nella colonna centrale sono invece indicati i nomi, o cognomi o mestieri dei clienti, ma anche zii o zia Pasqua [moglie di Biagio] o zia Nanele, e talvolta è indicato il prodotto.
A capo pagina, o di fianco, trovano posto le date.
Tra i prodotti oltre al frumento notiamo "giala" (farina gialla), segala, orzo, "setila" (macinata sottile), "formenton" (grano saraceno).
Fra i mestieri compaiono "marcanta" (commerciante femmina), "tessader" (tessitore), maestro, "monec" (sacrestano), "comare" (ostetrica), curato.
I nomi si ripetono spesso in quanto il grano si salva più facilmente della farina per cui veniva macinato man mano che serviva.
Nella prima pagina troviamo la data di inizio di questa registrazione: 10 novembre 1891; nell'ultima il resoconto: "Soma totale fino ogidì 22/9-92 Kilogrami maicinati K1.350.76 Frateli Pisoni".
Sono questi i figli di Antonio Pisoni morto nel 1885, la firma potrebbe essere del maggiore: Lodovico (1863-1944).
Il documento è composto di tre fogli cuciti col filo uno dentro l’altro.
Quello esterno, più grande, funge da copertina e vi sono apposte delle note successive da cui ricaviamo che al debitore Antonio Giovanni di Calavino morto verso 1863, succedono i figli Antonio e Biagio. Biagio muore poi nel 1878 ed a lui succedono i figli Stefano (9 anni), Emanuele (6 anni) Teresa (4 anni).
Il secondo foglio, datato 6 febbraio 1850 riguarda un contratto di Mutuo col quale “Antonio del fu Andrea Pisoni Ritadin di Lasino ora in Calavino” riceve un mutuo dal “Amministratore del Seminario Principesco Vescovile in Trento” di “fiorini mille Valuta Vienna Moneta Convenzione” con “l’annuo interesse del 5%”. “In assicurazione tanto del Capitale, come degli annuali interessi esso debitore Pisoni sottopone e vincola a speciale ipoteca = Un Edificio con cinque ruote ad acqua due, per due molle, da mulino una per le pile, una per la Sega, ed una pel follo, con piazzale ed Orti annessi, posto il tutto nella Villa di Calavino luogo detto alla Pontara, ed alla Sega, marcata col Civico N 74, con tutti quelli utensili da Mulino, e Sega, che ora vi esistono”. “Questo stabile pervenne al S. Antonio Pisoni per acquisto fatto dal S. Vincenzo Panicali in forza dei documenti dei 3 Maggio 1844 iscritto li 4 [seguente] a N. 304 per la somma di f 3000 abusivi in oro e quindi più che sufficiente a garantire il premesso mutuabile Capitale”
“accorda al Pisoni la dilazione al pagamento del Capitale di anni dieci e non potrà il Pisoni pria della fissata epoca restituirlo senza il consenso del S. Amministratore”
Il terzo foglio datato 1850, redatto il 20 gennaio 1850 dall’Imperial Regio Giudizio Distrettuale di Vezzano ed integrato il 5 febbraio, è un allegato del precedente ed “esaminati attentamente questi registri ipotecari” certifica le stesse informazioni riportate nel documento precedente, analizza le ipoteche fatte da Antonio Pisoni, dalla moglie Teresa Chisté di Luigi Anna Chisté, da Vincenzo Panicali di Trento e e certifica che non vi sono ipoteche in atto.
Così chiamato dall'ultima famiglia proprietaria indicata con cognome e soprannome, è l’ultimo edificio sulla sinistra della vecchia strada imperiale, poco prima della “Pontàra” (= erta), che scende verso Padergnone. Le ruote idrauliche erano alloggiate sulla facciata ad ovest, lambita in sponda orografica destra dalla Roggia, che dopo un breve tratto si gettava nell’orrido della val dei Canevai, fornendo energia alle ruote idrauliche dei mulini sottostanti.
Nello stesso edificio acquistato da Antonio Giovanni Pisoni (1799-1863?) di Lasino, con la moglie Teresa Chistè, nel 1844 da Vincenzo Panicali di Trento c'erano ben "5 ruote idrauliche per macinazione grani, follo e segheria".
La famiglia vi si trasferì e li nacque la loro undicesima e ultima figlia nel 1845. Il figlio Antonio (1820-1885) si occupò del mulino ed il figlio Biagio (1837-1878) della segheria.
Sui registri parrocchiali dei nati a Lasino, Antonio Giovanni ed i suoi antenati fin dal 1500 erano soprannominati Nanotti (da Giovanni = Nane), ma Biagio (1911-1996), nipote di Biagio segantino sopra nominato, venne registrato col soprannome di "Biasi". Nei nostri paesi, dove nome e cognome erano spesso ripetuti, il soprannome di famiglia era così importante da venir segnalato nei registri delle nascite.
Dopo Antonio continuò l'attività molitoria di famiglia il figlio Quirino fino alla sua morte senza eredi nel 1942.
Dopo Biagio continuarono a lavorare alla segheria i figli Stefano ed Emanuele, poi i nipoti Biagio e Valerio, fino al 1968 quando fu demolita. L'ultimo lavoro importante è stato quello di segare i tronchi detti "marcia avanti" per le gallerie della centrale di S. Massenza.
Il follo non è mai stato utilizzato dai Pisoni Biasi; oltre al documento, rimane però il segno sul muro della sua posizione. Una quinta ruota è stata invece aggiunta dalla parte opposta dell'edificio, in sostituzione di quella, a favore di una circolare, posta nel cortile, collegata ad un lungo palo di trasmissione che attraversava tutto l'edificio. Negli anni '40, collegata con cinghie allo stesso palo di trasmissione, è stata aggiunta una sega a nastro (bindella) all'interno della segheria.
Curioso come sulla mappa storica del 1860 sia indicata sull'edificio una sola ruota nell'illustrazione riferita al paese, due ruote su quella riproducente l'intero territorio; forse sulla prima la ruota indicava la famiglia proprietaria dell'edificio (Antonio Pisoni) mentre sulla seconda le ruote indicavano le due attività che vi si svolgevano: molitoria e segheria.
Sulla mappa del catasto austriaco del 1860 sono indicate le numerose ruote idrauliche attive in paese in quel momento.
Mariano Bosetti ha poi spulciato il protocollo degli edifici del tempo ricavando tutte le p. ed. sede di "molina" [ruota idraulica, per lo più mulini per la macinazione dei cereali ma non solo] con i nomi dei proprietari così da dare un nome a ciascuna ruota, arricchendo l'informazione con i soprannomi di famiglia ricavati dalla ricerca di Cornelio Secondiano Pisoni (anni ’30 del XX° secolo).
Avendo documentato l'attività nell'edificio Pisoni "Biasi", risulta curioso come su questa mappa sia indicata sull'edificio una sola ruota nell'illustrazione riferita al paese, due ruote su quella riproducente l'intero territorio; forse sulla prima la ruota indicava la famiglia proprietaria dell'edificio (Antonio Pisoni) mentre sulla seconda le ruote indicavano le due attività che vi si svolgevano: molitoria e segheria. Questa osservazione ci fa presumere che le ruote effettivamente presenti fossero ancor più di quelle indicate.
Sulla mappa del territorio di Lasino del catasto austriaco del 1860 è segnato il "Molin dei Tómpi" sulla rogge che scende dalla Valle di Cavedine, fra Larì e Grumèl, di fronte a Castel Madruzzo.
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Bibliografia:
pag. 60
Nella località di Pendè, nei pressi dell’omonimo ponte, dei documenti storici attestano la presenza dei fabbri della famiglia a Prato di Vezzano a partire dalla metà del XVI secolo. Questi forestieri trasformavano la forza idraulica della roggia in motrice per azionare gli utensili necessari ai lavori della fucina. In proposito si ricordano le diatribe, sorte nel 1583, tra Francesco della famiglia a Prato e la comunità di Padergnone ed Aliprando Madruzzo (il regolano maggiore di Calavino) per stabilire le condizioni per lo sfruttamento idrico di quel punto della roggia. Un’ulteriore testimonianza del possibile proseguo dell’attività della fucina si ritrova nell’appellativo “mastro” affiancato a Giovanni a Prato fu Francesco come testimone di una lite tra il comune di Vezzano ed alcuni privati. Egli infatti fu privato del diritto di “far pascolar bestie e far legna” nel territorio di Vezzano a causa delle sue attività presenti nel padergnonese. Tuttavia, in seguito alla diretta opposizione del vescovo Carlo Madruzzo nel 1612, l’attività degli a Prato in Pendè ipoteticamente si concluse.
Purtroppo, l'assenza di notizie significative posteriori ha reso impossibile, nonostante i numerosi sopralluoghi effettuati, la corretta localizzazione dell'attività.
[ricerca a cura di Caterina Zanin e Silvano Maccabelli per Ecomuseo della Valle dei Laghi]
Approfondimenti consultabili qui a pag.372-373 ed il ponte di Pendé è segnalato su una mappa del 1767 pubblicata a pag. 428: