Accanto ai contadini c'erano un tempo in tutti i paesi della Valle dei Laghi molti piccoli artigiani specializzati in settori specifici. Spesso il mestiere si tramandava di generazione in generazione ma altrettanto spesso le persone si adattavano alle esigenze del momento, imparavano sul campo e mettevano in gioco inventiva, passione e capacità pratiche per permettere la sopravvivenza della loro famiglia. Troviamo in questa collezione artigiani; luoghi, macchine e attrezzi di lavoro degli artigiani, prodotti degli artigiani.
La presenza dell'asilo infantile, costruito nel 1921, ci riporta ad una datazione successiva a tale data, ma la misura della stampa 8,3x11 cm insieme alla strada stretta fa comunque ipotizzare che lo scatto risalga a poco dopo.
Possiamo notare la strada bianca (verrà allargata e asfaltata negli anni '30), i paracarri in pietra con tratto in muratura sopra via Borgo, il camion aperto ed utilizzato al trasporto di numerose persone. È un autocarro militare Fiat 15 ter prodotto dall'11 fino al '22 ma utilizzato fino al '40.
Poco dietro ad esso è ben visibile il canale di carico della "bót de l'òra" della fucina Morandi. Oltre il centro storico si vedono le strade per Ciago e verso una casa isolata sopra il paese in direzione Lon, circondate da alti muri; ancora più lontano le pendici del Gazza brulle e la chiesa di Lon.
La stessa curva fotografata dall'altro senso di marcia è qui disponibile:
In via della Crosara era attiva la segheria del tufo della famiglia Tasin. Qui veniva lavorato il travertino, meglio noto come “tòf”, da trasformare in “tovi” (mattoni di tufo). Questa pietra, tagliata con la sega ad acqua, veniva impiegata per ridefinire le volte o per realizzare le tramezze degli appartamenti.
Anticamente l’edificio ospitava anche una fucina ove il fabbro lavorava i metalli e ferrava i cavalli.
La segheria terminò la propria attività all’inizio degli anni ’30 del Novecento a causa del crollo del tetto dovuto allo scoppio di un incendio.
“La Tòvara”, situata in località della “Pontare” di Terlago, era il luogo da cui si estraeva il “tòf” tagliato presso la segheria Tasin.
(Testo a cura di Caterina Zanin con la collaborazione di Verena Depaoli)
La presenza del mulino della famiglia nobile dei Cesarini Sforza, collocato all’interno del parco di loro proprietà, è attestata almeno dal 1860 nella cartografia asburgica. Appartiene al complesso edificale di villa Cesarini Sforza, eretto dalla Confraternita dei Battuti, che fu venduto inizialmente ai Conti Graziadei nel 1615 e ceduto infine ai Conti Cesarini Sforza nel 1700.
Il mulino, dotato di un canale di derivazione, rimase attivo fino al 1935. L’ultimo “molinar” fu Domenico (Minico) Castelli che, assieme a sua moglie Maria Pavoni ed ai quattro figli, si occupava della macinazione dei cereali. Egli terminò la propria opera a causa dell’anzianità che gli impediva il proseguimento del lavoro. Nel 1941 l’edificio venne nuovamente abitato dalla famiglia Depaoli che tuttavia non proseguì il mestiere del mugnaio.
Domenico Castelli produceva la farina a partire dal granoturco, dal frumento, dalla segale, dal grano saraceno e dall’orzo e la rivendeva alle vicine comunità di Vigolo Baselga, Baselga del Bondone, Covelo, Ciago e di Cadine negli anni più recenti.
Nel complesso abitativo di famiglia Cesarini Sforza era stata collocata, almeno nel 1896, anche una segheria ad acqua per il taglio del legname.
Originariamente l’edificio, trasformato recentemente da una innovativa ristrutturazione ad opera dell’architetto Salvotti, ospitava al piano terra le stanze adibite al lavoro ed ai differenti macchinari o utensili utilizzati dal mugnaio. Il piano superiore invece fungeva da abitazione privata per “el Molinar” e la sua famiglia. Una volta chiusa l’attività lavorativa dell’opificio i conti trasformarono lo stabile in una stalla. Un ulteriore cambiamento della struttura, avvenuto in seguito alla ristrutturazione, è il mutamento del livello del terreno che appare sopraelevato rispetto a quello originario grazie ad uno scavo ai piedi dell’edificio.
(Testo a cura di Caterina Zanin con la collaborazione di Verena Depaoli)
Il Mulino Mazzonelli è situato nel cuore del paese all’altezza della strettoia vicina a piazza Battisti. Le prime notizie di questo edificio risalgono al 28 agosto del 1546 quando Colombino Antonio (muratore) acquistò a Terlago una “casa con mulino con filone e due ruote, loco a Pont per 67 ragnesi”.
Successivamente passò nelle mani della nobile e ricca famiglia Mamming (da cui deriva il suo nome) che lo sfruttò fino all’ottobre del 1907. In quell’anno venne venduto, per 3.000 corone, dal conte Giuseppe Mamming ad Eugenio Mazzonelli. Quest’ultimo lo trasformò nella sua abitazione privata. Il conte conservò invece “i due mulini con tutti gli accessori, le trasmissioni, gli attrezzi dei mulini, la turbina con accessori”. Particolarmente interessante è annotare che nell’atto di vendita il nobile decise di dividere la particella catastale del mulino per mantenere la proprietà terriera del “Broilo” e di concedere all’acquirente di realizzare un foro nel muro, da erigere, per favorire il passaggio dell’acqua a scopo irriguo.
I figli di Eugenio Mazzonelli, durante i lavori di modifica dell’edificio, seppellirono le macine in pietra nel giardino ed attualmente una di queste, grazie alla fortunata riscoperta avvenuta nel corso dell’ultima ristrutturazione, è perfettamente visibile e ben conservata.
La presenza di un foro nella parete interna della casa consente di individuare il punto esatto in cui era collocato il perno della ruota del mulino.
(Testo a cura di Caterina Zanin con la collaborazione di Verena Depaoli)
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Il mulino Defant
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Il mulino Defant, collocato in via al Castagnar, è stato l’ultimo opificio a chiudere a Terlago. Rappresentato nella mappa del catasto asburgico del 1860, il mulino venne chiuso, per la sopraggiunta anzianità del “Molinar” Guido Defant, solamente nel 1992.
Nel 1907 apparteneva alla famiglia di Narciso Defant che, dopo alcune vicende familiari, ne entrò definitivamente in possesso nel 1928 e nello stesso anno ottenne dal Genio Civile anche la concessione per lo sfruttamento dell’acqua della roggia. Nel 1945 la struttura conobbe uno sviluppo tecnologico grazie al passaggio dal sistema di mulino a macina a mulino a cilindri, dotato di laminati doppi, per il frumento ed il grano saraceno. In precedenza la macina in porfido era stata acquistata a Pomarolo (TN) per sostituire le molle francesi rivestite da un telaio in ferro. Nel 1955 fu comperata una turbina a Merano per migliorare la produzione dell’opificio ma, a causa della scarsa portata della roggia, venne rimossa dopo poco tempo. Si decise dunque di mantenere il motore elettrico installato durante la seconda guerra mondiale.
Nel secondo dopoguerra il mulino incrementò la propria produttività ed iniziò, grazie ad alcune conoscenze familiari, a vendere la farina a Molina di Fiemme ed ai “pistari” di Cadine. Significativo è il racconto dell’ultimo “Molinar”, Guido, del trasporto e dell’organizzazione dell’opificio. A partire dal 1949 egli si recava 4 giorni in settimana, svegliandosi alle 2 di notte, in val di Fiemme per trasportare circa 1,5 quintali di farina.
Nel 1970, come testimonia l’ampliamento della struttura e l’installazione di 4 silos interni da 7.000 quintali, l’attività Defant aumentò notevolmente la produzione. I cereali venivano versati nei silos grazie all’ausilio di un montacarichi che sollevava fino a 10 quintali.
L’opificio macinava frumento (acquistato frequentemente presso Caprino Veronese), orzo, segale, avena e grano saraceno. Il mulino produceva farina gialla, farinetta (adatta al consumo animale) e farina bianca. È interessante ricordare che negli ultimi anni d’attività la famiglia Defant frantumava anche il grano saraceno importato dall’Africa.
Al momento della chiusura i proprietari del mulino vendettero i macchinari più recenti ad un’azienda di Bassano del Grappa e quelli più antiquati ad un gruppo con sede in Albania.
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La segheria Defant
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Nel 1881, per ovviare alle dannose e frequenti azioni di contrabbando del legname di Selva Faeda, venne acquistata dalla Rappresentanza Comunale di Terlago una sega ad acqua. Comperata da Carlo Tonelli di Vezzano per 200 f., fu collocata presso l’edificio di Giovanni Defant, nella parte rivolta verso la collina, per tagliare i fusti provenienti dal bosco dell’intero territorio di Terlago.
Fu conservata fino alla fine degli anni ’20 del Novecento.
(Testo a cura di Caterina Zanin con la collaborazione di Verena Depaoli)
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Origini del mulino
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La famiglia Rigotti risulta presente a Terlago almeno dalla seconda metà del 1600 e da allora detiene la proprietà dell’omonimo opificio. Il testamento di Gabriele Rigotti, figlio d’Antonio, detto il “Molinarotto” del 1749 costituisce la prima menzione documentaria esplicita dell’esistenza del mulino ed all’esercizio della relativa professione. Egli apparteneva ad una famiglia nativa di San Lorenzo in Banale ma residente già da tempo a Terlago. Il successivo riferimento viene invece riportato nella mappatura del catasto napoleonico del 1860.
Nel corso dei secoli l’attività venne tramandata di padre in figlio fino al passaggio all’ultimo “Molinar”, Giuseppe Rigotti, chiamato “Il Barba”, conosciuto come alpino decorato con la medaglia d'argento al valor militare per il servizio prestato a Nikolajewka. Alla sua morte nel 1981 il mulino cessò l'attività rivolta al pubblico.
Giuseppe Rigotti è ricordato come una persona molto ospitale, sempre pronta ad una battuta simpatica e di buon cuore. Ospitò per alcune estati il noto pittore olandese Rinny Siemonsma che affettuosamente realizzò il ritratto del cane di famiglia sul cartello per avvisare della presenza del cane Doria.
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Attività generali
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Nel Novecento nel mulino Rigotti venivano macinati fino a 4- 5 quintali di cereali (specialmente grano e granoturco) che solitamente veniva trasportato con i carri dai contadini dei paesi vicini (Terlago, Monte Terlago, Vezzano, Padergnone, Vigolo Baselga ed i paesi del Bondone). È interessante ricordare che negli anni ’20 il prezzo della farina macinata variava da 1,25 lire a 1,50 lire al kilo.
I proprietari del mulino Rigotti prestavano anche il servizio di trasporto merci, tramite carro, per il locale comune nel caso di occasionali spostamenti oppure d’acquisti di materiale. Viene registrato anche il pagamento di opera prestata alla Società del Monte Gaggia in occasione di trasporto materiale nel 1922.
All’interno dell’edificio sono state trovate alcune incisioni, calcoli e scritte che spingono ad ipotizzare la funzione di luogo di ritrovo e di passaggio di persone del luogo e forestieri. Ad esempio una, riportata sopra la tramoggia, ricorda un’importante e fruttuosa battuta di pesca.
È stato scritto il seguente testo: “Domenica 22/4/1928 - Grande pesca ai laghi - lunedì, martedì e - mercoledì non si farà che mangiare pesce -i pescatori”.
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Struttura del mulino
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L’edificio, ristrutturato esternamente, conserva al pian terreno il locale storico del mulino con le macchine destinate alla macinazione ed altri strumenti necessari per la preparazione alla macinazione con gli ingranaggi e le cinghie originali dell’epoca. Sopra ad un tavolato ligneo rialzato è presente l’antica mola in pietra che un tempo era collegata, grazie ad una serie di ingranaggi, all’albero di trasmissione legato alla ruota idraulica posta all’esterno dell’edificio.
All’interno della struttura sono ancora visibili le due linee di produzione costruite in due momenti differenti. La più antica, risalente al Settecento, prevedeva la macinatura a pietra alimentata dalla forza motrice esercitata dalla ruota idraulica.
Nel 1908 la famiglia Rigotti acquistò a Vienna il sistema a cilindri (Hoerde & Comp) azionato inizialmente dalla ruota idraulica lignea e, dagli anni ’40 secondo tradizione orale, da un motore elettrico trifase. Entrambe le linee di produzione depositavano il macinato nella medesima burattina.
Nella descrizione dello stabile, riportata dalla compagnia assicurativa “Istituto Provinciale Incendi – Trento” del 1924, risulta che il mulino possedeva 3 ruote idrauliche e 3 pile utilizzate per la lavorazione dell’orzo.
(Testo a cura di Caterina Zanin con la collaborazione di Verena Depaoli)
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Il percorso
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Il presente percorso si snoda principalmente lungo via dei Molini e piazza Battisti, giunge fino in piazza Torchio ed infine tocca via Crosara. Lungo questo itinerario il visitatore potrà leggere i pannelli dedicati, scoprire la storia degli antichi opifici del paese e notare le differenze esistenti tra gli antichi edifici e quelli odierni.
Sono stati collocati sei pannelli illustrativi che descrivono le caratteristiche e le vicende dei seguenti stabili: mulino Rigotti, opificio Defant, mulino ex Mamming ora Mazzonelli, opificio Cesarini Sforza ed infine la segheria Tasin.
Queste pagine d’approfondimento sono aperte al contributo di chi vorrà offrire ad Ecomuseo materiale, informazioni di supporto oppure segnalare eventuali mancanze.
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Introduzione su Terlago
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Il territorio di Terlago vanta una tradizione centenaria dell’arte molitoria. Il celebre etnografo e studioso Giuseppe Šebesta attesta la più antica presenza di un mulino, tra il 1244 ed il 1247, nel paese di Covelo. Molteplici e frequenti sono le testimonianze quattrocentesche, cinquecentesche e seicentesche che segnano l’intero panorama locale (1468, 1473, 1493, 1496, 1498, 1509, 1511, 1531, 1540, 1594, 1647) e costituiscono il simbolo della fondamentale importanza degli opifici assunta a livello locale. Nel 1860 la cartografia prodotta dal catasto asburgico riportava la presenza di 3 esemplari. Nel 1880 la Camera di Commercio e Industria di Rovereto ne segnalava 4 operanti e regolarmente riconosciuti.
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Il mulino più antico del paese di Terlago
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Il mulino più antico del paese di Terlago, come testimoniato dal coevo Statuto, risale almeno al 1424, e sembra che sia appartenuto alla famiglia dei Gislimberti. Tale “Molendinum Gislimberti” era collocato originariamente in località Pontolin, sul Fosso Maestro, nei pressi della chiesetta di San Pantaleone. Giuseppe Sebesta testimonia infatti l’esistenza di un opificio nelle vicinanze del lago “Primo de decima Molendini sita iuxta heredes paysani … et a via infra versus lacum” almeno dal 1468 fino al 1594. Tuttavia tale posizione risentiva della vicinanza agli acquitrini malarici e, per tale ragione, nel XVII secolo venne trasferito vicino al paese di Terlago. Gli studi effettuati hanno reso ardua la successiva identificazione e rimane dunque il dubbio sul luogo esatto del suo spostamento.
Vero è che la tradizione orale della famiglia Rigotti tramanda che l’originaria località del suo mulino era vicino alla chiesetta di San Pantaleone ma, in assenza di documenti scritti comprovanti ciò, non è possibile stabilire una relazione certa tra le vicende dei due opifici. Al contempo l’analisi degli alberi genealogici riportano che la famiglia dei Gislimberti sia confluita e si sia estinta nel ramo della famiglia Defant, proprietaria dell’omonimo mulino.
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Caterina Zanin e Verena Depaoli, autrici di questa ricerca per Ecomuseo, ringraziano per la preziosa collaborazione e testimonianza: Denise Rigotti e famiglia, Guido Defant e la moglie Elena, Giuliana Mazzonelli, conte Lamberto Cesarini Sforza, Sandro Castelli, Ottorino Tasin e la moglie Elvira, Dario Tasin e Sharon Depaoli.
Il video mostra alcuni momenti della ricostruzione del mulino didattico di Vezzano, realizzato da Ecolegno, recuperando parti del Mulino Garbari, l'ultimo attivo nel paese.
Per saperne di più consultare la scheda:
È stato inaugurato il 5 giugno 2025 presso il Teatro di Valle a Vezzano un mulino didattico realizzato dalla Comunità di Valle, ridando vita a ciò che si è salvato del mulino Garbari, l'ultimo a fermare la ruota idraulica a Vezzano nel 1979:
Il mulino di Covelo, situato all'entrata del paese per chi proviene da Ciago, in via Nino Pooli, attualmente abitazione civile, è stato presumibilmente costruito nei primi anni '60 del 1800, in quanto nella mappa catastale del 1860 lo vediamo segnato tratteggiato.
Possiamo solo ipotizzare che lì sia stato trasferito uno dei primi opifici a ruota idraulica nel territorio di Vallelaghi attestato da fonti storiche nei lontani anni 1244 – 1247 come “retro molendinum apud Wasketum”.
Un mulino viene citato nella Carta di Regola di Covelo nel 1421 all’articolo 25 in occasione della regolazione della zona di pascolo destinata alle bestie minute: "Item quod nullus terrigena sive forensis audeat ducere sive pasculare cum bestiis minutis a vaiono Pelegrini de Bonanottis usque ad molendinum qui iacet subtus Coavalum: in poena quinque solidorum pro qualibet bestia minuta." (Inoltre, che nessun residente o forestiero osi condurre o far pascolare piccoli animali dal burrone di Pelegrin de Bonanottis al mulino che si trova sotto Covelo: sotto la pena di cinque solidi per ogni piccolo animale.)
Dove poteva dunque essere posizionato prima? Osservando di nuovo la stessa mappa catastale, troviamo segnata la località “Molin” e quindi ipotizzare che quella fosse la sua sede originale, sempre e comunque alimentato dal movimento dell’acqua del Fos de Cadenis che sorge poco sopra il paese.
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Bibliografia:
Era nell’edificio in località Naran 1, conoscituo come ristorante “Al vecchio mulino”, che un tempo girava la prima ruota idraulica sulla Roggia Grande. Essa alimentava i macchinari della falegnameria di Bassetti Quintino e figli, poi trasferita in via Borgo:
Resoconto della visita al panificio Tecchiolli di Cavedine preparato dalla classe seconda di Vezzano nel 2014/15 e pubblicato sul sito istitutocomprensivovalledeilaghi.it poi dismesso.
Resoconto della visita al panificio Tecchiolli di Cavedine preparato dalla classe prima di Vezzano nel 2014/15 e pubblicato sul sito istitutocomprensivovalledeilaghi.it poi dismesso.
Questo materiale prodotto dalla classe prima di Vezzano nell'anno scolastico 2008/09 era stato pubblicato con lo stesso titolo nel diario di classe sul sito ww.icvalledeilaghi.it, poi dismesso.
Le pagine sono state copiate di seguito una sotto l’altra così com’erano.
Seguono le altre pagine di diario e gli altri file richiamati nei collegamenti, che sono stati di conseguenza aggiornati.
Avendo un formato diverso, il citato “terzo libro degli abitanti del bosco” è inserito in un file a parte, terzo perché già due "libri" erano stato ultimati prima di utilizzare questo; essi costituivano l'alternativa sperimentale al libro di testo. Si compone di una parte predisposta dall'insegnante di scienze e tecnologia ad inizio attività, che prevedeva pagine bianche dove i bambini illustravano man mano i loro apprendimenti con disegni e poche parole (utilizzando anche un foglio bianco inserito al di fuori della parte stampata), una parte collettiva creata dai bambini con l'insegnante di italiano.
Ivo Cappelletti, classe 1932, racconta i suoi ricordi di bambino quando nel 1942 il mulino di famiglia è stato trasformato per passare dalla macinazione a pietra a quella a cilindri. Un ricordo chiama l'altro e così riporta aneddoti che ci illustrano la vita nel dopoguerra a Ciago (Vallelaghi-Trento).
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Volendo approfondire, visitare le schede collegate e leggere "Il Consorzio Irriguo e di Miglioramento Fondiario di Ciago" a pag. 287-294 su:
Angelina, classe 1935, ci racconta alcuni suoi ricordi legati al paese di Ranzo dove ha vissuto dalla nascita fino all'età adulta ed al quale è molto legata.
Ci racconta della vita povera che condivideva con molti a Ranzo, del lavoro che occupava tutti sin da bambini, della fatica per procurarsi l'acqua e negli spostamenti su e giù da Castel Toblino quando ancora la strada di collegamento con Vezzano non c'era, della morte del padre proprio nella sua costruzione,
dei legami che avevano con quelli del Banale, degli incendi frequenti, del suo lavoro di sarta, del venditore ambulante di stoffe e dei calzolai presenti in paese, delle tristezze che la vita le ha riservato ma anche dell'amore nella sua famiglia e dell'aiuto vicendevole con cui in paese ci si aiutava.
Video realizzato da alcuni volontari di Vigo Cavedine in occasione del Natale 2023.
Il video è un omaggio ad Agostino Cristofolini, genio artistico vissuto a Vigo Cavedine nel secolo scorso.
Questa intervista a Bianca Manzoni di Vezzano, classe 1931, è una di quelle realizzate presso la A.P.S.P. Residenza Valle dei Laghi di Cavedine dai giovani che hanno partecipato al progetto "Videomaker della memoria –“Vot che te la conta o te la diga?” inserito nel Piano Giovani della Comunità della Valle dei Laghi 2023.
Pur essendo un lavoro organizzato e gestito in gruppo, ogni giovane è stato poi artefice principale di una delle interviste della quale risulta perciò autore.
Dopo aver presentato se stessa e la sua famiglia Bianca parla della sua vita andando avanti ed indietro nei ricordi con grande coinvolgimento.
Questa illustrazione, realizzata presumibilmente da monsignor Manara, raffigura in scala 1:10 come apparivano le nuove finestre principali della chiesa di San Biagio dopo l'ampliamento avvenuto nel 1768.
Si tratta di una scansione di una vecchia fotocopia dell'illustrazione originale.
La fotografia mostra un estratto da un catalogo del calzaturificio Dallapè di Stravino dove vengono illustrati i vari modelli di scarponi tra cui scegliere. Dal 1930 gli scarponi Dallapè venivano spediti in tutta Italia con la posta. Questo estratto dovrebbe risalire tra il 1954 e il 1960 circa.
La fotografia mostra in primo piano Dallapè Nerio al lavoro durante il taglio delle "tomaie" nel 1954. Sullo sfondo altri due operai al lavoro con le macchine da cucire presso il calzaturificio Dallapè di Stravino.