Accanto ai contadini c'erano un tempo in tutti i paesi della Valle dei Laghi molti piccoli artigiani specializzati in settori specifici. Spesso il mestiere si tramandava di generazione in generazione ma altrettanto spesso le persone si adattavano alle esigenze del momento, imparavano sul campo e mettevano in gioco inventiva, passione e capacità pratiche per permettere la sopravvivenza della loro famiglia. Troviamo in questa collezione artigiani; luoghi, macchine e attrezzi di lavoro degli artigiani, prodotti degli artigiani.
Mestolo bucherellato, usato per schiumare i liquidi in bollore o per togliere le vivande dal liquido di cottura. Dopo il suo utilizzo era riposto sopra una griglia accanto alla cucina economica, alla portata dell’uso.
Nel Borgo di Santa Massenza, Capitale della Grappa, nel 2006 è stata allestita all'interno di una casa storica del 1875 la mostra permanente “Un viaggio tra turbine e alambicchi”, testimonianza storica delle due facce del paese: vocazione centenaria della distillazione artigianale della grappa e volto industriale dell’Italia del dopoguerra con la costruzione della Centrale Idroelettrica. Modo originale per evocare la ricchezza costituita dall'intreccio tra la modernizzazione e la tradizione.
L'iniziativa è stata realizzata sotto l’egida del Progetto memoria per il Trentino.
Quattro i pezzi prioritari dell'alambicco, apparecchio per la distillazione della grappa e altri distillati: la caldaia - detta cucurbita - dove sono custodite le vinacce, recipiente in rame chiuso da uno speciale coperchio l’elmo o duomo - collegato ad un tubo - collo d'oca o di cigno - che trasferisce poi i vapori della ‘cotta’ nella cosiddetta serpentina, tubazione contorta immersa in un recipiente d’acqua fredda.
Già a metà del 1800 si registrano licenze per poter distillare, prima dall' Impero Asburgico e poi dalla Guardia di Finanza. In paese operarono contemporaneamente dai primi anni del '900 13 piccole distillerie diverse.
La produzione della grappa é sempre stata rigidamente regolamentata. Un tempo il permesso per ‘la cotta delle vinacce’ era dato ad ore, con un limite per ogni distilleria di 24 ore.
Gli antichi mulini di Calavino costituiscono ormai un ricordo legato alla vita passata di cui purtroppo rimangono poche testimonianze. Rispetto agli altri paesi della Valle di Cavedine, Calavino è sempre stato caratterizzato da una ricchezza di sorgenti e corsi d’acqua che hanno contribuito allo sviluppo socio-economico e alla configurazione del paese. Per localizzare e ricostruire quello che una volta formava il cuore della vita artigianale del paese si è voluto creare un percorso che, attraverso sette pannelli, attraversa i principali punti dove si trovavano un tempo gli opifici.
L’inizio del percorso è pensato nella zona del Bus Foran, dove la Roggia entra nel paese ed è collocata la bacheca introduttiva. Oggi buona parte della Roggia non è più visibile perché scorre al di sotto della strada, ma ci sono alcuni scorci dove la vediamo costeggiare le abitazioni. Il percorso passa dalla Piazzetta delle Regole, dove si gode di un’ottima visuale, per poi continuare nella parte vecchia del paese, il quartiere del Mas, cuore pulsante dell’artigianato di un tempo.
Si stima che lungo la Roggia esistessero più di una trentina di mulini, destinati a diverse attività, che oggi sono purtroppo scomparsi e del quale restano poche testimonianze.
I bambini della scuola elementare nella loro pubblicazione del 1981/82 elencano i mulini attivi a ricordo degli anziani e testimoniano che "Seguendo il percorso della Roggia possiamo ancora ammirare segni del passato: alcune grosse macine di pietra e frammenti delle grandi ruote di legno": sorprende come nel 1980 ci fossero ancora frammenti delle ruote di legno.
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Bibliografia:
- pag. 47-48 di
Il percorso "Antichi mulini del Borgo" va dalla località Naran fino a via Ronch, passando per via Borgo. È illustrato da una bacheca e 11 pannelli nei pressi degli 11 ex mulini che sfruttavano l’acqua della Roggia Grande ad inizio ‘900. L’acqua proveniente in parte da Covelo forniva già lì energia ad un mulino di cui si parla già nel 1244-47 e, superato Vezzano, continuava poi il suo corso alimentandone altri ancora a Padergnone fino a placare la sua corsa nel Lago di Santa Massenza.
La presenza di mulini a Vezzano è documentata fin dal 1208 e si è fermata completamente nel 1979.
Copia dei pannelli è collegata a questa risorsa ed il sito di Ecomuseo con gli approfondimenti è raggiungibile qui:
Foto di famiglia davanti alla fucina. Si può leggere "Aldrighetti fabbro" sopra l'entrata.
I personaggi ritratti nella foto sono il fabbro Giacinto Giuseppe Aldrighetti (1857-1937) con la moglie Barbara (o Barberina) Poli di Santa Massenza (1859-1930) e in piedi una delle figlie, Virginia (1902-1982), emigrata giovane in America del Nord.
La data dello scatto è stata desunta approssimativamente dall'età dei protagonisti.
Questo scatto ci permette inoltre di notare il selciato, comune sulle strade ripide com'è via Borgo.
Il battente in ferro è andato perso negli anni '60 con la sostituzione della porta.
Si presume che l’accessorio in ferro pendente sul lato destro fosse collegato ad una campanella, come era uso un tempo.
Sugli stipiti laterali ci sono due tratti in pietra più scura che riportano una scritta non chiaramente leggibile (10?), forse una data o il numero di casa.
La fucina Aldrighetti era specializzata nella produzione di piccoli attrezzi.
È stata fondata da Giobatta Aldrighetti (1831-1907), figlio del fabbro Giovanni Battista Vitale di Glolo nel Banale. Giobatta arrivò a Vezzano a servizio dei Morandi, poi si mise in proprio e sposò Luigia Tonelli di Vezzano con la quale ebbe 14 figli tra il 1855 ed il 1876. Proseguirono poi l'attività i suoi figli: Giacinto Giuseppe (1857-1937) ed Eugenio Gregorio (1862).
Guerra, emigrazione ed infine negli anni trenta il sequestro dei metalli per la causa bellica, determinarono la chiusura del laboratorio. Quel che rimane oggi a testimoniare questa attività del passato, nel giardino privato è parte della “bot de l'òra”, accessorio indispensabile in ogni fucina, ed all’interno della casa di abitazione diversi particolari che il proprietario ha tenuto a recuperare alla memoria.
Il sito di Ecomuseo con gli approfondimenti è raggiungibile qui:
Seguendo il corso d’acqua, rimanendo sempre nella parte sopra la chiesa di Ciago, si incontrava il secondo opificio; i coniugi Luigi Fortunato Cattoni (1864 - 1905) e Margherita Cattoni (1872-? figlia di Felice e di Teresa Eccel, altra famiglia di mugnai) furono gli ultimi proprietari che chiusero definitivamente i battenti ad inizio Novecento. L’edificio, che loro avevano acquistato dalle giovani figlie di Giacomo Cappelletti prematuramente scomparso, era suddiviso tra un piano terra dedicato al mulino, che ospitava “el castel” con gli ingranaggi, le macine in pietra, la “tramogia” (cono capovolto munito di fondo adoperato per versare i cereali nel macchinario), ‘l bùrat (macchinario per setacciare la farina e separarla dalla crusca) ed altri strumenti del mugnaio, ed un piano superiore destinato alla cucina ed alla camera da letto. All’esterno, sulla roggia, vi era un lavatoio.
Una bella foto presumibilmente di inizio Novecento testimonia la presenza di due ruote e di un canale della doccia. Questo, grazie ad una leva, si poteva spostare dall’interno del mulino.
La casa ha poi cambiato proprietari e per lungo tempo la parte del mulino è rimasta inutilizzata, salvo piccoli periodi come quello della seconda guerra quando vi ha soggiornato Vittorio Bertoldi, lo sfollato trentino che in quel periodo ha decorato la chiesa del paese. La grande ruota è andata pian piano decomponendosi fino a scomparire negli anni ‘60.
Alcune foto scattate nel 1991 per il notiziario comunale ci mostrano quel che allora era ancora presente all’interno dell’edificio: il castello con i sottostanti ingranaggi, le soprastanti pietre molitorie (palmenti) ed il canale di uscita della farina, un setaccio (crivel).
Un’altra foto fatta dalla scuola nel 2000 ci ricorda il lavatoio e una delle macine abbandonate, che ora decora un angolo del giardino riservato della casa.
Purtroppo col tempo molto di questo è scomparso.
La giovane famiglia che ora abita la casa ha compiuto recentemente lavori di isolazione dell’edificio sul fianco dove scorreva un tempo l’acqua della derivazione: scavando il tufo calcareo in quello che era il letto della derivazione è stata rinvenuta sul fondo una pavimentazione in selciato. Una grossa concrezione calcarea è ancora presente su un angolo dell'edificio dove l'acqua della derivazione iniziava a fiancheggiare la casa.
Su via di San Rocco, dall'altra parte della strada rispetto alla fontana accanto alla roggia, era attivo il mulino Cappelletti costruito da Antonio Cappelletti e dai suoi fratelli nel 1862 in sostituzione del precedente posto poco più in basso come riportato dalla mappa catastale asburgica. Nella dichiarazione prestata in quel frangente da “Antonio Cappelletti per sé e fratelli” all’Imperial Regia Pretura di Vezzano si legge: “I fratelli Cappelletti posseggono un mulino vecchio, mal composto, in disordine; essi intendono di mettere tale mulino che esistette sempre a ricordo d’uomo, e fu sempre in moto fino avanti pochi mesi…Domanda perciò con rispetto la facoltà di poter progredire nella riattazione del mulino. Osservano inoltre, che nel loro fondo erigono un avvolto da collocarvi carri, ed attrezzi da mulino…”.
Il nuovo mulino corrispondeva alla parte giallina di casa Cappelletti di oggi (2019). Appena attraversata la strada una derivazione portava l’acqua alla “doccia” che con un bel salto arrivava alla grande ruota idraulica posta al piano di sotto. Questo mulino occupava due piani dell’edificio, di sotto c’era il castello con gli ingranaggi, le macine (palmenti, prede) e la tramoggia. C’era poi il buratto che col suo movimento meccanico separava la farina raffinata da quella grossolana, la quale passava ad un elevatore a cinghie (“senge”) che portava al piano di sopra la farina per essere reimmessa nella tramoggia e rimacinata. Al piano superiore veniva consegnato il grano da macinare. Altri strumenti posti su questo piano per la preventiva pulizia del grano prima che entrasse nella tramoggia, anch’essi mossi dall’energia idraulica per mezzo di cinghie, erano: il “trabatin”, una sorta di setaccio meccanico mantenuto in costante movimento per separare i chicchi dalle impurità e di seguito la “svegiatrice” (svecciatrice), anch’essa in costante movimento per eliminare anche i piccoli semi di un’erba come la veccia, che avrebbe dato alla farina un cattivo sapore. Grazie a numerose pulegge in legno, di diametro e spessore diversi, collegate alle varie macchine con le cinghie, il moto conferito dalla ruota idraulica poteva essere trasmesso secondo le necessità all’attrezzatura opportuna.
Curiose sono le due porte d’entrata del mulino di uguale fattura, quella del piano superiore, ora all’interno dell’edificio sotto una terrazza garage, riporta sulla chiave di volta la data 1690. Si può ipotizzare che i due portali provengano dal vecchio mulino.
Il mulino Cappelletti, inizialmente “a prede” (macine), conobbe un’evoluzione tecnologica nel 1942 con l’installazione di un sistema a due cilindri per macinare sia il “zaldo” (farina gialla) sia il “bianco” (farina bianca). I fratelli Augusto ed Ivo Cappelletti ricordano il lungo e lento percorso fatto con i buoi per andare a recuperare i due grandi cilindri di seconda mano fino a Mattarello: partenza alle tre del mattino per ritornare alla sera. In quella occasione fu installata anche una nuova grande ruota idraulica in legno dal diametro di 3-3,5 metri. Sia questi lavori straordinari, sia la costante manutenzione ordinaria richiedevano l’intervento di artigiani qualificati; tra loro quelli che più spesso lavoravano per i Cappelletti erano il fabbro Alfredo Manzoni di Vezzano, i falegnami Giuseppe Cimadom di Cadine e Giacinto Faes di Fraveggio.
Nel 1953, in seguito alla ristrutturazione dell’acquedotto irriguo con la predisposizione delle girandole per l’irrigazione a pioggia che richiese lo sfruttamento di una maggiore quantità d’acqua, venne installata nel mulino Cappelletti una moderna turbina per convertire l’energia idraulica in elettrica, con presa d’acqua molto più a monte e racchiusa in una struttura metallica. Questa turbina, acquistata dall’officina Leitner di Vipiteno, poteva contare su un salto utile di 70 metri e una portata di 8 litri al min. sec.; compiva 1000 giri al minuto sviluppando una potenza di circa 6 HP. La roggia al tempo aveva una portata maggiore di oggi, ma era comunque indispensabile il rispetto di un calendario d’uso con orari cadenzati concordato tra consorzio irriguo e i Cappelletti, in particolare nei mesi di magra estiva, per garantire loro un adeguato apporto d’acqua durante la macinazione e ai campi al di sopra del mulino una sufficiente irrigazione.
Verso il 1955 l’edificio venne ampliato della parte oggi tinteggiata in rosa e così la turbina finì all’interno dell’edificio. L’aspetto curioso è che da allora la roggia passa sotto questo edificio formando una cascata proprio sotto lo stuoino all’ingresso della nuova abitazione.
Nel 1960 anche questo ultimo mulino di Ciago chiuse i battenti ed oggi non conserva nulla della vecchia attività; la turbina è stata venduta ad un collezionista friulano ed il resto è andato distrutto.
Il fondamentale ruolo ricoperto dai mulini nella storia e nell’economia del paese di Ciago si rintraccia facilmente nelle testimonianze documentarie, orali e toponomastiche presenti ancora oggi. Il paese è infatti attraversato dal rievocativo tracciato della “Val dei Molini” che, trasformatosi in sentiero, un tempo costituiva una via principale che si collegava, mediante una rampa, alla strada sottostante, via di San Rocco. Lì la roggia attraversa la strada ed, in passato, vi era collocato un lavatoio - abbeveratoio posto in posizione parallela alla larghezza del tracciato che lasciava uno stretto passaggio per i carri al suo fianco. Ancora oggi parte di questo sentiero viene utilizzata frequentemente dai pedoni che si spostano fra via San Rocco e la chiesa, sono state abbandonate la ripida parte che raggiungeva il vecchio mulino Cattoni fiancheggiando la roggia e pure la ripida parte in basso alla quale si preferisce il Vicolo della rogia pur se privato.
Il toponimo della “Val dei Molini” si lega alle tradizionali arti molitorie che venivano esercitate nel borgo almeno sino dal 1387. A partire da tale data si leggono le prime tracce della presenza d’opifici collocati lungo la roggia del torrente Valachel e di un certo «…Antonius de Veczano…».
Le vicende dei mugnai e della macinazione dei cereali a Ciago rimangono celate sino al 1848, anno di richiesta per la costruzione di una chiusa sulla roggia ai fini dell’antincendio “A lato del paese di Ciago scorre una roggia che serve all’uso della macina in quel comune ...”. Successivamente furono resi pubblici la “Relazione Statistica della camera di Commercio e d’Industria in Rovereto per l’anno 1880”, testimoniante la presenza di tre mugnai, e la cartografia del 1860 (prodotta dal Catasto Asburgico) riportante ben cinque mulini. L’analisi della mappa attesta l’esistenza dei mulini Cattoni, Eccel e Zuccatti, il successivo spostamento di sede dell’opificio Cappelletti e la posteriore costruzione della fucina Lucchi.
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Per approfondimenti sono consultabili on-line qui:
- Antichi mulini di Ciago - di Caterina Zanin e Rosetta Margoni - in
Percorso fra gli antichi luoghi produttivi della Valle dei Laghi.
In corrispondenza dei punti di interesse sono posizionati dei pannelli che descrivono brevemente quell'opificio storico sia in italiano che in inglese. Un qr-code presente sul pannello rimanda ad una pagina di approfondimento sul sito di Ecomuseo. Al percorso fisico si affianca perciò un prodotto editoriale consultabile qui:
Arnese di ferro di forma triangolare con tre piedini che si colloca sopra il fuoco (focolare aperto) sul quale è posta la pentola per cuocere le vivande. Si utilizza quando i tegami non sono agganciati alla catena (segosta) che scende dalla cappa.
La ruota idraulica a cassetta, in ferro, della fucina per la lavorazione del rame dei Manzoni, posta sulla Roggia Grande a Vezzano, è l'ultima ancora rimasta al suo posto in vista in Valle dei Laghi.
Operai al lavoro con pale e carriole per la costruzione della strada di collegamento Vezzano-Ranzo. Fino ad allora Ranzo era collegato al fondovalle solo con la strada di Paone che porta a Castel Toblino.
La foto è stata scattata davanti a quello che era il mulino Cattoni di Ciago, chiuso nel 1905. La data dello scatto è quindi antecedente tale anno. Si possono vedere le due ruote idrauliche, il canale della doccia e la leva che dall'interno lo azionava. La posizione della doccia, che mette a riposo ambedue le ruote, e l'abbigliamento curato della donna e del bambino in primo piano, inducono a presumere che la foto sia stata scattata in un giorno festivo.
Il "mògiol" qui descritto è fatto in ferro ed ha una capacità di 12 chili di frumento e 9 di granoturco. Veniva usato per misurare le granaglie che si consegnavano al mulino fin verso il 1950. La barra di ferro che lo attraversa serviva sia come manico per il trasporto sia come strumento per sgranare il granoturco strofinandovelo sopra.