Accanto ai contadini c'erano un tempo in tutti i paesi della Valle dei Laghi molti piccoli artigiani specializzati in settori specifici. Spesso il mestiere si tramandava di generazione in generazione ma altrettanto spesso le persone si adattavano alle esigenze del momento, imparavano sul campo e mettevano in gioco inventiva, passione e capacità pratiche per permettere la sopravvivenza della loro famiglia. Troviamo in questa collezione artigiani; luoghi, macchine e attrezzi di lavoro degli artigiani, prodotti degli artigiani.
pesante martello di dimensioni diverse, anche molto grosso, mosso un tempo dalla forza della ruota idraulica, utilizzato nelle fucine.
Sul fuso della ruota idraulica era montato un albero a camme, cioè con delle sporgenze che, ruotando, andavano continuamente a sollevare il "manico" del "martellone" per poi lasciarlo cadere.
In occasione delle feste madruzziane Ferruccio Morelli con la Pro Loco ha ricostruito un maglio funzionante a ruota idraulica tra il Mulino Pisoni "Tonati" e la "fucina Morandi" per mostrare ai visitatori una delle attività artigianali svolta nel passato proprio lì.
Ora purtroppo non ne rimane che qualche parte.
Queste macine di pietra, dette "mole", molto grosse, sono state trovate nella roggia davanti al mulino-cementificio dei Pisoni Fornéri poi Pedrini ed esposte nel 2009 nella nuova piazzetta delle Regole.
Mentre quella di sinistra presenta su un lato le classiche scanalature e convessità delle mole per la macinazione dei cerali, quella di destra non è lavorata sui fianchi, per cui si presume che sia proprio una delle "molazze" del pestino del cementificio Pedrini.
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Bibliografia:
Mariano Bosetti ne parla a pag. 72 e 116 di
Rappresentazione grafica elaborata al computer di tutte le attività funzionanti a ruota idraulica di cui l'esistenza è documentata e localizzata sulla Roggia di Calavino.
La falegnameria Chemelli "Morbini" è stata l'unica attività artigianale ad utilizzare l'acqua del Rio Freddo come fonte di energia.
Fino al 1828 la "strada maestra", ora provinciale, non esisteva e questa parte del paese non era servita dalla vecchia strada imperiale, che univa Padergnone con la Valle di Cavedine (quella sulla quale ora c'è il depuratore).
Il primo Chemelli "Morbin" arrivato a Calavino da Vezzano era un falegname, classe 1800. Hanno seguito le sue impronte il figlio Francesco Andrea, classe 1832 ed il nipote Giovanni Desiderio (1856-1918). È con lui che inizia la storia di questa falegnameria.
Nel 1894 risulta l'iscrizione di Giovanni Chemelli nel "Registro delle industrie" e nel giugno del 1902 la sua istanza all'I. R, Capitanato Distrettuale di Trento per ottenere "il politico permesso di poter utilizzare e deviare circa 50 l. al minuto secondo d'acqua della roggia comunale Rio Freddo per l'esercizio d'una officina ad uso falegnameria da costruirsi sulla sua particella fondiaria n. 511".
Bene presto la falegnameria prese il via ed a Giovanni si affiancò, e poi continuò, il figlio (Francesco) Domenico (1881-1959) guadagnando riconoscimenti prestigiosi come il diploma con medaglia d'oro all'Esposizione Internazionale Agricolo-Industriale di Roma nel 1912. Nel periodo prebellico 1912/14 a Domenico Chemelli vennero affidate importanti commesse pubbliche per opere da falegname come l'asilo - teatro e la nuova scuola elementare. L'azienda si ingrandì e nel secondo dopoguerra diede lavoro a molti giovani apprendisti occupandosi soprattutto di serramenti e mobili.
Negli anni sessanta, con l'avvento della grande industria, la concorrenza diventò difficile da sostenere. Tra i figli di Domenico solo Ezio (1923-2000) continuò l'attività di famiglia ritornando alla gestione familiare con pochi dipendenti e puntando su serramenti e scale.
Ora porta avanti l'azienda il nipote di Ezio: Andrea Bolognani.
Rappresentazione grafica elaborata al computer ricostruendo come si presentavano queste attività produttive quando erano attive.
Si può osservare la sorgente con cascata del Bus Foran, con le due derivazioni ed i resto dell'acqua che entra nella roggia di valle sull'altro lato della strada. Da osservare anche la ruota idraulica con carica dell'acqua dall'alto, tecnologia indispensabile quando la quantità dell'acqua non è tanta.
Nel 1860 è documentata qui la presenza di due mulini di Floria Domenico "Mosca" dei quali quello a monte era una segheria.
Erano alimentati da una derivazione che partiva a monte della cascata del "Bus Foran", arrivava ad una vasca di carico sopraelevata rispetto ai due edifici, da lì partivano le due canalette a servizio dei due edifici.
L'acqua si immetteva quindi nella derivazione a valle della cascata del "Bus Foran" per poi infilarsi sotto il ponte verso piazzetta ai Zoni e proseguire la sua corsa verso altri mulini.
Rappresentazione grafica elaborata al computer ricostruendo come si presentavano i mulini al Mas quando erano attivi.
Da notare come sia la roggia che la derivazione a servizio dei mulini (sulla sinistra idrografica) escono da tunnel sotto casa Chemelli.
Era situato nel rione del Mas, il più antico di Calavino, sulla sinistra orografica del ramale della roggia che alimentava dapprima i mulini Graziadei poi Pisoni.
Nel 1860 risultava qui attivo il mulino di Furlanelli Giovanni:
I mulini Graziadei "Ferèri"
I mulini Graziadei erano situati nel rione del Mas, il più antico di Calavino, sul ramale in sinistra idrografica della roggia che esce dal tunnel sotto l’edificio Chemelli.
Nel 1860 risultavano qui attivi due mulini di Graziadei Bortolo fu B. "("Ferèri") e un mulino di Graziadei Domenico fu B. "("Ferèri"):
L'identificazione dei mulini è data dal soprannome di famiglia derivato dal fatto che svolgevano anche l’attività di panificatori.
Si trova nel rione Bagnöl su un tratto pianeggiante della Roggia che lo attraversa con qualche salto o cascatella. Qui si concentravano diverse attività artigianali, in particolare mulini.
Questa parte del paese è stata molto modificata fra il 1951 e il 1968 con la costruzione della strada provinciale che ha coperto la roggia; fino ad allora la strada di valle, superato la piazza, entrava in via Graziadei - piazzetta delle Regole - via dei Filatòi - piazzetta ai Zoni e con un ponte attraversava la roggia e poi proseguiva come ora.
Per tornare al tempo dei mulini dobbiamo perciò immaginare questa diversa viabilità ed il tratto nuovo della strada occupato dalla roggia, dalle sue derivazioni e dalla campagna, come lo vediamo rappresentato nella mappa del 1860, quando i "Fornèri" proprietari dei mulini erano Pisoni Giuseppe, a valle dell'attuale piazzetta delle Regole, e Pisoni Domenico, a monte della stessa che aveva anche il panificio:
Una concentrazione di attività artigianali, prevalentemente mulini per la macinazione dei cereali, si sviluppava all’imbocco del rione Mas in corrispondenza del ponte del “Cleo” (da clivo = erta, salita).
A questo punto si dipartiva una nuova articolazione del corso d’acqua:
- il ramo principale che, com’è attualmente, seguiva un profilo rettilineo;
- un’ampia derivazione arcuata, che andava a lambire gli edifici in sponda destra con una movimentazione di canalette e ruote dentate, finalizzate all’alacre lavorio delle macchine artigianali.
Nel 1860 era documentata qui la presenza delle ruote idrauliche di Pisoni Giuseppe ("Tirares"), Casoni Giovanni Sen. ("Feltrini") e Lunelli Antonio ("Lunèi"):
Posto subito sotto il Rione del Mas, sulla sponda in sinistra orografica della Roggia di Calavino, in un tratto del corso d’acqua caratterizzato da un notevole dislivello con una serie di cascate.
Nel 1860 si fa riferimento al mulino di Aldrighetti Sebastiano:
Racchiusa nell'angusto spazio tra le opere di presa e l'argine della roggia questa "bót de l'òra" conserva intatta la sua parte in pietra. Nella copertura superiore si possono notare i due spazi aperti affiancati in cui erano infissi i tubi necessari per l'entrata dell'acqua e per l'uscita dell'aria. Da questa apertura si può osservare sul fondo il palo in legno dove sbatteva l'acqua per produrre l'aria ossigenata, necessaria alla fucina per mantenere il fuoco vivo così da raggiungere le alte temperature indispensabili alla lavorazione del ferro.
Rappresentazione grafica elaborata al computer ricostruendo come si presentava l'opificio quando era attivo.
Una derivazione portava l'acqua ad una vasca di carico da cui partivano due canalette, una alimentava la "bót de l'òra", dalla quale usciva poi il tubo dell'aria ossigenata che arrivava alla fucina, l'altra portava alla ruota idraulica.
La vasca di carico era usata anche come lavatoio vista la presenza della lastra di pietra inclinata.
Rappresentazione grafica elaborata al computer ricostruendo come si presentavano i mulini al Bailo quando erano attivi.
L'alveo della Roggia di Calavino, con le sue impetuose cascate, affiancava il mulino Aldrighetti-Scalfi, con la sua ruota idraulica, e scendeva poi a sfiorare l'edificio sottostante.
Qui una derivazione, con le sue saracinesche, alimentava la "bót de l'òra", la canaletta che portava al mulino del conte Sizzo Giuseppe e quella più lunga che portava alla ruota del mulino Lutterini Antonio "Galinòta". Ogni utilizzo aveva poi il canale di scarico per il ritorno dell'acqua nella roggia.
I Mulini al Bailo, così chiamati dal toponimo della località, sono un complesso di edifici, ristrutturati negli anni ’90 del ‘900, posti sulla sponda in sinistra orografica della Roggia di Calavino poco sotto l'abitato.
Questo tratto del corso d’acqua è caratterizzato da un notevole dislivello con una serie di cascate, condizione favorevole in passato per movimentare proficuamente le ruote idrauliche.
Nel 1860 si fa riferimento alla presenza qui del mulino del conte Giuseppe Sizzo e di quello di Lutterini Antonio "Galinòta” (1815-1923):
La ricostruzione di un mulino in forma ridotta, ma perfettamente funzionante, è stata fatta su un'idea ed a spese di Emanuele Pisoni.
Come per la segheria, è stato subito affiancato da Fabio Bassetti che ha costruito la struttura portante e da Ferruccio Morelli che ha realizzato le parti in metallo; il resto è stato tutta opera sua: ruota, lubecchio, lanterna e tramoggia. Le macine in pietra sono state fatte da Giancarlo Pozzani di Stravino, noto scalpellino.
Massima attenzione è stata data ai particolari, compreso l'elevatore per la rabbigliatura delle macine.
Il mulino è smontabile così da poterlo trasportare e ricostruire in luoghi diversi.
Una pompa permette il movimento e ricircolo dell'acqua, indispensabile al moto della ruota idraulica, laddove non possa essere collegato direttamente ad una roggia.
I pezzi di questo pestino a mole sono stati recuperati dal mulino Ricci Dinòti e montati nel giardino della casa di fronte da Sandro Ricci. A quanto ricorda il pestino è stato acquistato dalla sua famiglia con l'intenzione di affiancarlo alle macine del mulino ma non è mai stato montato nel mulino stesso.
"Io sono la Sega Veneziana e devo la mia rinascita alla “pazzia”, caparbietà e un pizzico di ingegno di tre signori che mi hanno voluto riesumare dalla mia ormai decennale dipartita.
Erano gli anni cinquanta-sessanta quando, dopo centinaia di anni di onorato servizio, ho dovuto lasciare spazio alla incombente tecnologia moderna.
Si dice che io sia nata da un'idea di Leonardo da Vinci; bene c'è da crederci, perché nonostante i miei movimenti siano apparentemente di una semplicità estrema, i vari sincronismi, indispensabili per il buon funzionamento, sono stati un bel grattacapo per coloro che mi hanno riportato alla vita, segno che il grande Leonardo ha dovuto pensarci un po' prima di darmi un'anima.
Certo che il mondo d'oggi è cambiato totalmente da quando operavo paziente governata da un silenzioso e instancabile “Segheta”.
Quel mondo incantato oggi non c'è più. Quando l'acqua movimentava la mia ruota e io cominciavo a sezionare le “bòre” e il “Segheta", come un burattinaio comandava serioso ogni movimento, era musica, musica vera, come quella delle grandi opere, tanto che i passanti si fermavano ad osservare incuriositi a bocca aperta. A conferma di questo, cioè che quel mondo non c'è più, ho dovuto accettare un compromesso per la mia rinascita e funzionare, qualche volta, a secco visto che l'acqua nelle piazze non c'è .
L'importante però è testimoniare in modo realistico il ruolo che ho avuto per centinaia di anni e ringrazio questi tre signori che mi hanno dato questa possibilità.
I protagonisti .
I tre protagonisti citati sono tre coscritti del 1948 di Calavino che oltre ad avere la stessa età sono accomunati da molte altre cose.
Tutti e tre figli di artigiani del legno, tutti e tre appassionati della storia dei vecchi mestieri e curiosi di conoscere i segreti (che rischiano di rimanere tali) delle vecchie macchine e attrezzi di un tempo, per questo si son messi in testa di costruire la Sega Veneziana, strumento di lavoro che ha avuto vita fino agli anni sessanta. In particolare a Calavino l'ultima Sega Veneziana è stata smantellata nel 1968 a casa Pisoni “Segheti”. Si spera che dopo mesi di lavoro certosino questa ricostruzione possa dare testimonianza vera della storia “recente” del nostro paese che in realtà sembra lontana anni luce.
CALAVINO 15 giugno 2008
Morelli Ferruccio — Pisoni Emanuele — Bassetti Fabio"
Questo citato è il testo predisposto dagli autori in occasione della prima attivazione della loro segheria alle feste madruzziane di Calavino del 2008. Nelle foto si vede la stessa sega pronta per l'edizione 2016 della stessa festa e di seguito la sega in funzione all'edizione 2018 del festival etnografico presso il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina.
Qui la storia della segheria citata:
"All'inizio del sentiero che da Calavino porta alla Forra dei Canevai si trova un avvolto interrato che in passato veniva utilizzato come cantina.
Appena entrati, nell’angolo a destra si trova, ancora intatta, la "Busa dela Calcina”, o "Calcinèr”.
Parecchi anni fa a Calavino in molte case era presente questa buca, in cui si metteva la calce che poteva servire per molteplici usi: mescolata con la sabbia per realizzare intonaci per le case o per costruire muri o, ancora, per tinteggiare le stanze. Mischiandola con il verderame si otteneva invece un trattamento anticrittogamico per le viti.
Per produrre la calce si dovevano cuocerei sassi di calcare in una sorta di fornace detta “Calchèra”; i sassi cotti, che diventavano di un bianco candido, venivano posti in queste buche riempite di acqua, e, in poco tempo, si scioglievano diventando una pasta morbida pronta all’uso."
Così lo descrive Emanuele Pisoni, proprietario del luogo ed a questo proposito ci racconta anche il "gioco dei boacéti":