Accanto ai contadini c'erano un tempo in tutti i paesi della Valle dei Laghi molti piccoli artigiani specializzati in settori specifici. Spesso il mestiere si tramandava di generazione in generazione ma altrettanto spesso le persone si adattavano alle esigenze del momento, imparavano sul campo e mettevano in gioco inventiva, passione e capacità pratiche per permettere la sopravvivenza della loro famiglia. Troviamo in questa collezione artigiani; luoghi, macchine e attrezzi di lavoro degli artigiani, prodotti degli artigiani.
La fotografia risale al 1965 e mostra un gruppo di dipendenti e operai di Calzature Dallapè davanti al negozio che nel frattempo è stato restaurato con l'aggiunta di due vetrine che mostrano i prodotti realizzati.
La fotografia ritrae apprendisti e operai presso la calzoleria Dallapè nel 1951.
In ultima fila da sinistra verso destra sono presenti: Francesco "Caròbola", Martin Dallapè, Tullio Berti e Dallapè Claudio. In basso da sinistra verso destra: Celeste Dallapè, Irma Chistè, Carmen Dallapè, Nerio Dallapè, Carmen Pederzolli, Bombardelli Wilmo, Pederzolli Cornelio, Berlanda Erminio, Bolognani Elvidio, Berlanda Carlo e Giulio Dallapè.
La fotografia mostra un gruppo di apprendisti e operai della Calzoleria Dallapè nel 1943 in posa davanti all'ingresso dell'edificio.
Viene riportata la seguente descrizione:
"In alto a sinistra: Biotti Mario, Bolognani Elvidio, Berti Tullio, Calvetti Settimo, Dallapè Lino, Chemotti Amelia, Dallapè Anna, i fondatori Giulio e Celeste Dallapè, Giovanni Toccoli, Silvio di Lasino e Chemotti Ottorino.
La fotografia ritrae un gruppo di apprendisti e operai della Calzoleria Dallapè. Lo scatto è avvenuto nel 1947 davanti al capitello della Pietà di Stravino.
La fotografia riporta la seguente descrizione:
"In alto a sinistra: Cornelio "Mentìn", Irma "Formentona", Carmen "Caglièra", Amelia "Gambèta", Claudio "Bianchìn", Dallapè Celeste "Caglièr", Tullio "Caserot", "Brìzio" de Bròsin, Lino "Bàfo", Dallapè Giulio e Nerio "Caglièr", Bolognani Elvidio "da Vic".
La fotografia risale al 1928 e mostra i fratelli Giulio e Celeste Dallapè, l'amico Aldo e i primi apprendisti della nuova calzoleria Dallapè di Stravino. Gli autori della fotografia potrebbero essere gli stessi fratelli Dallapè che in quegli anni iniziarono a realizzare scatti fotografici amatoriali.
La fotografia mostra la nuova casa dei fratelli Giulio e Celeste Dallapè costruita negli anni 20 del 1900. Lo scatto risale precisamente al 1928, anno in cui i fratelli aprirono la prima calzoleria nel paese di Stravino sulla strada statale.
La fotografia ritrae i fratelli Giulio e Celeste Dallapè in uno scatto risalente ai primi anni del 1900.
Nel 1920 iniziarono a produrre scarpe aprendo la prima calzoleria nel paese di Stravino nel 1928, dando vita ai una dinastia di "maestri calzolai".
Nello scatto è ben visibile una parte dell'insegna della fucina Manzoni che riporta la scritta: "articoli da cucina, albergo, caseificio". Risulta visibile il canale di carico nella parte destra del caseggiato.
Questo quaderno documenta la presenza di un secondo corso muratori a Cavedine nel 1955.
Sono state qui riportate alcune pagine che, oltre a mostrare ciò che si imparava in questo corso, ci danno anche un'indicazione dei prezzi del tempo in questo campo.
La fotografia ritrae un angolo molto caratteristico della casa natale di don Evaristo Bolognani a Vigo Cavedine.
Date le sue forme gli abitanti del paese erano soliti chiamarla "Torre" o in forma dialettale "Tor".
Oggi tale struttura non è più visibile.
Rappresentazione grafica elaborata al computer ricostruendo come si presentava l'officina Morandi. Possiamo osservare come al fuso di un'unica ruota idraulica, grazie a camme, pulegge e cinghie, fossero collegate più macchine: il maglio, il tornio, la mola ed in tempi più recenti anche il ventilatore.
Questo importante documento, di cui una trascrizione dell'originale è presente nell'Archivio Parrocchiale di Calavino, redatto in risposta alle sollecitazioni della Comunità di Calavino, ribadisce che le acque che scorrono nel territorio di Calavino sono di proprietà dei vicini.
Molto interessante l'elencazione delle diversificate attività artigianali presenti e radicate sulla roggia: "Mulini, i loro Folli del Panno e delle Fongarolle, le loro Fonderie Ferrarie e Seghe di Legnatico". Non trovando riscontro al termine "fongarolle" si ipotizza che possa essere stato compiuto un errore di trascrizione e che ci si riferisse alle "fojarolle", ossia lo scotano, pianta che veniva lavorata fino ad inizio novecento per l’impiego nella concia delle pelli e nella tintura, essendo ricco di tannino e trementina.
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Così lo riporta Mariano Bosetti:
“Fedel nostro diletto. Havendo la Comunità di Callavino, cioé li homini di Callavino coi suoi Regolani majore et minore ed a mezzo Vostro fatto a noi preghiera di voler giudicare e poi confermare le loro ragioni e diritti riguardo alle loro acque, che vi nascono copiosamente et servono per Molini e portano truttelle, Noi quale Principe Padrone del territorio avendo esaminato la Carta del privilegio concesso dal Nostro antecessore Duca di Massovia dei 7 Junio 1437 per li homini et Università [comunità che agisce verso comuni obiettivi] degli homini di Callavino, di cui ancora in quel tempo su le prove date, fu giudicato essere tutte le Acque di Callavino, perché correnti su terra privata, di proprietà assoluta di detta Università o Comunità quindi proprietà dei Vicini di Callavino assieme alla pesca particolare che poi il Nostro Prognato Cardinale Cristoforo Madrutio, nato in Castell Madrutio, Patrono del Dominio diretto della Terra di Callavino, Noi giudichiamo per le stesse cause come è stato deliberato dall’Eccelsa Superiorità del Nostro Principato, che tutte le Acque correnti in Callavino e della valle di Cavedine dentro la Podestaria di Trento ha donato liberamente e generalmente, salvis la dote di Castell Madrutio, agli homini e Vicini di Callavino, e principalmente quelle defluenti dalla Fonte del Liffré [Rio Freddo], giacente entro il prato del Beneficio della Pieve di Callavino e dalla fonte del Buso del Foram [Bus Foran] nel prato del Messer Floriano Gaiffis di Callavino, che corrono separate fin sotto il Molino di Messer Bortolo Graciadei fino al punto dove essa cade nel Lago di Toblino, sono di assoluta e perpetua proprietà privata dei Vicini della Comunità di Callavino per tutto lo spatio dalle stesse Acque percorso perché corrono unicamente entro l’habitato di proprietà di detti Vicini senza pregiudizio delle raggioni degli stessi che se ne servano per far andar i loro Mulini, i loro Folli del Panno [gualchiera per la follatura dei panni, azionata ad acqua] e delle Fongarolle, le loro Fonderie Ferrarie e Seghe di Legnatico, perché ne hanno diritti inveterati radicati nei loro edifici, possano fruire delle Acque come loro proprietà e solo paghino un hobolo a la Comunità per il Saltaro [guardia comunale] delle Acque. Confermiamo ancora il Documento di Privilegio del Vescovo Alessandro di Massovia e tutte le antiche consuetudini e Diritti dei Vicini su le Acque di Callavino, facendo di pubblica raggione che le Acque di Callavino unitamente al Remone di Toblino sono Acque di diritto privato [private dei vicini di Calavino] e non pubblico o domenicale [signorile] e sottostanno come Diritto privato delle Acque al Nostro Statuto Clesiano. Giudichiamo e riconfermiamo infine che la Pescaggione d’ogni specie in dette Acque e quelle nel Fiume Sarca e quelle a piede asciutto nel Lago di Toblino e Padergnone [riferimento a quello di S.Massenza sul territorio di Padergnone] è pure per antichi Privileggi e Nostro speziale riconoscimento un Diritto privato di tutti i vicini formanti la Comunità di Callavino. Voi Fedel Nostro Diletto, Capitano del Castell Madrutio, pubblicherete nella Regola di Callavino questo nostro Placito e ne provvederete la Scrittura nello Statuto di Callavino e nel Libro della Podestaria e l’observantia del Nostro Giudicato e impederete alcuna novità”
La fucina è il focolare dove il fabbro scalda il ferro fino all'incandescenza in modo da poterlo lavorare, o fonde il rame per poterlo versare nelle forme e proseguire poi la lavorazione.
Per estensione si dice fucina anche il laboratorio del fabbro.
pesante martello di dimensioni diverse, anche molto grosso, mosso un tempo dalla forza della ruota idraulica, utilizzato nelle fucine.
Sul fuso della ruota idraulica era montato un albero a camme, cioè con delle sporgenze che, ruotando, andavano continuamente a sollevare il "manico" del "martellone" per poi lasciarlo cadere.
In occasione delle feste madruzziane Ferruccio Morelli con la Pro Loco ha ricostruito un maglio funzionante a ruota idraulica tra il Mulino Pisoni "Tonati" e la "fucina Morandi" per mostrare ai visitatori una delle attività artigianali svolta nel passato proprio lì.
Ora purtroppo non ne rimane che qualche parte.
Queste macine di pietra, dette "mole", molto grosse, sono state trovate nella roggia davanti al mulino-cementificio dei Pisoni Fornéri poi Pedrini ed esposte nel 2009 nella nuova piazzetta delle Regole.
Mentre quella di sinistra presenta su un lato le classiche scanalature e convessità delle mole per la macinazione dei cerali, quella di destra non è lavorata sui fianchi, per cui si presume che sia proprio una delle "molazze" del pestino del cementificio Pedrini.
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Bibliografia:
Mariano Bosetti ne parla a pag. 72 e 116 di
Rappresentazione grafica elaborata al computer di tutte le attività funzionanti a ruota idraulica di cui l'esistenza è documentata e localizzata sulla Roggia di Calavino.
La falegnameria Chemelli "Morbini" è stata l'unica attività artigianale ad utilizzare l'acqua del Rio Freddo come fonte di energia.
Fino al 1828 la "strada maestra", ora provinciale, non esisteva e questa parte del paese non era servita dalla vecchia strada imperiale, che univa Padergnone con la Valle di Cavedine (quella sulla quale ora c'è il depuratore).
Il primo Chemelli "Morbin" arrivato a Calavino da Vezzano era un falegname, classe 1800. Hanno seguito le sue impronte il figlio Francesco Andrea, classe 1832 ed il nipote Giovanni Desiderio (1856-1918). È con lui che inizia la storia di questa falegnameria.
Nel 1894 risulta l'iscrizione di Giovanni Chemelli nel "Registro delle industrie" e nel giugno del 1902 la sua istanza all'I. R, Capitanato Distrettuale di Trento per ottenere "il politico permesso di poter utilizzare e deviare circa 50 l. al minuto secondo d'acqua della roggia comunale Rio Freddo per l'esercizio d'una officina ad uso falegnameria da costruirsi sulla sua particella fondiaria n. 511".
Bene presto la falegnameria prese il via ed a Giovanni si affiancò, e poi continuò, il figlio (Francesco) Domenico (1881-1959) guadagnando riconoscimenti prestigiosi come il diploma con medaglia d'oro all'Esposizione Internazionale Agricolo-Industriale di Roma nel 1912. Nel periodo prebellico 1912/14 a Domenico Chemelli vennero affidate importanti commesse pubbliche per opere da falegname come l'asilo - teatro e la nuova scuola elementare. L'azienda si ingrandì e nel secondo dopoguerra diede lavoro a molti giovani apprendisti occupandosi soprattutto di serramenti e mobili.
Negli anni sessanta, con l'avvento della grande industria, la concorrenza diventò difficile da sostenere. Tra i figli di Domenico solo Ezio (1923-2000) continuò l'attività di famiglia ritornando alla gestione familiare con pochi dipendenti e puntando su serramenti e scale.
Ora porta avanti l'azienda il nipote di Ezio: Andrea Bolognani.
Rappresentazione grafica elaborata al computer ricostruendo come si presentavano queste attività produttive quando erano attive.
Si può osservare la sorgente con cascata del Bus Foran, con le due derivazioni ed i resto dell'acqua che entra nella roggia di valle sull'altro lato della strada. Da osservare anche la ruota idraulica con carica dell'acqua dall'alto, tecnologia indispensabile quando la quantità dell'acqua non è tanta.
Nel 1860 è documentata qui la presenza di due mulini di Floria Domenico "Mosca" dei quali quello a monte era una segheria.
Erano alimentati da una derivazione che partiva a monte della cascata del "Bus Foran", arrivava ad una vasca di carico sopraelevata rispetto ai due edifici, da lì partivano le due canalette a servizio dei due edifici.
L'acqua si immetteva quindi nella derivazione a valle della cascata del "Bus Foran" per poi infilarsi sotto il ponte verso piazzetta ai Zoni e proseguire la sua corsa verso altri mulini.