Accanto ai contadini c'erano un tempo in tutti i paesi della Valle dei Laghi molti piccoli artigiani specializzati in settori specifici. Spesso il mestiere si tramandava di generazione in generazione ma altrettanto spesso le persone si adattavano alle esigenze del momento, imparavano sul campo e mettevano in gioco inventiva, passione e capacità pratiche per permettere la sopravvivenza della loro famiglia. Troviamo in questa collezione artigiani; luoghi, macchine e attrezzi di lavoro degli artigiani, prodotti degli artigiani.
Al centro Casimiro Morandi, il falegname che ha aperto in questo edificio l'officina che hanno poi portato avanti i figli Alfredo (ultimo a sinistra) e Tullio, mentre la figlia Elia (ultima a destra) faceva la sarta.
Gli altri sono amici di famiglia che si trovavano la domenica per stare in compagnia e terminare spesso con una buona cena cucinata da Fortuna, la moglie di Casimiro.
La casa è poi stata ampliato q questa parte è ora all'interno.
In cima a via Ronch, vi era la nuova officina di Morandi Casimiro, falegname, dove l’Ecomuseo ha posto l’undicesimo ed ultimo pannello del percorso degli antichi opifici del Borgo.
È questo l’edificio con ruota idraulica di più recente costruzione, l’unico che prendeva l’acqua dal corso naturale della Roggia Grande. Tra il 1960 e il 1966 Morandi Tullio, "el rodèla" figlio di Casimiro, ed il suoi collaboratori producevano qui carri di diverso tipo.
Il fabbro carraio univa le competenze del falegname a quelle del fabbro per realizzare carri trainati da un bue o da una coppia di buoi, carri a due ruote per il trasporto dalla montagna di fieno (broz) e di legna (brozal), carriole e carrioloni, attrezzi da lavoro quali accette, falci, scuri, zappe, rastrelli, vanghe e badili.
Particolarmente delicata era la realizzazione delle ruote ed in particolare la rifinitura poiché in pochi secondi bisognava applicare a caldo la lama incandescente ed immergerla rapidamente nell’acqua fredda evitando così che il legno bruciasse.
Artistica era poi talvolta la rifinitura dei carri.
Nella foto vediamo una parte della fabbrica Bressan per la lavorazione delle noci, attiva a Fraveggio tra il 1888 e il 1965, che da novembre a marzo dava lavoro fino ad una cinquantina di donne. Qui vediamo alcune di loro impegnate a rompere le noci e dividere i gherigli a seconda della loro qualità.
Questa gerla fu comprata dal padre di Loretta alla fiera di S. Croce a Trento il 3 maggio del 1955 per i suoi figli, che erano talmente contenti del "regalo" che addirittura pranzarono indossandola.
Luisa Zanini, classe 1927, ha lavorato per 13 anni presso la sartoria Garbari.
Qui la vediamo indossare eleganti pantaloni da lei stessa realizzati, capo di abbigliamento ancora non diffuso fra le donne.
Macchina da cucire marca Junker & Ruh modello Renania intitolata alla Regina Margherita di Savoia: sul piano infatti c'è una sua fotografia, molto rovinata ma contraddistinta dalla sua caratteristica capigliatura. La datazione è per l'appunto tratta dal periodo del suo regno, prima come "regina consorte d'Italia" (09.01.1878 – 29.07.1900), poi come "regina madre" (29.07.1900 – 04.01.1926).
Due sarti e due sarte sono intorno ad un tavolo di lavoro nella sartoria di Ermenegildo Garbari.
La donna con il ferro da stiro è la suocera di Ermenegildo, Modesta Corradini (1888). Quel ferro da stiro elettrico (si noti il cavo di alimentazione proveniente dal soffitto) pesa 5 chili ed è tuttora conservato nella sartoria di famiglia.
I due giovani ai lati diverranno poi marito e moglie, sono Anna Morandi (1910) ed Enrico Vivori (1906).
Ermenegildo Garbari è impegnato alla macchina da cucire Singer nel suo laboratorio al primo piano di Via Dante 12 a Vezzano.
Dietro si possono vedere appesi alcuni attrezzi del mestiere.
Il riscaldamento della sartoria era fornito da una alta e decorata stufa ad olle di forma circolare.
Il lampadario era il classico a piatto.
Margerita era figlia di Cristoforo Chistè del fu Francesco e sposa di Giovanbattista del fu Pietro Bassetti.
Ai numeri 4 e 6 troviamo l'orleans, un tipo di tessuto leggero, lucido, di cotone o misto di cotone e lana, come riporta il
Anche i trasportatori coi loro carri avevano in quel periodo da lavorare per la costruzione delle gallerie collegate alla centrale di Santa Massenza. Durante il tragitto, assistiamo qui ad una breve pausa scherzosa proprio davanti al magazzino che la SISM aveva a Vezzano, messa in atto da "l'Angelin" di Calavino, il magazziniere della SISM. I trasportatori sono Carlo Gentilini e Giancarlo Garbari di Vezzano.
Come si vede dall'insegna, in quello stesso edificio, al piano superiore si trovava la sartoria di Ermenegildo Garbari, il quale non poteva perdere l'occasione per scattare una delle sue innumerevoli fotografie.
Diverse le notizie ricavate da questo documento, che a prima vista sembrava di scarsa importanza, presentandosi come mezza pagina strappata.
- a Padergnone c'era un tessitore che si chiamava Luigi Pedroti;
- i tessuti elencati in questo documento e venduti erano: dada (?), spina da braga (stoffa a spina di pesce per pantaloni), bombaso (cotone), canevela (canapa);
- la tela veniva misurata a bracci (marca B);
- i prezzi erano espressi in fiorini (marca fi) e carantani (marca X, corrispondenti a 1/60 di fiorino);
- l'acquisto è stato pagato tramite due acconti e presumibilmente col successivo saldo è stato consegnato questo documento al compratore
- il compratore probabilmente era un Bassetti di Santa Massenza visto che il documento in oggetto è stato conservato da quella famiglia.
Trascrizione del documento:
Memoria dele fatture di Tesitore di ogidi
dada B [bracci] 19 a x [carantani] 6 il brazo inporta - - - fi 1 x 54
spina da braga B 11 a c 6 il brazo inporta - - - - - - - - - - - fi 1 x 6
dopo Tela di bombaso B 31 a x 6 inporta - - - - - - - - - - - fi 3 x 6
altra Tela di canevela B 8 a x 4 inporta - - - - - - - - - - - - fi 0 x 32
------------------------------------------------------------------- fi 6 x 38
Lì 3 lulio 1857
Ricevo aconto fi 2:30
Luigi Pedroti di Padergnone
Ricevo altri aconto fi 2:30
Luigi Pedroti
Giorgio Tozzi, classe 1942, ci parla delle origini della sua macelleria, spaziando fra ricordi e racconti, che vanno dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale, alle attività che una volta si svolgevano lungo la Roggia di Vezzano.
La fucina Morandi si occupava della lavorazione del ferro ed aveva annesso il “travai”. All’interno di questo edificio il tempo si è fermato, la fucina rimodernata negli anni ‘40 per convertirla all’uso dell’energia elettrica ha funzionato fino agli anni ‘60, poi i Morandi continuano ancor oggi la loro attività di fabbri in spazi più adeguati sempre a Vezzano. Dopo mezzo secolo di abbandono si vedono ancora tracce delle parti esterne (ruote idrauliche, doccia, tromba idroeolica) e diversi macchinari presenti all’interno sono ancora lì insieme ad ingranaggi, pulegge e cinghie che permettevano di utilizzare di volta in volta la macchina desiderata.
Il sito di Ecomuseo con gli approfondimenti è raggiungibile qui:
Non sappiamo quando la lavorazione del rame ebbe inizio a Vezzano, è certo però che verso il 1922 essa era fiorente tanto che richiamò da Trento il ramaiolo Pietro Manzoni con i figli Antonio e Alfredo, originari di Vicenza, in qualità di dipendenti del signor Locchi, proprietario della locale fucina. Dopo una breve permanenza a Vezzano, i Manzoni si spostarono sulla roggia di Calavino per avviare un'attività in proprio. Verso il 1927 il Locchi vendette ai Manzoni il Iaboratorio artigianale. Nel 1975 i magli, mossi dalla grande ruota idraulica, batterono i loro ultimi colpi. lniziò così anche per i Manzoni l'era dell'energia elettrica, con macchinari moderni e partendo da fogli di rame bell'è pronti.
Il sito di Ecomuseo con gli approfondimenti è raggiungibile qui:
Il cementificio di Padergnone, sorto nel 1902 per volontà di Giuseppe Miori e del suo socio Graffer, frantumava le marne estratte dalla vicina Lasta dei Conti, dapprima a suon di mazza, poi avvalendosi di magli azionati dalla forza motrice dell'acqua della Roggia Grande. Nel 1924 venne installata una turbina (utilizzata inizialmente a turno con il Nuovo Mulino Miori) che trasformava l’energia idraulica in elettrica per: scaldare il forno, cuocere le marne, frantumare le pietre con la macina e perfino illuminare le abitazioni vicine. L’opificio, venduto nel 1943 alla famiglia Bassetti di Vezzano, fu adattato alla produzione di legname da opera e di imballaggi. Quest’attività andò scemando negli anni successivi portando alla sua chiusura negli anni ‘60– ‘70 del Novecento.
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Bibliografia:
Per approfondimenti si invia alla lettura di pag. 371, 379 383-388,394 del testo qui consultabile:
Il percorso degli antichi mulini di Padergnone si snoda principalmente a partire dall’incrocio tra via XII Maggio e via San Valentino, attraversa i Vòlti dei Caschi, segue via Montagnola ed infine percorre via di Pendè. Lungo questo itinerario il visitatore può leggere i pannelli dedicati, scoprire la storia degli antichi opifici del paese e notare le differenze esistenti tra gli antichi edifici e quelli odierni.
Sono stati collocati sei pannelli illustrativi che descrivono le caratteristiche e le vicende dei seguenti stabili: “mòlin dei Pradi” e la sega del “tòf”, “mòlin del Pero”, “mòlin de la Giòana” e le pescicolture Miori, Nuovo Mulino Miori ed infine cementificio Miori (trasformato nell’ex segheria Bassetti) ed il perduto opificio della famiglia a Prato.
Nel corso dei secoli a Padergnone furono sicuramente attivi 4 mulini e 5 opifici costruiti lungo il corso della roggia che attraversa ancora oggi il centro abitato. Nel 1881 la Camera di Commercio e d’Industria di Rovereto testimonia la presenza di 3 mugnai attivi a Padergnone.
Diverse testimonianze si possono rintracciare e ricavare anche dalla lettura e dall’analisi delle leggi, diretta espressione dei bisogni e della necessità di regolamentare lo sfruttamento delle risorse naturali del territorio. È interessante ricordare in particolare l’articolo 78, presente nella copia posteriore della Carta della Regola del XVII secolo, che prevedeva la deviazione della roggia dal naturale corso sui prati, nei giorni festivi, da “un vespero ad un altro”. In tale periodo di tempo, era infatti proibito ai mugnai di far refluire l’acqua nel suo letto, per garantire il movimento della ruota del mulino, a meno che un Vicino non si trovasse nell’urgente bisogno di macinare il proprio grano.
La popolazione di Padergnone, ispirata dalla fede e dall’importanza socio-economica dei mulini, ha creato ed attribuito dei proverbi ai tre più antichi opifici del paese. Al “Mòlin dei Pradi” è stata associata la frase “Dio ‘l te aiuta”, al “Mòlin del Pero” il motto “Se ‘l podrà ‘l te aiuterà” ed al “Mòlin de la Giòana” il detto “El pòl se ‘l vòl”. Queste espressioni, pronunciate più volte a voce alta, imitano la velocità stessa della roggia che da lenta diventa sempre più rapida.
La tradizione locale ha riportato questi proverbi nel “Coro dei Molini”, un canto che ripropone con cadenza ritmico-musicale la potenza dell’acqua della Roggia Grande.
Si ringraziano per le preziose testimonianze e la collaborazione: Assunta Mauro, Pierluigi Daldoss, Maria e Valentino Sommadossi, Claudio Miori ed Ezio Bressan.
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Bibliografia:
Per la ferratura del bue, si usavano ferri diversi a seconda dell'unghia che si ferrava e dell'uso che veniva fatto del bue. Il bue ha due dita che toccano terra e quindi ha bisogno di 8 ferri, anche se talvolta venivano ferrati solo davanti o anche solo le unghie anteriori esterne.
I ferri, modellati su misura dal maniscalco, avevano dei fori per inserirvi i chiodi con cui fermarli all'unghia. Se il bue doveva lavorare su zone montane, si usava un ferro munito di linguetta che veniva piegata sopra l'unghia verso l'esterno così da distribuire meglio l'impatto del ferro rendendo più duratura la ferratura.
Il succhiello viene utilizzato in falegnameria per praticare piccoli fori nel legno al posto del trapano. La punta metallica e pungente è protetta da una capsula di legno.