Guerra
- Titolo
- Guerra
- Descrizione
- Immagini, documenti, oggetti collegati alle guerre
Contenuti
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Bei momenti, anche se in tempo di guerra, con Flora TasinFlora racconta momenti positivi vissuti a Fraveggio dopo la distruzione della sua casa a Trento il 2 settembre 1943. Cesarino Bassetti, insegnante di musica di Flora, appare in foto mentre suona la chitarra. Le foto del rifugio di cui ci racconta Flora sono attuali: la vista sul lago e la valle è ora interrotta dalla vegetazione.
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Casa Pedrotti in loc. PozzeResidenza estiva della famiglia Pedrotti: in inverno vivevano invece in paese a Cavedine, più precisamente a Musté. La località si chiama così per via delle "fontane" sulle pendici del monte, visibili nelle risorse correlate a questo contenuto. La famiglia progettava di ampliare la casa con un'altra camera, una cantina ("càneva") e un garage, ma si pose di mezzo l'avvento della prima guerra mondiale, che chiamò alle armi gli uomini di casa, impedendone quindi la costruzione. Un tempo infatti non si avevano i soldi per pagare degli operai edili, e le case venivano costruite dai capifamiglia con l'aiuto di amici e parenti. Nello spazio risultante sono stati piantati due pruni ("brugnère"), a testimonianza dell'attività di sostentamento della famiglia, ovvero la vendita delle prugne ("brugne"). L'interno attualmente si compone di una cucina e una camera, poi attraverso una scala a pioli si sale al "solèr", ovvero dove si metteva il fieno. Prima della ristrutturazione del primo piano lì venivano ospitati i bachi da seta ("cavaléri"), che prendevano in aprile a Lasino. Il periodo del loro allevamento era molto intenso perchè gli uomini andavano a prendere le foglie di gelso ("morèr") e le donne e i bambini le tagliuzzavano due/tre volte al giorno per darle loro in pasto. Quando i bozzoli erano pronti li portavano a Cavedine. Al piano terra si trova invece il focolare ("fógolàr") e la "stala" per le bestie (2 buoi e 2 capre), con la mangiatoia ("magnadóra"). I tetti sono stati rifatti verso il 2010. Da notare la rudimentale serratura.
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Audiointervista a un'anziana di CavedineRacconto della vita al tempo della guerra, tra miseria e restrizioni. A proposito di "copàr piòci", si veda la filastrocca al n. 29 del fascicolo
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Gedeone Piccoli - antifascistaNato a Vezzano il 18 dicembre 1905, undicesimo figlio dello stalliere Emiliano Piccoli e di Aorinda Garbari. Nel 1924 emigrò in Lussemburgo dove faceva il minatore, poi passò in Francia ed entrò nel Partito Comunista. Sorvegliato dalla polizia, tornò in Lussemburgo nel 1929. Nel 1931 venne invitato a Mosca dal Partito ed entrò nella scuola per ufficiali. Nell'agosto 1937 andò in Spagna a combattere nella guerra civile spagnola, quale tenente amministratore della compagnia di Tank del quinto Battaglione distinguendosi nel suo lavoro e passò poi alle Brigate Internazionali. Ricevette la Stella Rossa per il suo eroismo nella Battaglia di Teruel. A fine 1938 fu ospedalizzato per tubercolosi. Uscito dalla Spagna, nel 1939 finì nel campo di concentramento di Gura in Francia da dove riuscì ad evadere nell'aprile del '39 e rientrare in URSS. Nel 1941, con l'invasione tedesca si unì all'esercito sovietico e morì pochi mesi dopo sul fronte meridionale combattendo contro i nazisti con l’Armata Rossa. Nella sua attività di antifascista assunse diversi nomi: Gino Tosi, Gino Piccoli, Cedeon Picelli. Il figlio, russo, è venuto a Vezzano negli anni '70 per vedere il paese di origine del padre e conoscere i parenti qui residenti. Bibliografia
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Cerimonia a VezzanoUna giovane donna sorridente elegantemente vestita in bianco, con in mano un cestino di fiori, è accanto ad un militare dell'esercito austroungarico. In uno scatto sono davanti ad un portale aperto dal quale escono altre ragazze col cesto fiorito vestite di bianco. Nell'altro scatto si vedono anche altri militari, uno dei quali con fiori in mano. Dietro di loro si vede l'insegna bilingue italiano-tedesco dei Fratelli Corradini mercerie e manifatture. Sul retro la cartolina riporta la dicitura: "Feldpost Korrespondenzkarte", era cioè una cartolina postale che viaggiava senza affrancatura attraverso la "Feldpost" ossia la "posta militare" , servizio garantito da militari a questo adibiti. Cerchiamo informazioni utili a contestualizzare l'evento.
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La guerra raccontata da reduci e civili del Comune di VezzanoMontaggio delle interviste realizzate nel 2005 in vista delle celebrazioni del 60° del Voto a San Valentino, occasione in cui reduci e civili del Comune di Vezzano sono stati invitati a raccontare la loro esperienza di guerra.
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Ufficiale in AlbaniaFulvio Garbari, veterinario di Vezzano, impegnato nel suo servizio da ufficiale nel periodo dell'occupazione italiana del Regno di Albania che ebbe luogo tra il 1939 e il 1943. In allegato anche un trafiletto di giornale che testimonia la sua promozione a capitano.
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Ultimo salutoBones Emilio di Adriano, come indicato dalla scritta e dalla croce da lui stesso fatte a matita, è il primo del terzetto di giovani soldati dell'Impero austro-ungarico pronti per partire per quello che diventerà il primo conflitto mondiale. Sul retro un accorato saluto ai suo cari, l'ultimo: "Alla signora Giuseppina Morandi in Vezzano 24/919 Carrissima Sorela ti faccio sapere che oggi parto salutami il Miro [Casimiro] le to pope e che le prega per me tanti saluti al nono (?) ala Carolina alla papà e a te e i zii e dighe al zio carlo che me saluda el Richeto..." Consultando poi la sua scheda sui caduti della prima guerra mondiale scopriamo che è nato a Vezzano il19/04/1892 e morto il 27/11/1914 a Grödek in Galizia nel reparto AU; 3° TKJ. I soldati trentini , essendo di madre lingua italiana, erano visti con sospetto dall'esercito austriaco per cui vennero mandati in gran parte in Galizia e molti morirono lì. Capitano del terzo reggimento in Galizia era
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Infermiere nel primo conflittoGruppo di quattro giovani infermiere col lungo camice bianco. In basso a destra è stampigliato il numero 20. L'ingrandimento in formato 24x30,5 cm, scansionato in questa occasione, riporta sul retro la dicitura: Vezzano - 1. Martinelli
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La guerra raccontata da Aldo RigottiL'intervista è stata realizzata in vista delle celebrazioni del 60° del Voto a San Valentino, occasione in cui reduci e civili sono stati invitati a raccontare la loro esperienza di guerra. Nell’agosto del ’44 avevo 18 anni. I tedeschi avevano bisogno di manodopera e quindi mi presero nella Todt, l’organizzazione tedesca del lavoro forzato in Italia. Ma già in uno dei primi lavori, un incidente causato da me e da alcuni compagni di lavoro, mi costrinse a nascondermi. Dopo pochi giorni i tedeschi mi ripresero e mi arruolarono nella Flak, la contraerea. La prima sede fu Vipiteno. Qui, dopo una quindicina di giorni di istruzione sui cannoni e sugli aerei americani (che sorvolavano la zona per bombardare la Germania), fui nominato primo cannoniere, con il compito di indicare la direzione di tiro del cannone antiaereo. Il primo aereo che colpimmo, cadde vicino alla postazione, così potei vedere con disappunto 5 morti americani fra i rottami. Nei due mesi che rimasi a Vipiteno, abbiamo colpito 45 aerei, ma nessuno in pieno come il primo: cercavamo di colpire nella coda, in modo da dare la possibilità agli occupanti di salvarsi. A causa di un colpo di cannone, partito per distrazione e finito vicino a un maso della montagna di fronte a noi, senza peraltro fare vittime, per fortuna, fui trasferito in un paesino vicino a Innsbruck, dove i cannoni erano gestiti direttamente dai soldati tedeschi. Qui rischiai di essere fucilato assieme a un commilitone di Levico, per colpa di un sergente che ci accusò di aver tentato di disertare; mentre era stato lui ad abbandonarci in città senza documenti, dopo una seduta dal dentista. Fortunatamente riuscimmo a salvarci dalla fucilazione, difendendoci dalle accuse. Comunque dovevamo andare a processo. Ma proprio in quei giorni finì la guerra e così potei ritornare sano e salvo a casa.
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La guerra raccontata da Enrico AldrighettiL'intervista è stata realizzata in vista delle celebrazioni del 60° del Voto a San Valentino, occasione in cui reduci e civili sono stati invitati a raccontare la loro esperienza di guerra. Mi chiamo Enrico Aldrighetti, classe 1924. Sono partito da Vezzano, alla volta di Trento, il 16 agosto 1943. A Trento mi dissero di essere arruolato nei granatieri a Roma. Essendo primo in ordine alfabetico, mi assegnarono il compito di condurre 9 reclute a destinazione. Ho assolto il compito consegnando in caserma i miei compagni con i documenti di accompagnamento. Gli americani avevano già cominciato i bombardamenti su Roma e noi andavamo a rifugiarci in campagna. Ben presto arrivò l’8 settembre. Il 9 mattina la caserma era deserta; eravamo rimasti solo in 6, tutti gli altri, compresi gli ufficiali, erano spariti. Ho proposto ai miei compagni di buttare i materassi dalle finestre e venderli. Abbiamo guadagnato 20 lire l’uno. Poi siamo andati alla stazione dei treni dove c’erano pochi soldati tedeschi che hanno fatto finta di non vederci. Forse erano ancora in attesa di ordini sul comportamento da tenere con i soldati italiani. Saliti sui vagoni, piano piano siamo arrivati a Trento. Mi ero messo i vestiti borghesi che avevo ancora nello zaino. Con un basco pagato 3 lire in testa per nascondere il taglio militare, sono riuscito a scendere dal treno senza farmi prendere dai tedeschi che controllavano la stazione. E che nel frattempo avevano ricevuto l’ordine di arrestare i soldati italiani e spedirli in Germania. Sono arrivato al ponte di San Lorenzo e l’ho trovato distrutto dai bombardamenti. Poco più a monte avevano improvvisato un traghetto, così son potuto passare sull’altra sponda e raggiungere Vezzano. Era il 12 settembre del 1943.
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Sussidio profughi 1918Documento mandato da Innsbruck al Comune di Santa Massenza per corrispondere 1.400 lire per il mantenimento dei profughi. La data è del 4 ottobre 1918.
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I militari della Folgore a VezzanoDopo la fine della seconda guerra mondiale le autorità militari americane affidarono ad un reparto italiano della Brigata paracadutisti Folgore i compito di custodire gli armamenti tedeschi radunati in piazza Fiera a Vezzano: cannoni, mitraglie, casse piene di munizioni. Qui alcune immagini di questi militari
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Soldati e civiliIl 2 maggio 1945 la seconda guerra mondiale terminò ufficialmente in Italia. La paura venne mantenuta viva prima dai reparti tedeschi in ritirata e poi dalla presenza consistente delle loro armi: cannoni, mitraglie, casse piene di munizioni, custodite dai soldati acquartierati a Vezzano, questa volta italiani. Armi e soldati che le avrebbero portate via erano però anche i simboli della fine dell'orrore, la guerra era davvero finita e con trepidazione si guardava al futuro. Tra i civili e militari c'era anche euforia e voglia di normalità, condivisione di esperienze passate e sogni futuri; qui alcuni scatti che uniscono appunto civili e militari.
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Soldato a cavalloDurante il periodo dell'occupazione tedesca seguito all'armistizio dell'8 settembre 1943, uno dei soldati tedeschi acquartierati a Vezzano è in perlustrazione a cavallo. Sullo sfondo si vede il paese.
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La guerra raccontata da Tullio DaldossNel 2005, in occasione del 60 ° anniversario del Voto a San Valentino fatto dalla comunità dell'ex Comune di Vezzano, Tullio Daldoss di Ranzo racconta, in dialetto trentino, la sua esperienza durante la seconda guerra mondiale. Il 26 gennaio del '42 mi sono recato al distretto di Trento per rispondere alla cartolina di chiamata alle armi. Da qui venni mandato a Treviso dove rimasi fino a giugno per un breve periodo di addestramento militare. Quindi fui spedito con il mio reparto in Piemonte in attesa di essere mandato al fronte. Verso metà ottobre salii con tutto il battaglione sul treno per il fronte russo. Il 27 ottobre scendemmo dal treno alla stazione di un paese di cui non ricordo il nome (e devo dirti che i nomi delle località russe proprio non me li ricordo). Scesi dal treno, partimmo a piedi verso il fronte. La marcia durò 7 giorni. Giungemmo al distaccamento di notte, per non farci vedere dai russi, e qui c'erano ad attenderci i soldati, ai quali davamo il cambio, che subito partirono in direzione opposta per un periodo di riposo nelle retrovie. Stanchi morti ci gettammo sulle brande appena lasciate dai nostri commilitoni. Eravamo all'inizio di novembre. I russi erano abbastanza tranquilli; qualche scaramuccia, qualche bombardamento senza gravi conseguenze. Arrivammo al 12 dicembre. I russi attaccarono la divisione Sforzesca, che era distante da dov'ero io come da qui alla Cappella (usa sempre questi paragoni con località di Ranzo), quasi un chilometro, e li vedemmo passare oltre le nostre linee. Il giorno dopo li vedemmo tornare indietro e qualcuno diceva che erano stati respinti, ma io avevo la sensazione che per noi sarebbe stato l'inizio della fine. Infatti il giorno 16 attaccarono nuovamente e nessuno li fermò più fino al loro incontro con gli americani a Berlino. La sera del 19 dicembre arrivò l'ordine di ripiegare. All'alba, dopo aver attraversato paesi dei quali non ricordo il nome, siamo arrivati ai piedi di una collina, dall'alto della quale arrivava un rumore di spari. Tutto intorno si vedevano carri armati bruciare e la terra era coperta di morti; da quel paese andando avanti come da qui a Deggia (tre quattro chilometri) non si vedevano che cadaveri. Nonostante la stanchezza, il freddo e la paura, mi allontanai il più possibile dal campo di battaglia. Raggiunsi un gruppo di case e vidi che una era adibita a infermeria. Non riuscivo a stare in piedi così entrai e scoprii che la maggior parte dei ricoverati erano italiani. Mi sdraiai in un angolo e presi subito sonno. Al risveglio vicino a me vidi un infermiere russo. Lui parlava un poco l'italiano e disse che stavano arrivando i soldati russi. Con due italiani uscii dall'infermeria e ci incamminammo lungo lo stradone. Ci liberammo dei fucili e delle giberne. Non avevamo fatto che qualche centinaio di metri quando fummo raggiunti da una colonna di artiglieria russa. Alzammo le mani e restammo fermi. Al mattino, era il 22 dicembre, ci radunarono con altri prigionieri sullo stradone e cominciò la marcia che durò fino al primo gennaio, quando raggiungemmo la stazione ferroviaria. Dieci giorni di marcia senza mangiare, dormendo dove capitava, spesso all'aperto, con il freddo, la neve e il ghiaccio che ci bruciavano la pelle. Chi non ce la faceva moriva abbandonato in strada. Io ho cercato di aiutare qualcuno e sono stato aiutato da altri. Ma furono moltissimi quelli rimasti per strada. Alla stazione ci dettero finalmente una pagnotta da un chilo ogni 6 persone. Il nostro campo di prigionia era dedicato alla coltivazione del cotone. Questa attività ci impegnava tutto l'anno fra il seminare le piantine, a due a due ogni 35 centimetri, il zapparle e sradicare l'erba. Finalmente finì la guerra. Iniziarono le trattative fra il governo italiano e quello sovietico per lo scambio dei prigionieri. Fu raggiunto l'accordo di rimpatriare tutti fra il 15 e il 30 settembre. Il 6 ottobre eravamo ancora nei campi di cotone quando giunse un plotone ad ordinarci di rientrare in caserma. Salimmo su due treni che partirono uno la sera stessa e l'altro il giorno dopo. I vagoni erano abbastanza spaziosi e potemmo costruire delle cucine di mattoni per preparare qualche pasto caldo. Durante il viaggio siamo passati vicino a Mosca e siamo entrati anche in Berlino. Finalmente il 2 dicembre abbiamo passato il confine e siamo arrivati in Italia.
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La guerra raccontata da Romano BeatriciNel 2005, in occasione del 60 ° anniversario del Voto a San Valentino fatto dalla comunità dell'ex Comune di Vezzano, Romano Beatrici di Ranzo racconta, in dialetto trentino, la sua esperienza durante la seconda guerra mondiale. Sono partito con il mio reparto nel novembre del ’40, destinazione fronte greco-albanese. Siamo rimasti accampati a Carovigno, in Puglia, fino al febbraio del 1941, a causa del pattugliamento del mare da parte degli anglo-americani. Sbarcati a Vallona, siamo partiti a piedi verso il fronte sul monte Spadarit, dove da giorni infuriava la battaglia contro i greci. Io ero addetto al mortaio da 81. I combattimenti, fra vittorie e sconfitte, proseguirono fino all’arrivo dei tedeschi, così siamo tornati in Albania, vicino al fiume Vajussa. Passato un periodo di riposo, siamo partiti a piedi verso nord fino al confine con la Jugoslavia. Ora il nostro nemico era la Jugoslavia. Fra continue marce e battaglie, sia contro l’esercito Jugoslavo che contro i partigiani, siamo arrivati a settembre del ’42. Il 15 siamo partiti in treno diretti a Bussoleno, in Val di Susa, per combattere sul fronte francese. Qui ho potuto usufruire di una licenza di 30+2. Poco dopo il rientro, siamo partiti in treno per Modane, in Francia. Da qui abbiamo iniziato una marcia terribile verso Marsiglia: 470 Km, una scatoletta di carne e una galletta al giorno. 40 Km al giorno, mangiare barbabietole ghiacciate rimaste nei campi, noci rimaste fra le foglie lungo le strade. Dopo 2 settimane siamo arrivati a Orange, vicino a Marsiglia. Il nostro compito era di presidiare il territorio già conquistato dai tedeschi. Poi siamo passati a Digne, nell’alta Provenza, a controllare una polveriera; quindi a Grenoble. Eravamo qui l’8 settembre del ’43. Il nostro comandante ci consigliò di prendere lo zaino, attraversare le alpi e tornare in Italia. Durante la salita verso il passo del Moncenisio, mi catturò un soldato tedesco e mi condusse verso valle dove la maggior parte dei miei commilitoni stavano disarmati e tenuti a bada dai tedeschi. Poi tutti in marcia, sotto la minaccia dei fucili, attraverso il Moncenisio fino a Susa. Dopo una notte passata a dormire nelle stalle, al mattino ci fecero salire su una tradotta, 30 per vagone: se all’arrivo fosse mancato qualcuno, avrebbero fucilato 3 di noi per ognuno. Scoprimmo ben presto che la destinazione erano i campi di concentramento della Germania. Per mangiare, ci buttavano nel vagone una cassetta di mele mezze marce, che finivano sul pavimento lurido, coperto dai nostri escrementi. Il nostro campo era a Buchenwald. Eravamo forse più di 300.000. Per mangiare cominciavamo la coda alle dieci del mattino per riuscire a prendere una scodella di minestra, fatta di acqua bollita con qualche patata, alle volte dopo le quattro del pomeriggio. Un giorno ci radunarono tutti noi prigionieri italiani. Un generale tedesco, vecchio e con due enormi borse sotto gli occhi (gli ufficiali giovani e in salute erano tutti al fronte), attraverso un interprete ci disse di dividerci in tre gruppi: da una parte chi vuole andare al lavoro, dall'altra chi vuole andare con il Reich e per ultimi quelli che preferivano rimanere al campo. Quasi tutti siamo andati nel gruppo del lavoro; tre con il Reich e una trentina per rimanere al campo. L'interprete, piano piano disse ai trenta che volevano rimanere che correvano il rischio di prendersi un colpo in testa, così vennero nel nostro gruppo del lavoro. Il primo maggio del '45, verso le quattro del pomeriggio, entrò nella baracca un ufficiale tedesco: raus raus raus, andatevene a casa. Ci fece leggere un comunicato che diceva che dovevamo abbandonare l'Austria: chi viene trovato dopo il cinque maggio al di qua di Schwarzag, viene fucilato sul posto. Con due compagni la sera stessa siamo partiti in treno da Salisburgo. Siamo scesi a Spittal an der Drau e abbiamo fatto a piedi tutta la valle del Drava fino a San Candido, un centinaio di chilometri. Qui alcuni partigiani ci hanno fatto mangiare pane e formaggio dandocene anche un po' di scorta. Proseguimmo per Fortezza, sempre a piedi perché le linee ferroviarie erano state bombardate; altri ottanta chilometri. Anche Fortezza era stata bombardata così abbiamo proseguito a piedi giù attraverso Bressanone fino a Bolzano, 50 chilometri. Poi in treno fino a Trento dove ho salutato i compagni di viaggio prendendo il Buco di Vela diretto a Vezzano. Alle quattro del pomeriggio del quattro maggio ero al bar del Carlo Garbari a Vezzano. Dopo una modica bevuta, ho preso la strada dello Scal e prima di notte ero a Ranzo."
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La guerra raccontata da Luigi BeatriciL'intervista è stata realizzata in vista delle celebrazioni del 60° del Voto a San Valentino, occasione in cui reduci e civili sono stati invitati a raccontare la loro esperienza di guerra. Il racconto di Luigi, classe 1919, parte dal 9 settembre 1943. Quel giorno stava rientrando in treno verso Lubiana dopo una breve licenza. Lungo la Valsugana seppe che il giorno prima c’era stato l’armistizio. Alcuni soldati che erano con lui scesero alla prima fermata e tornarono a casa. Lui pensò che fosse più giusto ritornare in caserma a ritirare il congedo. Durante il tragitto, un ufficiale consigliò i militari di passare dal comando di Trieste che lì avrebbero sbrigato le pratiche per il ritorno a casa. Dopo una notte al comando, arrivarono improvvisamente i soldati tedeschi che fecero tutti prigionieri. Dopo 5 giorni e 5 notti di treno Luigi arrivò a Stablack, vicino a Konigsberg, capitale della Prussia Orientale, oggi Kaliningrad. Qui rimase 15 giorni, durante i quali i tedeschi cercavano di convincere i prigionieri a combattere per il Duce, che era stato liberato dalla prigionia sul Gran Sasso. Qualcuno accettò di tornare a combattere; Luigi preferì rimanere prigioniero. Un commerciante tedesco di ferramenta lo prese come lavorante, così poté godere di un po’ di libertà ed ebbe da mangiare a sufficienza. Dopo una quindicina di giorni, i russi sfondarono il fronte vicino a Konigsberg. Luigi, con l’aiuto di un prigioniero ukraino, anch’esso al servizio dello stesso padrone, e di alcuni prigionieri, caricò la merce su 7 vagoni del treno (parte della merce rimase in magazzino, talmente era ricco il negoziante tedesco). Ma dopo un breve tragitto, il treno si bloccò perché i russi erano già lungo il percorso. Allora il padrone caricò su un carro tutta la merce che gli premeva di più e partì verso occidente con Luigi e l’ukraino. Sul Baltico, per sfuggire ai russi, furono costretti a rifugiarsi su un’isola vicina alla riva, percorrendo con il carro un tratto di mare ghiacciato. Qui dovettero fermarsi per un mese, costretti a mangiare anche i cavalli. Finalmente arrivò la notizia che la riva del Baltico era libera dai russi, così, a piedi, poterono riprendere il viaggio verso occidente. A un certo punto Luigi vide un gruppo di prigionieri che sotterravano dei cadaveri e fece questa considerazione: ”E digo da per mi, come fai a saver i soi che i gh’è chi, che quela isola del Baltico l’è piena de cadaveri!”. Ma già durante la prima notte vennero circondati dai russi. Allora si rifugiarono in una casetta nel bosco, abitata da una vecchietta sola. Mentre dormivano, arrivarono alcuni soldati russi e uno si prese gli scarponi di Luigi. Quando si svegliò e vide che mancavano gli scarponi, fu preso dalla disperazione: in quelle condizioni era una condanna a morte. La vecchietta si accorse del problema e cercò in casa delle scarpe dei parenti che forse erano in guerra o forse erano morti. Portò a Luigi un paio di scarponi che sembravano fatti su misura per lui; non sapeva più come ringraziarla. Ripresero il viaggio verso la Polonia. A un certo punto raggiunse quattro prigionieri italiani e con loro arrivò a Varsavia. Qui si consegnarono a un lager dei russi così almeno potevano mangiare. Finalmente finì la guerra. Era il 25 maggio. Il viaggio verso casa fu lungo e pieno di imprevisti: Luigi arrivò a Ranzo il 2 ottobre!
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Parata militare asburgicaNumerosi militari asburgici sono in parata in piazza Fiera a Vezzano durante la prima guerra mondiale, Vediamo che la piazza era separata da via Dante da una fila di giovani alberi spogli. Sulla destra vediamo anche una costruzione provvisoria, probabilmente a servizio dei militari acquartierati a Vezzano. Sulla sinistra si può notare l'impianto di illuminazione realizzato nel 1911 in seguito ad una contratto tra Comune di Vezzano e Comune di Trento per la distribuzione dell'energia prodotta alla centrale di Fies per il Comune di Trento.
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La guerra raccontata da Elio FaesL'intervista è stata realizzata in vista delle celebrazioni del 60° del Voto a San Valentino, occasione in cui reduci e civili sono stati invitati a raccontare la loro esperienza di guerra. Questo il sunto del contenuto: Partito in treno il primo gennaio del 1941, età 21 anni, destinazione Russia. Il treno fa sosta a Cracovia, in Polonia, per 8 giorni. Ripartenza per l’Ucraina. Scesi alla stazione (non specifica la città), partenza verso il fiume Don (dove c’era il fronte Germania-Italia contro Russia), a tappe forzate e a piedi: 35 o 40 Km al giorno per un mese. Sul Don vengo messo in prima linea in una postazione con mitraglia. L’obiettivo erano i russi sull’altra sponda del fiume. Tentavano l’attraversamento, ma cadevano come mosche: l’acqua era coperta di cadaveri. Scarseggiava il cibo: veniva portato una o al massimo due volte a settimana. Fortunatamente la zona era piena di campi di girasole; così si attenuavano i crampi della fame. Un giorno arrivano i bombardieri russi. Non c’erano ripari. Una bomba cade vicino e mi trovo con il mio compagno di mitraglia, coperto di sabbia per 30 centimetri. Gli altri commilitoni della postazione corrono sotto un albero pensando di essere al riparo. Una bomba centra in pieno l’albero e i miei amici: erano nove. Finito il bombardamento, il comandante ordina a me e al mio amico di raccogliere i poveri resti degli altri nove. Con il telo tenda abbiamo svolto la macabra raccolta: “averen binà su mez quintal de roba, en tut, e i era en nove”. Mi hanno poi cambiato posto. Facevo il porta ordini, dal comando al fronte, un paio di volte al giorno, qualche volta anche di notte. Un tratto di strada era allo scoperto e qualche volta ero il bersaglio del nemico; fortunatamente non avevano una grande mira. Alla fine del ’42 i russi sfondano il nostro fronte. Inizia la ritirata. Con il mio amico ci fermiamo in un paesino per procurarci del pane. Arriva un tenente, forse tedesco, con una slitta trainata da due cavalli: mentre entra a prendere il pane, saltiamo sulla slitta e scappiamo. Le strade erano coperte da 50 centimetri di neve. Nella slitta abbiamo trovato una forma intera di formaggio e una quindicina di chili di zucchero. Finalmente raggiungiamo una colonna di italiani e tedeschi a bordo di camion militari. Abbiamo abbandonato la slitta, ormai trainata da un solo cavallo perché l’altro era morto per strada, cercando di salire sui camion. Abbiamo visto dei soldati aggrapparsi alle sponde per salire e i tedeschi picchiarli sulle mani con il calcio dei fucili. Fra i tanti camion ne abbiamo trovato uno carico di italiani che ci hanno raccolti. Ci siamo fermati in una cittadina per essere visitati: alcuni sono stati dichiarati abili in grado di proseguire la guerra, io sono stato dichiarato “menomato” e quindi da far rientrare in Italia per seguire delle cure. In treno quindi siam partiti alla volta di Senigaglia dove sono rimasto 2 mesi. Il mio problema era la pelle mangiata dai pidocchi: praticamente di pelle non ne avevo più. Bagno tutto i giorni, unguenti e massaggi. E finalmente il ritorno a Ranzo.
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Restituzione Titoli del Prestito di Guerra AustriacoDocumento dell' Ufficio Italiano di Verifica e Compensazione che testimonia la restituzione di titoli di prestito di Guerra austriaco nei confronti della Signora Emma Andreis di Vezzano.
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Società di comunella pel reclutamento militare - 1856Il servizio militare obbligatorio della durata di due anni venne introdotto nel territorio austriaco nel 1871; prima la difesa territoriale era compito dei volontari. Questo documento testimonia la presenza di una "società di comunella pel reclutamento militare" sul territorio di "Cavedine e Pedegazza compreso Ranzo e Margone" alla quale ci si associava versando "fiorini 40 di Vienna", dopodiché una "estrazione" avrebbe stabilito chi entrava nei reparti dei tiratori scelti volontari, chiamati comunemente Schützen. In questo caso per il ventitreenne Vincenzo Bassetti si era impegnato a pagare il padre Giobatta ed aveva fatto da garante il Curato di Santa Massenza Don Francesco Bassetti. --- Per una prima rapida lettura segue la trascrizione del documento a cura di Rosetta Margoni . Santa Massenza li 26 Marzo 1856 Il qua presente, e sottoscritto Gbatta Bassetti da Santa Massenza alla presenza degli infrascritti testimoni dichiara di concorrere nella società di comunella pel reclutamento militare che si farà nell’estrazione di domani 27 marzo del riparto di Cavedine e Pedegazza compreso Ranzo e Margone e si obbliga a prendervi parte per suo figlio Bassetti Vincenzo nell’importo di fiorini 40 di Vienna sono quaranta di Vienna. Esso Bassetti si obbliga di versare questo importo nelle mani del signor cassiere e collettore del riparto il signor Pietro Cattoni Capo Comune di Cavedine entro tre mesi dal giorno dell’estrazione a scanso di sommarissime esecuzioni a garanzia dell’importo suddetto e conseguenze si introdusse il Curato di Santa Massenza Don Francesco Bassetti il quale si dichiara solido debitore. In fede x segno di croce di G Battista Bassetti SiMone Dall’Antonio testimonio Beniamino Bassetti Testimonio Don Bassetti Francesco Sigurtà e debitore solidare Pagati fiorinini venti W. Cavedine li 3 agosto 1856 Don Pietro Catoni Cassiere
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Processione di San Valentino a VezzanoIl 2 maggio 1945 terminò ufficialmente il secondo conflitto mondiale in Italia ed a Vezzano, il sabato successivo, venne effettuata la celebrazione solenne qui immortalata. Essa era prevista dalla preghiera e voto fatta per ottenere l'intercessione di San Valentino da autorità ecclesiastiche, civili e popolazione del Comune di Vezzano il 14 febbraio del 1944, nella quale si legge: "...ottenute le sospirate grazie, vogliamo mostrare la nostra riconoscenza impegnandoci oggi con voto solenne a celebrare, appena cessata la guerra, una festa di ringraziamento, portando in processione la benedetta tua immagine, seguita come scorta d'onore dalle Autorità e rappresentanze di tutto il Comune." Si vedono gli archi da festa con in cima lo stemma comunale, e la scritta "Grazie San Valentino d'averci salvati"; sulla sinistra si scorge parte della facciata della chiesa di Vezzano mentre sulla destra si vede parte dell'edificio del Bar alla Posta, sulle cui finestre sono esposte delle lenzuola bianche, come da tradizione. --- Una copia della stessa cartolina è presente con l'identificativo Ve-21 presso:
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Commemorazione caduti delle due guerreSoci della Cassa Rurale riuniti per - probabilmente - una commemorazione con messa "Ai caduti delle due guerre", come recita la corona fiorita al centro.
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Militari della FolgoreMilitari della Folgore posano con una camionetta per le vie del paese di Vezzano: erano alloggiati nelle scuole elementari, che erano state convertite perché i soldati potessero dormirci e cucinarsi i pasti.























