L'intervista è stata realizzata in vista delle celebrazioni del 60° del Voto a San Valentino, occasione in cui reduci e civili sono stati invitati a raccontare la loro esperienza di guerra.
Il racconto di Luigi, classe 1919, parte dal 9 settembre 1943. Quel giorno stava rientrando in treno verso Lubiana dopo una breve licenza. Lungo la Valsugana seppe che il giorno prima c’era stato l’armistizio. Alcuni soldati che erano con lui scesero alla prima fermata e tornarono a casa. Lui pensò che fosse più giusto ritornare in caserma a ritirare il congedo. Durante il tragitto, un ufficiale consigliò i militari di passare dal comando di Trieste che lì avrebbero sbrigato le pratiche per il ritorno a casa. Dopo una notte al comando, arrivarono improvvisamente i soldati tedeschi che fecero tutti prigionieri. Dopo 5 giorni e 5 notti di treno Luigi arrivò a Stablack, vicino a Konigsberg, capitale della Prussia Orientale, oggi Kaliningrad. Qui rimase 15 giorni, durante i quali i tedeschi cercavano di convincere i prigionieri a combattere per il Duce, che era stato liberato dalla prigionia sul Gran Sasso. Qualcuno accettò di tornare a combattere; Luigi preferì rimanere prigioniero. Un commerciante tedesco di ferramenta lo prese come lavorante, così poté godere di un po’ di libertà ed ebbe da mangiare a sufficienza. Dopo una quindicina di giorni, i russi sfondarono il fronte vicino a Konigsberg. Luigi, con l’aiuto di un prigioniero ukraino, anch’esso al servizio dello stesso padrone, e di alcuni prigionieri, caricò la merce su 7 vagoni del treno (parte della merce rimase in magazzino, talmente era ricco il negoziante tedesco). Ma dopo un breve tragitto, il treno si bloccò perché i russi erano già lungo il percorso. Allora il padrone caricò su un carro tutta la merce che gli premeva di più e partì verso occidente con Luigi e l’ukraino. Sul Baltico, per sfuggire ai russi, furono costretti a rifugiarsi su un’isola vicina alla riva, percorrendo con il carro un tratto di mare ghiacciato. Qui dovettero fermarsi per un mese, costretti a mangiare anche i cavalli. Finalmente arrivò la notizia che la riva del Baltico era libera dai russi, così, a piedi, poterono riprendere il viaggio verso occidente. A un certo punto Luigi vide un gruppo di prigionieri che sotterravano dei cadaveri e fece questa considerazione: ”E digo da per mi, come fai a saver i soi che i gh’è chi, che quela isola del Baltico l’è piena de cadaveri!”. Ma già durante la prima notte vennero circondati dai russi. Allora si rifugiarono in una casetta nel bosco, abitata da una vecchietta sola. Mentre dormivano, arrivarono alcuni soldati russi e uno si prese gli scarponi di Luigi. Quando si svegliò e vide che mancavano gli scarponi, fu preso dalla disperazione: in quelle condizioni era una condanna a morte. La vecchietta si accorse del problema e cercò in casa delle scarpe dei parenti che forse erano in guerra o forse erano morti. Portò a Luigi un paio di scarponi che sembravano fatti su misura per lui; non sapeva più come ringraziarla. Ripresero il viaggio verso la Polonia. A un certo punto raggiunse quattro prigionieri italiani e con loro arrivò a Varsavia. Qui si consegnarono a un lager dei russi così almeno potevano mangiare. Finalmente finì la guerra. Era il 25 maggio. Il viaggio verso casa fu lungo e pieno di imprevisti: Luigi arrivò a Ranzo il 2 ottobre!
Numerosi militari asburgici sono in parata in piazza Fiera a Vezzano durante la prima guerra mondiale, Vediamo che la piazza era separata da via Dante da una fila di giovani alberi spogli. Sulla destra vediamo anche una costruzione provvisoria, probabilmente a servizio dei militari acquartierati a Vezzano.
Sulla sinistra si può notare l'impianto di illuminazione realizzato nel 1911 in seguito ad una contratto tra Comune di Vezzano e Comune di Trento per la distribuzione dell'energia prodotta alla centrale di Fies per il Comune di Trento.
L'intervista è stata realizzata in vista delle celebrazioni del 60° del Voto a San Valentino, occasione in cui reduci e civili sono stati invitati a raccontare la loro esperienza di guerra.
Questo il sunto del contenuto:
Partito in treno il primo gennaio del 1941, età 21 anni, destinazione Russia. Il treno fa sosta a Cracovia, in Polonia, per 8 giorni. Ripartenza per l’Ucraina. Scesi alla stazione (non specifica la città), partenza verso il fiume Don (dove c’era il fronte Germania-Italia contro Russia), a tappe forzate e a piedi: 35 o 40 Km al giorno per un mese. Sul Don vengo messo in prima linea in una postazione con mitraglia. L’obiettivo erano i russi sull’altra sponda del fiume. Tentavano l’attraversamento, ma cadevano come mosche: l’acqua era coperta di cadaveri. Scarseggiava il cibo: veniva portato una o al massimo due volte a settimana. Fortunatamente la zona era piena di campi di girasole; così si attenuavano i crampi della fame. Un giorno arrivano i bombardieri russi. Non c’erano ripari. Una bomba cade vicino e mi trovo con il mio compagno di mitraglia, coperto di sabbia per 30 centimetri. Gli altri commilitoni della postazione corrono sotto un albero pensando di essere al riparo. Una bomba centra in pieno l’albero e i miei amici: erano nove. Finito il bombardamento, il comandante ordina a me e al mio amico di raccogliere i poveri resti degli altri nove. Con il telo tenda abbiamo svolto la macabra raccolta: “averen binà su mez quintal de roba, en tut, e i era en nove”. Mi hanno poi cambiato posto. Facevo il porta ordini, dal comando al fronte, un paio di volte al giorno, qualche volta anche di notte. Un tratto di strada era allo scoperto e qualche volta ero il bersaglio del nemico; fortunatamente non avevano una grande mira. Alla fine del ’42 i russi sfondano il nostro fronte. Inizia la ritirata. Con il mio amico ci fermiamo in un paesino per procurarci del pane. Arriva un tenente, forse tedesco, con una slitta trainata da due cavalli: mentre entra a prendere il pane, saltiamo sulla slitta e scappiamo. Le strade erano coperte da 50 centimetri di neve. Nella slitta abbiamo trovato una forma intera di formaggio e una quindicina di chili di zucchero. Finalmente raggiungiamo una colonna di italiani e tedeschi a bordo di camion militari. Abbiamo abbandonato la slitta, ormai trainata da un solo cavallo perché l’altro era morto per strada, cercando di salire sui camion. Abbiamo visto dei soldati aggrapparsi alle sponde per salire e i tedeschi picchiarli sulle mani con il calcio dei fucili. Fra i tanti camion ne abbiamo trovato uno carico di italiani che ci hanno raccolti. Ci siamo fermati in una cittadina per essere visitati: alcuni sono stati dichiarati abili in grado di proseguire la guerra, io sono stato dichiarato “menomato” e quindi da far rientrare in Italia per seguire delle cure. In treno quindi siam partiti alla volta di Senigaglia dove sono rimasto 2 mesi. Il mio problema era la pelle mangiata dai pidocchi: praticamente di pelle non ne avevo più. Bagno tutto i giorni, unguenti e massaggi. E finalmente il ritorno a Ranzo.
Documento dell' Ufficio Italiano di Verifica e Compensazione che testimonia la restituzione di titoli di prestito di Guerra austriaco nei confronti della Signora Emma Andreis di Vezzano.
Il servizio militare obbligatorio della durata di due anni venne introdotto nel territorio austriaco nel 1871; prima la difesa territoriale era compito dei volontari.
Questo documento testimonia la presenza di una "società di comunella pel reclutamento militare" sul territorio di "Cavedine e Pedegazza compreso Ranzo e Margone" alla quale ci si associava versando "fiorini 40 di Vienna", dopodiché una "estrazione" avrebbe stabilito chi entrava nei reparti dei tiratori scelti volontari, chiamati comunemente Schützen.
In questo caso per il ventitreenne Vincenzo Bassetti si era impegnato a pagare il padre Giobatta ed aveva fatto da garante il Curato di Santa Massenza Don Francesco Bassetti.
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Per una prima rapida lettura segue la trascrizione del documento a cura di Rosetta Margoni .
Santa Massenza li 26 Marzo 1856
Il qua presente, e sottoscritto Gbatta Bassetti da Santa Massenza alla presenza degli infrascritti testimoni dichiara di concorrere nella società di comunella pel reclutamento militare che si farà nell’estrazione di domani 27 marzo del riparto di Cavedine e Pedegazza compreso Ranzo e Margone e si obbliga a prendervi parte per suo figlio Bassetti Vincenzo nell’importo di fiorini 40 di Vienna sono quaranta di Vienna.
Esso Bassetti si obbliga di versare questo importo nelle mani del signor cassiere e collettore del riparto il signor Pietro Cattoni Capo Comune di Cavedine entro tre mesi dal giorno dell’estrazione a scanso di sommarissime esecuzioni a garanzia dell’importo suddetto e conseguenze si introdusse il Curato di Santa Massenza Don Francesco Bassetti il quale si dichiara solido debitore.
In fede
x segno di croce di G Battista Bassetti
SiMone Dall’Antonio testimonio
Beniamino Bassetti Testimonio
Don Bassetti Francesco Sigurtà e debitore solidare
Pagati fiorinini venti W.
Cavedine li 3 agosto 1856
Don Pietro Catoni Cassiere
Il 2 maggio 1945 terminò ufficialmente il secondo conflitto mondiale in Italia ed a Vezzano, il sabato successivo, venne effettuata la celebrazione solenne qui immortalata.
Essa era prevista dalla preghiera e voto fatta per ottenere l'intercessione di San Valentino da autorità ecclesiastiche, civili e popolazione del Comune di Vezzano il 14 febbraio del 1944, nella quale si legge: "...ottenute le sospirate grazie, vogliamo mostrare la nostra riconoscenza impegnandoci oggi con voto solenne a celebrare, appena cessata la guerra, una festa di ringraziamento, portando in processione la benedetta tua immagine, seguita come scorta d'onore dalle Autorità e rappresentanze di tutto il Comune."
Si vedono gli archi da festa con in cima lo stemma comunale, e la scritta "Grazie San Valentino d'averci salvati"; sulla sinistra si scorge parte della facciata della chiesa di Vezzano mentre sulla destra si vede parte dell'edificio del Bar alla Posta, sulle cui finestre sono esposte delle lenzuola bianche, come da tradizione.
Soci della Cassa Rurale riuniti per - probabilmente - una commemorazione con messa "Ai caduti delle due guerre", come recita la corona fiorita al centro.
Militari della Folgore posano con una camionetta per le vie del paese di Vezzano: erano alloggiati nelle scuole elementari, che erano state convertite perché i soldati potessero dormirci e cucinarsi i pasti.
Bambine, ragazzi, giovani e donne, in molti sono andati a fare uno scatto tra cannoni, mitragliatrici e altre armi requisite ai tedeschi e sorvegliate dai militari dell'esercito italiano della brigata Folgore nella piazza di fiera a Vezzano.
Era un modo per festeggiare quei mezzi in partenza e la fine tanto agognata della guerra.
Nel consegnarci queste foto, Umberto Garbari torna con la memoria al 2 maggio 1945 quando, con altri bambini, correva di gioia per il paese. Erano grati della fine della guerra: già si vedevano sfollati, costretti ad andare nei paesi vicini. Tutta la notte c'era stato un gran via vai, con colonne di tedeschi e carri armati che lasciavano l'Italia, considerata nemica e traditrice. Bisognava lasciare aperti porte e portoni, perché i tedeschi viaggiavano di giorno e di notte nascondevano i loro mezzi nelle case in paese.
Non era da tutti avere un mezzo a motore ed Ermenegildo Garbari era orgoglioso del suo sidecar che usava per lavoro e per diletto, fin quando non gli fu "temporaneamente" requisito dai militari tedeschi mentre stava rientrando da Trento. Dopo di allora non lo vide mai più.
Fra i suoi amici qui ci sono Alfeo Aldrighetti, Bruno Zanini e Fernando Tonelli.
Il documento certifica l'elenco dei fiorini spediti al militare Giacomo Biotti, tra il 1855 ed il 1860, da uno dei fratelli o dalla sorella [ Maria Teresa (1826- ), Pietro Domenico (1836-1913), Francesco (1840-1919)].
Sono elencate le lettere nelle quali Giacomo richiedeva il denaro e sulla destra i fiorini, talvolta in oro, che sono stati spediti.
Al numero 6 è anche indicata "la spedizione di un paio di braghe" avvenuta il 3 agosto del 1858.
A riguardo in archivio abbiamo:
I coscritti del 1924 col tipico cappello addobbato con fiori e piume festeggiano la coscrizione nella piazza di Vezzano. Con loro un soldato. Ricordiamo che il periodo 1943-1945 fu quello dell'occupazione tedesca seguita al "rebalton" e che a Vezzano aveva sede un reparto di gendarmeria tedesca che mantenne un buon rapporto coi civili.
Il gruppo si trova in quella che allora era Piazza Fiera, dietro loro si vede Via Dante, sulla destra la scuola elementare e la fontana.
Giacomo Biotti [nato a Padergnone nel 1832, come desunto dalla scheda di famiglia], nel 1856 scrive ai genitori da Bregenz [Austria] dove era "militare alla 28 compagnia del 7 Battaglione", dove ipoteticamente svolgeva il servizio militare. Parla della sua buona salute e del bisogno di denaro poiché la paga è "miserabile"; chiede informazioni della famiglia, dei "bacchi da setta" e delle "galete" (la bachicoltura che l'anno precedente aveva dato buon frutto), dell'"incanto dei basoti" [?], della valle; manda i suoi saluti ai fratelli [Pietro Domenico (1836-1913), Francesco (1840-1919)], la sorella [ Maria Teresa (1826- )], il cognato, i parenti, amici, vicini e "tutti quelli che vi domandano di me".
La lettera del 13.8.1859 proviene invece da Novoledo di Vicenza, quando era "militare alla 7^ compagnia del 2° battaglione dei cacciatori imperatore", dove ipoteticamente era impegnato nella seconda guerra di indipendenza [27 aprile - 12 luglio 1859]. Godeva di buona salute e sperava di rientrare presto in Tirolo, da "questi paesi [in cui] vi sono una grandissima suta [siccità] e molte malatie nelli militari". Chiede informazioni dei paesi, delle campagne, dei "cavaleri" [bachi da seta], dell'"incanto dei basoti" [?] ed informa che "le lettere dei militari adesso non paga più niente". Tra i saluti non nomina questa volta i fratelli, il che fa pensare che anche loro fossero impegnati in guerra.
Queste lettere, scritte di proprio pugno da un soldato, ci permettono di ipotizzare che la scuola popolare di Padergnone fosse già in funzione negli anni '30-'40 dell'800.
Le foto documentano momenti di leggerezza per i soldati della Folgore stanziati a Vezzano col compito di sorvegliare le armi pesanti requisite ai tedeschi in ritirata alla fine della seconda guerra mondiale.
Dietro di loro si vede la targa della Scuola Materna con la sigla O.N.A.I.R. (Opera Nazionale di Assistenza all'Italia Redenta), istituto previdenziale italiano, nato nel 1919 allo scopo di assistere le popolazioni delle "terre redente", particolarmente tramite provvedimenti a favore della prima infanzia. La scuola materna di Vezzano fu annessa all'ONAIR il 3 novembre 1939.
Trascrizione:
«Non dici mai di avere da noi notizie dopo diverse corrispondenze che ci ab[b]iamo mandate.
Qui incomincia la primavera e sbocciano già i fiori. Anche i lavori di campagna proseguono regolari. L'ultima tua aveva la data del 16 Marzo. Molti sono stati gli avvenimenti nei Carpazi e quindi desideriamo tue notizie per sapere se stai ancora ab[b]astanza bene e crediamo che sarai sano come noi. Saluti cordiali.»
L'apprensione del padre sarà fortunatamente sciolta il giorno dopo, alla ricezione di una precedente missiva del figlio:
Questo posacenere fu realizzato artigianalmente sul campo di battaglia incavando una bomba scoppiata; attorno infatti c'è la ghiera. È dotato anche di un "pestello" per spegnere le sigarette o i sigari.
Data l'iscrizione dorata sulla fodera della custodia ("Ostern im Felde" = "Pasqua sul campo [di battaglia]"), presumiamo si tratti di un dono fatto dagli ufficiali superiori ai loro sottoposti in occasione della Pasqua, che nel 1917 cadeva l'8 aprile. Sul coperchio, la custodia reca una targhetta con la sigla del 3° Reggimento Tyroler Kaiserjäger, del quale Oreste Caldini era capitano (Hauptmann).
Il bocchino in bachelite sembra spezzato ad un'estremità e l'altra è morsicata; il supporto in argento per la sigaretta reca una decorazione vegetale.
Ferro da stiro utilizzato dal Capitano Oreste Caldini in guerra per stirare le sue camicie. Nella prima fotografia si vede lo sportello aperto nel quale venivano inserite le braci; il manico è mancante.
Gli speroni potevano venire allacciati allo stivale tramite una cinghia di cuoio oppure infilati in un apposito buco nel tacco, come i due esemplari sulla destra.
Biglietto della lotteria nazionale completo della "Federazione Italiana Nazionale Fascista per la lotta contro la tubercolosi".
Sulla parte destra della pagina finale campeggia uno dei motti di Mussolini.
Diomira Grazioli, nata nel 1939, ci racconta della sua famiglia, degli anni che spese facendo la maestra, dell'osteria gestita dalla sua famiglia in paese a Vezzano e i ricordi della Seconda Guerra Mondiale.