Il mulino di Valentino Lucchi, un alto edificio eretto con muri in pietra, era situato un tempo all’altezza della “curva del feràr” località posta nella parte alta del paese sulla strada che porta in loc. Mondal. Ricordato dagli anziani del paese, l’opificio ospitava una vecchia fucina, demolita al termine degli scontri bellici. Questa fu inaugurata sicuramente dopo il 1860, come dimostrano le linee tratteggiate rosse presenti nella mappa catastale asburgica disegnata in quell’anno.
All’interno dell’edificio c’era il maglio collegato alla ruota idraulica, il cui martellio acuto si sentiva fino in Gazza, la forgia alimentata dalla “bot de l’òra”, l’incudine e tutta la strumentazione tipica dei fabbri. All’esterno c’era il “travai” per la ferratura di buoi e cavalli di cui si servivano quelli di Ciago ma anche dei paesi del vicinato; al tempo una strada proveniente da Covelo e Monte Terlago arrivava a Ciago poco sopra la “curva del feràr” e nella “val dei molini”.
Per garantire un più costante e forte afflusso di acqua alla ruota idraulica, fu costruita poco sopra una vasca di carico dotata di dimensioni considerevoli (larga 3 m, lunga 1,5 m e profonda 70-80 cm) alimentata dal rio Valachel e collegata a un canale di legno chiamato “doccia” che faceva cascare l’acqua sulla ruota.
I ragazzi del tempo usavano la “vasca del feràr” per divertirsi e fare il bagno. Ci racconta Ivo Cappelletti che una volta, uscito dalla vasca, non ha più trovato le sue scarpe, qualcuno gliele aveva portate via. Le scarpe erano un bene prezioso, se ne possedeva un unico paio, alla domenica si passavano con la fuliggine in modo che tornassero belle nere.
Valentino saliva da Vezzano al mattino e tornava a casa la sera; a mezzogiorno uno dei suoi famigliari gli portava il pranzo. Forse la presenza di un fabbro di Vezzano a Ciago è legata al fatto che sua madre, Albina Zuccatti, era proprio originaria di qui.
Verso la metà degli anni Quaranta del Novecento chiuse questa attività; c’è chi lo ricorda scendere col carro pieno della sua attrezzatura e del legname ricavato dallo smontaggio del tetto.
I nuovi proprietari del terreno demolirono poi il rudere inutilizzato per non dover pagare le tasse. Sulla curva del feràr ora non rimane nessuna traccia della fucina.
L’officina di Valentino Lucchi proseguì poi la sua attività a Vezzano, nella casa di famiglia all’incrocio tra via Borgo e via Ronch, coi figli Mario, Elio e Bruno Lucchi e l’uso di macchinari elettrici. Rimontarono a Vezzano il “travài” poco lontano dal loro laboratorio, nello slargo dei Tecchiolli accanto all’attuale parco giochi. Nel 1959 i contadini di Ciago si dotarono, attraverso la società che gestiva il locale caseificio, di un proprio “travài” che posizionarono nella stradina dietro al caseificio stesso: era più semplice far arrivare lì il maniscalco che portare tutti gli animali a ferrare a Vezzano.
Strumento per battere cereali e legumi formato da due bastoni di lunghezza diversa collegati da un pezzo di corda o cuoio (gómbina-"coréza") passante per i fori sulle estremità dei pali (capocchia).
Si sollevava il manico (palo lungo-"mànec"-"flaìm"-"fiaìm") al di sopra della testa e si batteva la vetta (palo corto-"veta") sul mucchio di cereali posti a terra. Era un movimento continuo e faticoso, spesso fatto insieme ad altri, che prevedeva coordinazione dei movimenti per non incorrere in dolorosi urti.
Sega di grande dimensione con due manici, usata da due uomini che la muovono insieme per tagliare alberi.
La lama ha la parte posteriore dritta, mentre quella anteriore è convessa con dentatura a triangoli isosceli.
Possiamo qui scorrere la storia del ferro da stiro attraverso le immagini
1. Ferro da stiro a braci - Soprès a brase
Antico ferro da stiro col corpo formato da un contenitore in ghisa apribile in cui si inserivano braci ardenti usando "el mòi" o la paletta di ferro. Il fondo si riscaldava a tal punto che si poteva stirare. Il manico era di legno.
Un tempo per "trepéi" si intendeva essenzialmente un arnese in ferro munito di tre piedi che si poneva sopra il fuoco nel focolare aperto ("fogolàr") per sostenere le pentole.
Se ne usavano però anche in legno per sostenere contenitori.
Oggi sono certo di più largo uso treppiedi, solitamente regolabili, per sostenere fotocamere, videocamere ed altri strumenti tecnologici.
Aratro più moderno della "piovìna" che permette di rivoltare la terra da ambo i versi. La parte vomere-versatoio, con la doppia lama, arrivati in fondo al campo, si poteva ruotare cosicché al ritorno poteva continuare a girare la terra allo stesso verso del solco precedente.
Veniva agganciato al motocoltivatore.
Vecchio arnese a trazione animale per arare i campi costituito da diverse parti con compiti specifici.
Il conduttore lo guida tenendolo per le stegole con maniglie in legno.
Il vomere ("gomér") è una lama che si pianta di traverso nel terreno ed è unito ad una "ala" fissa (versoio) che gira la terra sempre dalla stessa parte (a differenza del "voltìn"). L'altezza del vomere è regolabile in base alla profondità del solco che si vuole ottenere.
Davanti al vomere c'è una sorta di coltello divisore, il coltro, che taglia la "tópa" (cotica).
La stanga ("pèrtega") che unisce le parti dell'aratro ha sul davanti una ruota ed un gancio col quale si attaccava la "piovìna" al "balanzìn" e quindi al bue.
Quando a tirarla era una coppia di buoi, si toglieva la ruota davanti e, tramite il gancio in mezzo alla "pèrtega" si collegava la "piovìna" al "cariöl" che a sua volta era attaccato al "témon". In questo caso una delle ruote procedeva dentro il solco.
Dietro il vomere troviamo preziose informazioni sulla provenienza di questo aratro: il marchio rotondo intorno al logo (un sacco con le iniziali RSP) riporta: “Rud. Sack Schutzmarke”. Nel metallo si vedono poi in rilievo ripetute le iniziali e la scritta: “D 7 Mc Rud. Sack Leipzig” e, a parte, l’incisione “7 M 24”. Questa grande fabbrica di macchine agricole aveva sede a Plagwitz nel distretto di Lipsia in Germania. Le informazioni storiche che la riguardano ci portano a datare questo aratro tra il 1863 (anno in cui la ditta si è trasferita a Plagwitz, la cui iniziale compare nel logo) ed il 1891 (anno in cui si trasformò in Rud. Sack KG).
Attrezzo agricolo per creare i solchi dopo l'aratura. Nella foto si vede la manovella con la quale si regolava la profondità del solco. Veniva attaccato al "balanzin" con una catena per mezzo del gancio davanti e trainato dai buoi.
Composto di calce e paglia che mescolate assieme formavano un impasto con un buon potere legante utilizzato per la costruzione di pareti interne col supporto di listelli di legno.
Semplice attrezzo agricolo formato da una cassa aperta, in cui si inseriscono "strami" e foraggio, ed una lama con cui si tagliano gli stessi spinti manualmente a sporgere dalla cassa. Questo macchinario è precedente alla "machina dala pastura".
"Cassèla" è chiamata anche la parte della "machina dala pastura" che contiene il foraggio da tagliare.
Originariamente la grande ruota anteriore era munita di una maniglia ("manécia") sul bordo che un uomo posto di fronte faceva ruotare con ampi movimenti circolari. La ruota, munita di due lame, tagliava il foraggio man mano che usciva dalla bocca dentata della macchina e metteva in moto gli ingranaggi di tutto il macchinario.
Un altro uomo caricava il contenitore ("cassèla") con la giusta quantità di fieno, che veniva mandato avanti dalla catena e portato alla bocca, nella quale entrava ben pressato grazie al peso appeso sotto, che poteva essere regolato in base alla quantità di fieno inserito. Se il fieno non veniva mantenuto premuto, si piegava anziché tagliarsi.
Un pedale, ora assente, collegato attraverso il perno sulla destra del macchinario alla ruota, permetteva a chi caricava di far forza ritmicamente col piede, in modo da aiutare chi era davanti a movimentare la ruota.
Talvolta la quantità di fieno che entrava era comunque eccessiva rispetto alla forza di chi tagliava e la macchina si inceppava; in questo caso sollevando l'asse sopra la "cassèla" veniva azionato un ingranaggio che faceva andare all'indietro la catena e quindi il fieno, dopodiché veniva rimandato avanti ma in uno strato più sottile.
Sulla sinistra del macchinario è stato aggiunto negli anni '50 il motore elettrico semplificando così il lavoro.
La "machina dala pastura" veniva tenuta in soffitta insieme al fieno.
Macchina da cucire marca Junker & Ruh modello Renania intitolata alla Regina Margherita di Savoia: sul piano infatti c'è una sua fotografia, molto rovinata ma contraddistinta dalla sua caratteristica capigliatura. La datazione è per l'appunto tratta dal periodo del suo regno, prima come "regina consorte d'Italia" (09.01.1878 – 29.07.1900), poi come "regina madre" (29.07.1900 – 04.01.1926).
La strumentazione per preparare le cartucce da caccia di inizio novecento, appartenuta al Capitano Oreste Caldini, viene qui descritta da Rosetta Margoni, su informazioni date da Marco Gottardi, che conserva tutti questi cimeli.
Ferro da stiro utilizzato dal Capitano Oreste Caldini in guerra per stirare le sue camicie. Nella prima fotografia si vede lo sportello aperto nel quale venivano inserite le braci; il manico è mancante.
L'intervista è stata fatta in occasione della preparazione del notiziario comunale n.1 del 2020, dedicato a Margone.
Angelo de Tisi, fondatore di Radio Dolomiti, racconta la storia della nascita della prima radio libera del Trentino che trasmetteva da Margone.
Causa problemi tecnici nella videoregistrazione, si è potuto pubblicare solo l'audio.