Aratro più moderno della "piovìna" che permette di rivoltare la terra da ambo i versi. La parte vomere-versatoio, con la doppia lama, arrivati in fondo al campo, si poteva ruotare cosicché al ritorno poteva continuare a girare la terra allo stesso verso del solco precedente.
Veniva agganciato al motocoltivatore.
Vecchio arnese a trazione animale per arare i campi costituito da diverse parti con compiti specifici.
Il conduttore lo guida tenendolo per le stegole con maniglie in legno.
Il vomere ("gomér") è una lama che si pianta di traverso nel terreno ed è unito ad una "ala" fissa (versoio) che gira la terra sempre dalla stessa parte (a differenza del "voltìn"). L'altezza del vomere è regolabile in base alla profondità del solco che si vuole ottenere.
Davanti al vomere c'è una sorta di coltello divisore, il coltro, che taglia la "tópa" (cotica).
La stanga ("pèrtega") che unisce le parti dell'aratro ha sul davanti una ruota ed un gancio col quale si attaccava la "piovìna" al "balanzìn" e quindi al bue.
Quando a tirarla era una coppia di buoi, si toglieva la ruota davanti e, tramite il gancio in mezzo alla "pèrtega" si collegava la "piovìna" al "cariöl" che a sua volta era attaccato al "témon". In questo caso una delle ruote procedeva dentro il solco.
Dietro il vomere troviamo preziose informazioni sulla provenienza di questo aratro: il marchio rotondo intorno al logo (un sacco con le iniziali RSP) riporta: “Rud. Sack Schutzmarke”. Nel metallo si vedono poi in rilievo ripetute le iniziali e la scritta: “D 7 Mc Rud. Sack Leipzig” e, a parte, l’incisione “7 M 24”. Questa grande fabbrica di macchine agricole aveva sede a Plagwitz nel distretto di Lipsia in Germania. Le informazioni storiche che la riguardano ci portano a datare questo aratro tra il 1863 (anno in cui la ditta si è trasferita a Plagwitz, la cui iniziale compare nel logo) ed il 1891 (anno in cui si trasformò in Rud. Sack KG).
Attrezzo agricolo per creare i solchi dopo l'aratura. Nella foto si vede la manovella con la quale si regolava la profondità del solco. Veniva attaccato al "balanzin" con una catena per mezzo del gancio davanti e trainato dai buoi.
Attrezzo agricolo usato per spianare il terreno, coprire semi e concimi, frantumare le zolle, rompere la crosta superficiale grazie a spuntoni di legno o metallo posti sotto il pianale.
Semplice attrezzo agricolo formato da una cassa aperta, in cui si inseriscono "strami" e foraggio, ed una lama con cui si tagliano gli stessi spinti manualmente a sporgere dalla cassa. Questo macchinario è precedente alla "machina dala pastura".
"Cassèla" è chiamata anche la parte della "machina dala pastura" che contiene il foraggio da tagliare.
Foglia che protegge la pannocchia del mais. Essiccata veniva usata un tempo per riempire annualmente i materassi, detti "paión de sfoiàzzi" o "paión de sfoióni"
Originariamente la grande ruota anteriore era munita di una maniglia ("manécia") sul bordo che un uomo posto di fronte faceva ruotare con ampi movimenti circolari. La ruota, munita di due lame, tagliava il foraggio man mano che usciva dalla bocca dentata della macchina e metteva in moto gli ingranaggi di tutto il macchinario.
Un altro uomo caricava il contenitore ("cassèla") con la giusta quantità di fieno, che veniva mandato avanti dalla catena e portato alla bocca, nella quale entrava ben pressato grazie al peso appeso sotto, che poteva essere regolato in base alla quantità di fieno inserito. Se il fieno non veniva mantenuto premuto, si piegava anziché tagliarsi.
Un pedale, ora assente, collegato attraverso il perno sulla destra del macchinario alla ruota, permetteva a chi caricava di far forza ritmicamente col piede, in modo da aiutare chi era davanti a movimentare la ruota.
Talvolta la quantità di fieno che entrava era comunque eccessiva rispetto alla forza di chi tagliava e la macchina si inceppava; in questo caso sollevando l'asse sopra la "cassèla" veniva azionato un ingranaggio che faceva andare all'indietro la catena e quindi il fieno, dopodiché veniva rimandato avanti ma in uno strato più sottile.
Sulla sinistra del macchinario è stato aggiunto negli anni '50 il motore elettrico semplificando così il lavoro.
La "machina dala pastura" veniva tenuta in soffitta insieme al fieno.
È una pianta erbacea molto resistente anche in climi freddi e aridi. Raggiunge il metro di altezza e produce fiori a grappolo di colore bianco o rosa. Pur non essendo un cereale veniva coltivato per la produzione di farina dai suoi semi, piccoli e triangolari. Insieme alla farina di frumento veniva usata per fare il pane ed insieme alla farina di mais per fare la polenta taragna.
Attrezzo per lavorare la terra formato da un manico di legno diritto e una lama di ferro triangolare con in alto i bordi su cui appoggiare i piedi per sprofondarla nel terreno.
Veniva coltivato per produrre la farina gialla per fare la polenta (anche con l'aggiunta di farina di orzo e di "formentón", ossia grano saraceno) e la "mòsa", ma si sfruttavano anche le altre parti della pianta:
- con la trinciaforaggio (“machina dala pastùra”) si tagliavano le cime alle piante quando erano ancora verdi, per dare da mangiare agli animali;
- con le brattee secche (sfoiàzi) si facevano i materassi, ogni anno si lavavano le fodere dei materassi e si cambiavano le foglie; con le foglie vecchie si faceva il letto alle mucche;
- le brattee secche venivano usate anche per costruire bamboline;
- con la “cassèla” si tagliavano gli steli secchi ("strami") per fare il letto alle mucche (farlèt);
- i tutoli ("sgasegòtoi") si usavano per accendere il fuoco, si mettevano tra le lucaniche appese a stagionare e talvolta si mettevano nei muri in "maltampaia".
Attrezzo per spostare materiale minuto formato da un manico di legno leggermente sagomato e una lama di ferro.
Altro attrezzo simile, che in dialetto è chiamato anche "badìl", è la vanga:
Questo particolare badile è utile per il travaso delle granaglie: "zaldo, forment, pizzi...". Ha una lama quadrata coi bordi laterali ed il manico ricurvo, nella parte accanto alla lama, così da poter prendere le granaglie anche dentro i contenitori.
Trave di legno doppiamente ricurvo che veniva posto sul collo di una coppia di buoi allo scopo di trainare il carro o l'aratro.
Nella parte centrale era collegato al timone con la "véta".
Davanti aveva due passanti in ferro per le "cornére" che venivano fissate intorno alle corna dei buoi.
Ai lati e sotto quattro anelli ai quali si attaccavano le "tavèle" ("canàgole") che passavano sotto il collo dei buoi.
Questo "giöf" era colorato di azzurro; il colore è stato consumato là dove appoggiava sul collo dei buoi e nella parte centrale dove era fissata la "véta" .
Attaccati al "giöf" sono rimasti i passanti in ferro per le "cornére" e una "tavèla" in ferro che passava sotto il collo del bue.
Il "bròz" è un particolare barroccio, un veicolo a due ruote, che veniva trainato solitamente da uno o due buoi, ed usato sulle ripide strade di montagna per il trasporto a valle di legname e fieno. Non aveva una cassa in cui contenere la merce, ma essa veniva posizionata su due "palanchi" che venivano agganciati a strascico al "bròz" per la discesa dalla montagna così da frenare.
Se, arrivato a valle, doveva poi proseguire il viaggio in piano, la strada di montagna terminava col "brozzadór", punto in cui veniva aggiunto il "mèz car" o il "carriöl" che trasformava il "bròz" in un carro a quattro ruote.
Viene ben spiegato ed illustrato, insieme a tutte le sue parti, da pagina 18, in