La fotografia risale agli anni '90 dell'Ottocento e ritrae i coniugi Emilio Carlini e Margherita Bassetti di S. Massenza (seduti) con le figlie Giuseppina (a sinistra), poi sposa a Biagio Ricci di Calavino; Assunta (in centro), poi sposa a Germano Miori di Fraveggio; e Giulia (a destra), poi sposa a Enrico Parisi di Santa Massenza. Questi ultimi erano i genitori della stessa Gisella Parisi, di cui disponiamo il libretto scolastico.
Da notare che le figlie tengono in mano l'una un libro di preghiere e le altre un fiore, all'epoca simboli di purezza per le giovani.
Nello scatto è possibile osservare molto bene l'abbigliamento delle persone ritratte, che per l'occasione indossano gli abiti più belli, riservati alle festività . Le donne vestono con il classico abito lungo e scuro, caratterizzato dalla blusa allacciata alta e dall'ampia gonna coperta dal grembiule. L'acconciatura consiste in una riga centrale che separa le lunghe ciocche di capelli, che vengono raccolte sulla nuca. I gioielli consistono per tutte nella caratteristica collana portata alta. Anche Emilio indossa l'abito riservato alle festività, composto dalla classica camicia bianca, il gilet, i pantaloni e la giacca scura, e accompagnato dall'immancabile cappello scuro.
Il titolo della risorsa è tratto dalla descrizione sul verso della cartolina, comunque in lontananza è visibile anche l'abitato di Pietramurata.
Il timbro postale riporta la data 4.10.56 ma la foto è stata presumibilmente scattata tra il 1947 e il 1951, periodo in cui il 10% del lago è stato riempito col materiale di risulta delle gallerie funzionali alla costruenda Centrale Idroelettrica di Santa Massenza; sull’ampia spianata sono stati poi innalzati gli impianti esterni.
Il palazzo vescovile nel 1905 venne venduto a privati e trasformato in albergo, fece di Santa Massenza la "Piccola Nizza de Trent" attirando molti turisti da tutto il Tirolo.
Nel 1947 iniziarono a riempire la parte settentrionale del lago coi materiali di scavo provenienti dalle gallerie per la costruzione della centrale idroelettrica, allontanando così il palazzo dal lago.
La foto pubblicitaria dell'albergo risale quindi a questo arco temporale, come si vede era collegato con una scala alla darsena.
Numerosi militari asburgici sono in parata in piazza Fiera a Vezzano durante la prima guerra mondiale, Vediamo che la piazza era separata da via Dante da una fila di giovani alberi spogli. Sulla destra vediamo anche una costruzione provvisoria, probabilmente a servizio dei militari acquartierati a Vezzano.
Sulla sinistra si può notare l'impianto di illuminazione realizzato nel 1911 in seguito ad una contratto tra Comune di Vezzano e Comune di Trento per la distribuzione dell'energia prodotta alla centrale di Fies per il Comune di Trento.
Olga Morandi partiva da Vezzano e saliva il ripido sentiero dello Scal per far visita agli amici di famiglia a Margone, eccola lassù con una pecora degli amici. Alle sue spalle la scuola.
(La strada Vezzano-Margone è stata costruita nel 1949 dalla SISM per raggiungere il pozzo piezometrico verso Maso Rualt, collegato alla Centrale Idroelettrica di Santa Massenza.)
Questa foto della pizza di Lasino è databile ad inizio novecento.
Sulla destra si vede un palo della luce, servizio che ha raggiunto Lasino nel 1900 con la costruzione della centrale idroelettrica a maso Modriz da parte del Consorzio Cooperativo di Cavedine.
Nella parte Sud della piazza si può notare la presenza di un pozzo con tettuccio, poi andato in disuso e demolito.
Vediamo qui il campo da bocce della trattoria di Annibale Garbari nella piazza centrale di Vezzano. Il gioco delle bocce appassionava e radunava gli uomini nei giorni festivi.
Traversa di legno ancorata solo nel punto centrale alla parte anteriore del "bròz" così da permettere lo sterzo del carico a strascico che vi veniva fissato sopra.
Questo "giöf" era colorato di azzurro; il colore è stato consumato là dove appoggiava sul collo dei buoi e nella parte centrale dove era fissata la "véta" .
Attaccati al "giöf" sono rimasti i passanti in ferro per le "cornére" e una "tavèla" in ferro che passava sotto il collo del bue.
Trave di legno doppiamente ricurvo che veniva posto sul collo di una coppia di buoi allo scopo di trainare il carro o l'aratro.
Nella parte centrale era collegato al timone con la "véta".
Davanti aveva due passanti in ferro per le "cornére" che venivano fissate intorno alle corna dei buoi.
Ai lati e sotto quattro anelli ai quali si attaccavano le "tavèle" ("canàgole") che passavano sotto il collo dei buoi.
L'ingrandimento in formato 40x30 cm, scansionato in questa occasione, mostra la fontana posta al centro della piazza di Cavedine.
Il Brenz, simbolo di Cavedine, è stato costruito nel 1770 quale sbocco del primo acquedotto realizzato con tubazioni in legno. La vasca è un poligono a nove lati attorniata dal un selciato posizionato nel 1841 e con una colonna centrale dalla quale sgorga l'acqua.
Fraveggio è attraversato da una roggia che deriva dalla sorgente Canevin Malea all’altezza di Lon, il paese soprastante. Questa viene arricchita dalle acque dei rivi di Garubol e Fossà provenienti dai locali acquedotti potabile e irriguo. La roggia arriva in paese dalla cascata al torrione, leggermente spostata nel 2007, come si vede nella foto pubblicata a pag.17 del notiziario comunale n.3 di quell'anno (sotto riportato).
Scorre lungo il Vicolo dei Molini, dietro la chiesa di san Bartolomeo e si divide in due rami intubati nel sottosuolo del centro storico. Una parte scorre a fianco della toresela, attraversa la strada e raggiunge la campagna dove sempre nel 2007 è stata realizzata una vasca di decantazione.
L’altra prosegue sotto la piazza biforcandosi nuovamente, alimentando il lavatoio, affianca la canonica e si riunisce per attraversare gli orti e precipitare in una suggestiva cascata assieme all’altro ramo.
Raccoglie le acque sgorganti a Paltan, alle Rogiòle e ai Tovi, alimentando nel contempo l’acquedotto irriguo di Santa Massenza. Continua la sua discesa affiancando verso Est la loc. Campagna, fino ad arrivare in località Vai da dove prosegue intubata sotto la zona utilizzata dagli impianti della centrale idroelettrica. Raccoglie le acque di deflusso del depuratore (in media 11 l/s) e sfocia infine nel lago di Santa Massenza a quota 245 mslm, dopo un percorso di 1900 metri.
Una roccia costruita dall'acqua
Nei pressi delle cascate si verifica un fenomeno molto curioso: la formazione del travertino, chiamato anche “el tof per far i vòlti”.
Il travertino è un tufo calcareo poroso e leggero che si forma con le particelle di minerali (carbonato di calcio) portate dall’acqua. L’acqua, nebulizzata intorno alla cascata, evapora ed i minerali in essa contenuti formano la roccia inglobando all’interno resti vegetali, come foglie o ramoscelli, che poi si decompongono, lasciando al suo interno dei buchi e conferendole il caratteristico aspetto spugnoso. Questo tufo leggero, isolante e relativamente resistente, veniva estratto facilmente ed utilizzato nella costruzione di avvolti, intercapedini, pareti non portanti (“strameze”), ma si vede in un vecchio edificio situato fra i due mulini di Fraveggio un esempio di uso anche per la costruzione della parte più alta delle pareti esterne. L’opificio che si occupava della lavorazione del tufo era “la sega per el tof” ed in zona era presente a Padergnone, poco sotto la chiesa di San Valentino in agro, e a Terlago.
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Bibliografia:
All’esterno di quello che un tempo era il "Molin dela Gioana", adagiate in una splendida aiuola di lavanda, sono visibili due coppie di macine qui utilizzate.
In primo piano c'è una macina superiore posizionata in modo da vedere la sua concavità ed il foro centrale, dal quale passava sia il grano sia l'albero rotante che ruotava questa macina grazie ad una sbarra di ferro a farfalla (nottola) incastrata negli appositi incavi.
Essa è appoggiata sulla più robusta macina inferiore che rimaneva fissa e serviva da appoggio a quella superiore rotante. Intorno ha ancora l'anello in ferro che permetteva la fuoriuscita della farina in un solo punto.
Così chiamato dall'ultima famiglia proprietaria indicata con cognome e soprannome, è l’ultimo edificio sulla sinistra della vecchia strada imperiale, poco prima della “Pontàra” (= erta), che scende verso Padergnone. Le ruote idrauliche erano alloggiate sulla facciata ad ovest, lambita in sponda orografica destra dalla Roggia, che dopo un breve tratto si gettava nell’orrido della val dei Canevai, fornendo energia alle ruote idrauliche dei mulini sottostanti.
Nello stesso edificio acquistato da Antonio Giovanni Pisoni (1799-1863?) di Lasino, con la moglie Teresa Chistè, nel 1844 da Vincenzo Panicali di Trento c'erano ben "5 ruote idrauliche per macinazione grani, follo e segheria".
La famiglia vi si trasferì e li nacque la loro undicesima e ultima figlia nel 1845. Il figlio Antonio (1820-1885) si occupò del mulino ed il figlio Biagio (1837-1878) della segheria.
Sui registri parrocchiali dei nati a Lasino, Antonio Giovanni ed i suoi antenati fin dal 1500 erano soprannominati Nanotti (da Giovanni = Nane), ma Biagio (1911-1996), nipote di Biagio segantino sopra nominato, venne registrato col soprannome di "Biasi". Nei nostri paesi, dove nome e cognome erano spesso ripetuti, il soprannome di famiglia era così importante da venir segnalato nei registri delle nascite.
Dopo Antonio continuò l'attività molitoria di famiglia il figlio Quirino fino alla sua morte senza eredi nel 1942.
Dopo Biagio continuarono a lavorare alla segheria i figli Stefano ed Emanuele, poi i nipoti Biagio e Valerio, fino al 1968 quando fu demolita. L'ultimo lavoro importante è stato quello di segare i tronchi detti "marcia avanti" per le gallerie della centrale di S. Massenza.
Il follo non è mai stato utilizzato dai Pisoni Biasi; oltre al documento, rimane però il segno sul muro della sua posizione. Una quinta ruota è stata invece aggiunta dalla parte opposta dell'edificio, in sostituzione di quella, a favore di una circolare, posta nel cortile, collegata ad un lungo palo di trasmissione che attraversava tutto l'edificio. Negli anni '40, collegata con cinghie allo stesso palo di trasmissione, è stata aggiunta una sega a nastro (bindella) all'interno della segheria.
Curioso come sulla mappa storica del 1860 sia indicata sull'edificio una sola ruota nell'illustrazione riferita al paese, due ruote su quella riproducente l'intero territorio; forse sulla prima la ruota indicava la famiglia proprietaria dell'edificio (Antonio Pisoni) mentre sulla seconda le ruote indicavano le due attività che vi si svolgevano: molitoria e segheria.
Nella registrazione della farina macinata come si evince dai titoli di colonna a pagina 15, il numero davanti indica i "Kili" e quello in fondo indica gli "steri" (staio). Non è chiaro se la prima colonna indichi le entrate di cereali e l'ultima le uscite di farina.
Nella colonna centrale sono invece indicati i nomi, o cognomi o mestieri dei clienti, ma anche zii o zia Pasqua [moglie di Biagio] o zia Nanele, e talvolta è indicato il prodotto.
A capo pagina, o di fianco, trovano posto le date.
Tra i prodotti oltre al frumento notiamo "giala" (farina gialla), segala, orzo, "setila" (macinata sottile), "formenton" (grano saraceno).
Fra i mestieri compaiono "marcanta" (commerciante femmina), "tessader" (tessitore), maestro, "monec" (sacrestano), "comare" (ostetrica), curato.
I nomi si ripetono spesso in quanto il grano si salva più facilmente della farina per cui veniva macinato man mano che serviva.
Nella prima pagina troviamo la data di inizio di questa registrazione: 10 novembre 1891; nell'ultima il resoconto: "Soma totale fino ogidì 22/9-92 Kilogrami maicinati K1.350.76 Frateli Pisoni".
Sono questi i figli di Antonio Pisoni morto nel 1885, la firma potrebbe essere del maggiore: Lodovico (1863-1944).
Il mulino a pietre usa due grossi dischi di pietra per macinare.
La macina inferiore appoggia sul castello, è fissa ed ha la faccia superiore leggermente convessa. A volte presenta un bordo rialzato tutt'intorno a parte una breve tratto da cui fuoriesce la farina.
La macina superiore è mobile. Ha la faccia inferiore leggermente concava, così da sovrapporsi esattamente alla macina inferiore, ed incassi a farfalla accanto al foro centrale nei quali è incastrata una sbarra di ferro (nottola), fissata all'albero rotante passante per le due macine, così da provocarne il movimento macinando così i cereali o altri materiali inseriti fra loro.
Ambedue le macine sulle facce di contatto presentano scanalature a raggiera e tacche.
Le mole del pestino invece, ruotano verticali, sono più piccole, hanno le facce uguali e un foro quadrato.
Per approfondire, ricercare sia mola che macina sul
Il Bersaglio n. 2 si trova a 200 metri dal Casino di Bersaglio, sopraelevato di circa 10 metri rispetto alla linea di tiro. È costituito da un bunker con pareti in parte in roccia ed in parte in pietra scolpita. coperto da un avvolto in tufo con foro centrale per l'esposizione della bandiera che segnalava la sospensione dei tiri.
Accanto è stato posto un bersaglio mentre il pannello illustrativo, con maggiori dati tecnici, è stato messo a fianco del sentiero Stoppani, nel punto in cui parte la traccia per raggiungerlo pochi metri sopra.
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Bibliografia:
Questa grande croce di pietra risale ai primi del 900. Si trova a sud del paese di Vezzano a fianco dell'attuale bivio per la valle di Cavedine in località "Fontana morta". Dall'altra parte della croce c'è una strada di campagna che poco oltre si biforca: a destra sale sul doss Castin, dove si sono trovate tracce di abitazioni dell'età del ferro, e a Fraveggio; a sinistra scende a Padergnone e a Santa Massenza. In particolare, seguendo la strada per Santa Massenza, prima di arrivare alla strada comunale che costeggia la centrale, c'è un tratto selciato: era questa la vecchia strada imperiale che obbligava chi andava verso Sarche a passare di lì fino alla costruzione del ponte tra i Laghi di Santa Massenza e Toblino nel 1848.
Non vi è più alcuna traccia di questo capitello chiamato di San Vigilio, o di San Valentino, o di San Rocco, situato sul bivio tra l'allora strada imperiale, che univa Vezzano a Santa Massenza e Padergnone, e la via principale che portava alla chiesetta di San Valentino in agro.
Con la costruzione del nuovo tratto della Gardesana 45 bis, che ha tolto il traffico da Vezzano e Padergnone, nel 1970-72 è stato tagliato l'accesso al santuario e abbattuto il capitello, che, nonostante le assicurazione dell'ANAS (Azienda Nazionale Strade), non è più stato ricostruito.
Il maestoso capitello, leggermente sporgente dal muro di un vigneto, era stato realizzato nel 1835 per scongiurare l'epidemia di colera che stava arrivando dal Lombardo-veneto.
Nella nicchia, a destra era raffigurato San Rocco, sulla sinistra un Angelo Custode, sulla pala centrale, a colori vivaci, San Vigilio e san Valentino che venerano la Madonna con Bambino. È stato poi restaurato e consolidato nel 1855 e di nuovo nel 1932.
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Bibliografia:
- pag. 181