Incredibile la trasformazione dell'abitato al giorno d'oggi!
Nei pressi della biforcazione della strada attualmente si trova l'Hotel Ideal, che sul suo sito web riporta l'esistenza della "Trattoria Zentrale" almeno fino al 1919: dato che la fotografia non sembra attestare la sua presenza, si potrebbe ipotizzare una cronologia anteriore a questa data.
Fotografia di gruppo che ritrae un gruppo di sorelle nei pressi di Stravino.
Le giovani donne indossano abiti tipici degli anni ‘20-’30, caratterizzati da una linea molto più morbida e pratica rispetto a quelli che erano soliti essere indossati negli anni precedenti.
La fotografia risale agli anni '90 dell'Ottocento e ritrae i coniugi Emilio Carlini e Margherita Bassetti di S. Massenza (seduti) con le figlie Giuseppina (a sinistra), poi sposa a Biagio Ricci di Calavino; Assunta (in centro), poi sposa a Germano Miori di Fraveggio; e Giulia (a destra), poi sposa a Enrico Parisi di Santa Massenza. Questi ultimi erano i genitori della stessa Gisella Parisi, di cui disponiamo il libretto scolastico.
Da notare che le figlie tengono in mano l'una un libro di preghiere e le altre un fiore, all'epoca simboli di purezza per le giovani.
Nello scatto è possibile osservare molto bene l'abbigliamento delle persone ritratte, che per l'occasione indossano gli abiti più belli, riservati alle festività . Le donne vestono con il classico abito lungo e scuro, caratterizzato dalla blusa allacciata alta e dall'ampia gonna coperta dal grembiule. L'acconciatura consiste in una riga centrale che separa le lunghe ciocche di capelli, che vengono raccolte sulla nuca. I gioielli consistono per tutte nella caratteristica collana portata alta. Anche Emilio indossa l'abito riservato alle festività, composto dalla classica camicia bianca, il gilet, i pantaloni e la giacca scura, e accompagnato dall'immancabile cappello scuro.
La prima alunna a sinistra è la stessa Gisella Parisi di cui disponiamo il Libretto scolastico; per gli altri nomi si veda il verso della cartolina.
La porta d'entrata della scuola, che si vede nella foto, si trovava sul retro di quella che un tempo era la canonica di S. Massenza.
Deduciamo si tratti di una processione o comunque di una ricorrenza religiosa dalle arcate di pino; il cartellone posto in alto farebbe pensare all'accoglienza di un nuovo parroco, dato che negli anni '30 a S. Massenza si sono succeduti diversi curati. Potrebbe trattarsi dell'arrivo di don Mirafiore Gamberoni nel 1936, di don Germano Poli nel 1937, di don Carlo Vivaldelli nel 1938, o di don Angelo Cazzoli nel 1940. Oppure potrebbe trattarsi addirittura di una visita vescovile in paese. In ogni caso, la posizione della folla all'entrata dell'abitato suggerisce comunque l'idea di un'accoglienza. In questo frangente la gente sembra intenta ad ascoltare il coro, visibile sulla sinistra.
L'acronimo in copertina significa Unione Magistrale Nazionale - Trentina; si tratta della sezione trentina di una delle più importanti associazioni di maestri dell'epoca in Europa. (FONTE: https://www.sissco.it/recensione-annale/alberto-barausse-lunione-magistrale-nazionale-dalle-origini-al-fascismo-1901-1925-2002/)
Da notare le indicazioni riportate nella prima pagina ("Leggi e ricorda!").
L'alunna, Gisella Parisi, era in una classe mista e ha frequentato regolarmente la scuola per 8 anni, testimoniando una minore durata degli anni scolastici rispetto ad oggi in quanto anche i bambini costituivano un'indispensabile forza lavoro per molte famiglie.
Dal documento si evince che nel 1916/17 la valutazione dalla forma in giudizio è passata ai punteggi, dove 1 era il massimo, e nel 1919/20 è passata ai voti, in cui 10 è il massimo.
Notiamo come anche la cura di sé ("forma esterna") rientrasse nei criteri di giudizio scolastico, così come il "contegno" e la "diligenza".
Venivano impartite anche lezioni di "lavori donneschi".
Nella sezione "disposizioni legali" in fondo al libretto si legge come le assenze ingiustificate da scuola potessero venire punite con un'ammenda fino a L. 40 o addirittura con l'arresto fino a 4 giorni!
-------
Della stessa alunna disponiamo di una foto di classe:
Fotografie storiche e un documento riguardanti perlopiù il paese di S. Massenza.
Federico Martelli ha anche partecipato ad un lavoro di ricerca qui pubblicato:
La paletta di ferro aveva il manico lungo per evitare scottature mentre si cucinava. Veniva all'occorrenza usata anche per mettere le braci nel ferro da stiro e nello scaldaletto.
Tritacarne Porker 32 in ghisa rivestito di stagno fissato su supporto di legno.
La carne inserita nell'apertura superiore vine mandata avanti da una vite elicoidale mossa ruotando la manovella.
Per fare lucaniche e salami la si usa prima per tritare, e quindi si fissano sull'uscita la lama di acciaio e la piastrina bucherellata dello spessore desiderato, poi per insaccare, e quindi si fissa sull'uscita l'imbuto della grossezza adatta per infilare il budello da salame o da lucaniche.
Quando il contadino andava a tagliare i cereali o l'erba per fare il fieno ("far fen") con la falce ("fer da segar") portava con se due diversi attrezzi per tenerla affilata: il corno con la cote, che usava frequentemente, e l'incudine con il martello, che usava ogni alcune ore di lavoro.
In questo caso si sedeva, piantava per terra il supporto di ferro (incudine), vi appoggiava sopra la lama della falce e pazientemente la batteva con il martello spostandola lentamente in modo che tornasse ad essere ben affilata. Questa operazione era chiamata "bàter el fèr" o "farghe el fil al fèr"
Arco in legno terminante con due incavi in cui venivano inseriti due secchi per il trasporto a spalla dell'acqua dalla fonte a casa, al tempo in cui l'acqua non era ancora arrivata nelle case (verso il 1950 nella maggior parte dei paesi della Valle dei Laghi ).
Su questo arcuccio è incisa la data di costruzione ed una dedica: "1940 A mia cugina Maria per ricordo Gelmo".
Nelle gelide notti invernali con serramenti e pavimenti che isolavano poco e la cucina come unica stanza riscaldata della casa, lo scaldaletto permetteva di coricarsi in un letto caldo e asciutto che così rimaneva a lungo. Il portentoso strumento era formato da un trabiccolo aperto in legno, protetto sulla base da una lamiera di rame, che veniva posto per tempo tra le lenzuola in mezzo al letto. Era chiamato "monega" ed aveva lo scopo di contenere lo scaldaletto e tener sollevato le lenzuola cosicché il calore potesse espandersi ed asciugare l'umidità.
Lo scaldaletto era un contenitore in rame in cui venivano inserite grossi braci ardenti. Il coperchio era traforato in modo che le braci potessero ricevere aria e rimanere vive; il manico era lungo per evitare di scottarsi quando lo si andava a posizionare nella "monega".
Quando si andava a letto, il tutto veniva appoggiato sul pavimento cosicché continuava a distribuire tepore finché le braci non si spegnevano del tutto.
Succedeva talvolta che nel letto matrimoniale uno andasse a letto prima dell'altro e che lo scaldaletto venisse spostato sul lato libero in modo da tener ben caldo quella parte in attesa che arrivasse il ritardatario.
La "bèna" era una cesta fatta generalmente con rami di faggio grande come un carro utilizzata per il trasporto di merci. Questa è una "bèna" giocattolo.
Contenitore in legno in cui veniva inserito lo zolfo ("solfro") in polvere per poi distribuirlo come antiparassitario sulle coltivazioni e su pollai e conigliere.
Aveva due bretelle, una fissa e l'altra mobile: si metteva sulla schiena con la bretella fissa e poi si agganciava quella mobile. Muovendo con una mano la leva la polvere veniva soffiata attraverso un tubo nel diffusore metallico che veniva orientato con l'altra mano.
Come risulta dall'etichetta metallica è stato prodotto dalla ditta G. Bressan di Trento.
Lo scorcio mostra il capitello dedicato a S. Anna situato presso il Santuario della Madonna della Grotta di Cavedine. Il capitello è stato demolito nel 1958.
Lo scatto è stato realizzato durante una cerimonia religiosa presso il Santuario della Madonna della Grotta di Cavedine. Si nota una folla di fedeli, l'impianto di illuminazione da poco ultimato e, sullo sfondo, la cappella del Santuario.
La fotografia mostra uno scorcio del paese di Cavedine.
Si nota il Santuario della Madonna della Grotta e un gruppo di case situate nel centro storico del paese.
La fune da carro era fatta da strisce di cuoio intrecciate e serviva per assicurare i carichi sul carro. Era unita ad una navetta di legno ("spòla") e per fermarla era necessario un cavicchio, anch'esso di legno.
I campanacci vengono messi al collo delle mucche al pascolo per poterle ritrovare più facilmente, anche in caso di nebbia e permettere a loro stesse di ritrovarsi.
Per la ferratura del bue, si usavano ferri diversi a seconda dell'unghia che si ferrava e dell'uso che veniva fatto del bue. Il bue ha due dita che toccano terra e quindi ha bisogno di 8 ferri, anche se talvolta venivano ferrati solo davanti o anche solo le unghie anteriori esterne.
I ferri, modellati su misura dal maniscalco, avevano dei fori per inserirvi i chiodi con cui fermarli all'unghia. Se il bue doveva lavorare su zone montane, si usava un ferro munito di linguetta che veniva piegata sopra l'unghia verso l'esterno così da distribuire meglio l'impatto del ferro rendendo più duratura la ferratura.