Il portacote veniva appeso con un gancio dietro alla cintura dei contadini che andavano a tagliare l'erba e simili. Conteneva acqua e la cote, un pezzo di pietra abrasiva col quale spesso durante il lavoro il contadino affilava la falce. Era appuntito per poterlo piantare in terra senza che l'acqua si rovesciasse quando il contadino non lo usava.
Questo portacote è stato aggiustato con una lamina di ferro.
Il filatoio era la macchina con la quale la donna costruiva il filato a partire da una fibra naturale cardata: lana seta, canapa, lino.
La donna allungava un po' alla volta la fibra cardata che teneva in mano e che inseriva nel filatoio. Col piede manteneva in movimento il filatoio cosicché il filato si stirava e si allungava. Grazie al movimento imposto dal filatoio si torceva e si avvolgeva intorno alla bobina.
Viene utilizzato per bucherellare a fondo le lucaniche ed i salami appena fatti evitando così la formazione di sacche d'aria all'interno dell'insaccato che ne comprometterebbero la conservazione.
L'arcolaio veniva usato per dipanare le matasse ("ace"). La matassa ("acia") veniva inserita sull'arcolaio semi-chiuso che veniva poi aperto premendo le braccia verso il basso e fissandole con la vite superiore. Trovato il bandolo della matassa, cioè il capo del filo con il quale inizia la matassa, si iniziava a produrre un gomitolo mentre l'arcolaio girava alla velocità data dal richiamo del filo. Anche una bambina esperta in questo lavoro faceva girare molto velocemente l'arcolaio ed in breve tempo la matassa era del tutto dipanata e trasformata in gomitolo. Da qui il detto "Él va come 'n guìndol", "L'è saltà su come 'n guìndol" per sottolineare la velocità dell'azione.
In assenza dell'arcolaio la matassa veniva tenuta da una bambina a braccia aperte che doveva seguire l'azione di chi dipanava la matassa muovendo al suo ritmo braccia e mani. La soluzione più lenta consisteva nell'infilare la matassa nello schienale di una sedia e fare da sola.
Dipanare le matasse era un tipico lavoro delle donne e delle bambine.
Era necessario avere la lana in gomitoli per poi lavorarla ai ferri (come oggi) ed averla prima in matasse per poterla tingere.
Questo piccolo macchinario è stato trovato in una soffitta e portato alla mostra a scuola senza indicazione della sua funzione sconosciuta ai proprietari. Vi è il vano per un cassetto assente.
A detta di quanti hanno visitato la mostra, è una trebbiatrice in miniatura. Alcuni visitatori hanno spiegato di averla avuta in casa un tempo, di dimensioni molto più grandi ma con la stessa forma. Vi si inserivano fasci di grano, segale, orzo, si ruotava la manovella, da una parte usciva la paglia e dall'altra i chicchi di grano.
I bambini così l'hanno usata inserendo poche spighe alla volta e funzionava.
Se qualcuno sa darci ulteriori informazioni, sono bene accette
La fotografie ritrae un gruppo di persone presso Malga Campo di Drena, durante la raccolta del latte e la realizzazione di prodotti caseari. Si può osservare l'abbigliamento degli uomini, i quali usavano indossare pantaloni con bretelle, camicia con gilet e cappello.
Si tratta di un estratto della copertina del libretto dedicato alla Prima S. Messa di don Attilio Comai, celebrata il 3 aprile 1932.
Nella parte alta del documento sono riportate tutte le fotografie dei sacerdoti presenti per l'evento.
Una delle prime foto panoramiche di Cavedine ad inizio '900.
Si notano le pendici del monte Gaggio completamente spoglie di vegetazione e, dietro il palazzo municipale, il dosso roccioso dove nel 1925 sarà inaugurato il Santuario ex voto per l'evitata evacuazione del paese durante la Grande Guerra.
9 ottobre 1919.
Il quotidiano Il Nuovo Trentino dà la notizia della concessione all'impresa Isat dell'esercizio di una nuova linea automobilistica postale sul percorso Trento-Vezzano-Cavedine-Dro.
La cartolina mostra il paese di Cavedine in uno scatto realizzato nei pressi di Brusino. È possibile notare un gruppo di persone poste in primo piano, in basso alla cartolina. Dal loro abbigliamento si può affermare che lo scatto è stato realizzato nei primi anni del 1900.
Famoso fotografo, allievo di G. B. Unterveger e di G.B. Altadonna, attivo tra ottocento e novecento. Mette a punto la tecnica di trasformare la fotografia in opera d'arte mediante la modifica del negativo a raschietto che lo rende famoso in Italia e in Europa e lo porta a ritrarre quattro papi, molti cardinali e vescovi, e, nel 1936, il volto di Cristo ricavato dalla Sacra Sindone.
Nel 1874 fonda a Como lo Stabilimento Artistico per riproduzioni eliofotografiche - Giuseppe Brunner.
Nel 1896 Altadonna gli cedette lo studio e tutta l'attrezzatura a Trento così nacque Giuseppe Brunner "Successore G.B. Altadonna".
Lavorò anche in società, con la denominazione "Brunner & C. - Como" e "G. Brunner & Comp. - Trento".
La ditta Brunner & C. fu editrice di cartoline fotografiche, con la denominazione: "Edit, Brunner & C., Como-Zürich - Stab. eliografico."
Morì nel 1956.
Maggiori informazioni su:
Fotografo professionista, nato a Trento il 1° maggio 1906 e morto a Trento il 23 settembre 1979.
Nel 1924 entrò in qualità di apprendista nello studio fotografico di Giuseppe Brunner e successivamente in quello di Giuseppe Margoni. Nel 1927 avviò una propria attività nel centro storico di Trento.
A lui si affiancò nel 1946 il figlio quindicenne Mario jr. che proseguì l'attività di famiglia anche dopo la morte del padre, impegnandosi anche come operatore cinematografico, fino al 1996, quando sì ritirò dalla professione e cedette l’archivio aziendale alla Provincia autonoma di Trento, per garantirne la conservazione e la valorizzazione.
La bottega degli Albertini fu indirizzata soprattutto verso la ritrattistica e la documentazione della cronaca locale.
Nato a Rovereto il 26 maggio 1867, è morto ad Andalo il 15 luglio 1938.
È stato un alpinista, etnografo, naturalista, fotografo e irredentista italiano.