Era situato nel rione del Mas, il più antico di Calavino, sulla sinistra orografica del ramale della roggia che alimentava dapprima i mulini Graziadei poi Pisoni.
Nel 1860 risultava qui attivo il mulino di Furlanelli Giovanni:
I mulini Graziadei "Ferèri"
I mulini Graziadei erano situati nel rione del Mas, il più antico di Calavino, sul ramale in sinistra idrografica della roggia che esce dal tunnel sotto l’edificio Chemelli.
Nel 1860 risultavano qui attivi due mulini di Graziadei Bortolo fu B. "("Ferèri") e un mulino di Graziadei Domenico fu B. "("Ferèri"):
L'identificazione dei mulini è data dal soprannome di famiglia derivato dal fatto che svolgevano anche l’attività di panificatori.
Si trova nel rione Bagnöl su un tratto pianeggiante della Roggia che lo attraversa con qualche salto o cascatella. Qui si concentravano diverse attività artigianali, in particolare mulini.
Questa parte del paese è stata molto modificata fra il 1951 e il 1968 con la costruzione della strada provinciale che ha coperto la roggia; fino ad allora la strada di valle, superato la piazza, entrava in via Graziadei - piazzetta delle Regole - via dei Filatòi - piazzetta ai Zoni e con un ponte attraversava la roggia e poi proseguiva come ora.
Per tornare al tempo dei mulini dobbiamo perciò immaginare questa diversa viabilità ed il tratto nuovo della strada occupato dalla roggia, dalle sue derivazioni e dalla campagna, come lo vediamo rappresentato nella mappa del 1860, quando i "Fornèri" proprietari dei mulini erano Pisoni Giuseppe, a valle dell'attuale piazzetta delle Regole, e Pisoni Domenico, a monte della stessa che aveva anche il panificio:
Una concentrazione di attività artigianali, prevalentemente mulini per la macinazione dei cereali, si sviluppava all’imbocco del rione Mas in corrispondenza del ponte del “Cleo” (da clivo = erta, salita).
A questo punto si dipartiva una nuova articolazione del corso d’acqua:
- il ramo principale che, com’è attualmente, seguiva un profilo rettilineo;
- un’ampia derivazione arcuata, che andava a lambire gli edifici in sponda destra con una movimentazione di canalette e ruote dentate, finalizzate all’alacre lavorio delle macchine artigianali.
Nel 1860 era documentata qui la presenza delle ruote idrauliche di Pisoni Giuseppe ("Tirares"), Casoni Giovanni Sen. ("Feltrini") e Lunelli Antonio ("Lunèi"):
Posto subito sotto il Rione del Mas, sulla sponda in sinistra orografica della Roggia di Calavino, in un tratto del corso d’acqua caratterizzato da un notevole dislivello con una serie di cascate.
Nel 1860 si fa riferimento al mulino di Aldrighetti Sebastiano:
I Mulini al Bailo, così chiamati dal toponimo della località, sono un complesso di edifici, ristrutturati negli anni ’90 del ‘900, posti sulla sponda in sinistra orografica della Roggia di Calavino poco sotto l'abitato.
Questo tratto del corso d’acqua è caratterizzato da un notevole dislivello con una serie di cascate, condizione favorevole in passato per movimentare proficuamente le ruote idrauliche.
Nel 1860 si fa riferimento alla presenza qui del mulino del conte Giuseppe Sizzo e di quello di Lutterini Antonio "Galinòta” (1815-1923):
Il Mulino a Venzòn, così chiamato dal toponimo della località, detta anche Pontára, è il secondo edificio che si incontra sulla sponda in destra orografica del corso della Roggia, risalendo la Forra di Canevài.
Nella mappa del 1860 è qui segnalata la presenza di una ruota idraulica ed al catasto risultava di proprietà degli eredi Gianordoli Massimiliano, vi si macinavano i cereali.
L’ultimo edificio che si trova lungo il sentiero della Val dei Canevai, attualmente casa civile di abitazione, era un tempo un mulino per la macinazione dei cereali.
La ruota idraulica non era segnata nella mappa storica del 1860, ma gli anziani lo ricordano in attività e la vecchia canaletta di derivazione in pietra, che si vede in primo piano sulla foto, lo testimonia.
Un certo Lutterini Odorico fu Odorico è stato comunque fra i firmatari della petizione del 1819, che vantavano diritti sull'uso dell'acqua della roggia di Calavino in qualità di proprietari della stessa, come risulta dal documento qui riportato:
Questo mulino sfruttava l'acqua della Roggia di Ranzo o Rio Valbusa.
È uno dei più antichi documentati in Trentino anche se non conosciamo l'anno di costruzione.
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A pag 147 del libro di Giuseppe Sebesta
"All'inizio del sentiero che da Calavino porta alla Forra dei Canevai si trova un avvolto interrato che in passato veniva utilizzato come cantina.
Appena entrati, nell’angolo a destra si trova, ancora intatta, la "Busa dela Calcina”, o "Calcinèr”.
Parecchi anni fa a Calavino in molte case era presente questa buca, in cui si metteva la calce che poteva servire per molteplici usi: mescolata con la sabbia per realizzare intonaci per le case o per costruire muri o, ancora, per tinteggiare le stanze. Mischiandola con il verderame si otteneva invece un trattamento anticrittogamico per le viti.
Per produrre la calce si dovevano cuocerei sassi di calcare in una sorta di fornace detta “Calchèra”; i sassi cotti, che diventavano di un bianco candido, venivano posti in queste buche riempite di acqua, e, in poco tempo, si scioglievano diventando una pasta morbida pronta all’uso."
Così lo descrive Emanuele Pisoni, proprietario del luogo ed a questo proposito ci racconta anche il "gioco dei boacéti":
Così chiamato dall'ultima famiglia proprietaria indicata con cognome e soprannome, è l’ultimo edificio sulla sinistra della vecchia strada imperiale, poco prima della “Pontàra” (= erta), che scende verso Padergnone. Le ruote idrauliche erano alloggiate sulla facciata ad ovest, lambita in sponda orografica destra dalla Roggia, che dopo un breve tratto si gettava nell’orrido della val dei Canevai, fornendo energia alle ruote idrauliche dei mulini sottostanti.
Nello stesso edificio acquistato da Antonio Giovanni Pisoni (1799-1863?) di Lasino, con la moglie Teresa Chistè, nel 1844 da Vincenzo Panicali di Trento c'erano ben "5 ruote idrauliche per macinazione grani, follo e segheria".
La famiglia vi si trasferì e li nacque la loro undicesima e ultima figlia nel 1845. Il figlio Antonio (1820-1885) si occupò del mulino ed il figlio Biagio (1837-1878) della segheria.
Sui registri parrocchiali dei nati a Lasino, Antonio Giovanni ed i suoi antenati fin dal 1500 erano soprannominati Nanotti (da Giovanni = Nane), ma Biagio (1911-1996), nipote di Biagio segantino sopra nominato, venne registrato col soprannome di "Biasi". Nei nostri paesi, dove nome e cognome erano spesso ripetuti, il soprannome di famiglia era così importante da venir segnalato nei registri delle nascite.
Dopo Antonio continuò l'attività molitoria di famiglia il figlio Quirino fino alla sua morte senza eredi nel 1942.
Dopo Biagio continuarono a lavorare alla segheria i figli Stefano ed Emanuele, poi i nipoti Biagio e Valerio, fino al 1968 quando fu demolita. L'ultimo lavoro importante è stato quello di segare i tronchi detti "marcia avanti" per le gallerie della centrale di S. Massenza.
Il follo non è mai stato utilizzato dai Pisoni Biasi; oltre al documento, rimane però il segno sul muro della sua posizione. Una quinta ruota è stata invece aggiunta dalla parte opposta dell'edificio, in sostituzione di quella, a favore di una circolare, posta nel cortile, collegata ad un lungo palo di trasmissione che attraversava tutto l'edificio. Negli anni '40, collegata con cinghie allo stesso palo di trasmissione, è stata aggiunta una sega a nastro (bindella) all'interno della segheria.
Curioso come sulla mappa storica del 1860 sia indicata sull'edificio una sola ruota nell'illustrazione riferita al paese, due ruote su quella riproducente l'intero territorio; forse sulla prima la ruota indicava la famiglia proprietaria dell'edificio (Antonio Pisoni) mentre sulla seconda le ruote indicavano le due attività che vi si svolgevano: molitoria e segheria.
Nella località di Pendè, nei pressi dell’omonimo ponte, dei documenti storici attestano la presenza dei fabbri della famiglia a Prato di Vezzano a partire dalla metà del XVI secolo. Questi forestieri trasformavano la forza idraulica della roggia in motrice per azionare gli utensili necessari ai lavori della fucina. In proposito si ricordano le diatribe, sorte nel 1583, tra Francesco della famiglia a Prato e la comunità di Padergnone ed Aliprando Madruzzo (il regolano maggiore di Calavino) per stabilire le condizioni per lo sfruttamento idrico di quel punto della roggia. Un’ulteriore testimonianza del possibile proseguo dell’attività della fucina si ritrova nell’appellativo “mastro” affiancato a Giovanni a Prato fu Francesco come testimone di una lite tra il comune di Vezzano ed alcuni privati. Egli infatti fu privato del diritto di “far pascolar bestie e far legna” nel territorio di Vezzano a causa delle sue attività presenti nel padergnonese. Tuttavia, in seguito alla diretta opposizione del vescovo Carlo Madruzzo nel 1612, l’attività degli a Prato in Pendè ipoteticamente si concluse.
Purtroppo, l'assenza di notizie significative posteriori ha reso impossibile, nonostante i numerosi sopralluoghi effettuati, la corretta localizzazione dell'attività.
[ricerca a cura di Caterina Zanin e Silvano Maccabelli per Ecomuseo della Valle dei Laghi]
Approfondimenti consultabili qui a pag.372-373 ed il ponte di Pendé è segnalato su una mappa del 1767 pubblicata a pag. 428:
Il nuovo Mulino Miori, che possedeva la concessione per la derivazione dal lontano 1892, fu attivo nella prima parte del XX secolo. Infatti, la denuncia del suo accatastamento, a nome di Giuseppe ed Emanuele Miori, figli del mugnaio Giacomo Gioacchino impiegato presso il “Mòlin dei Pradi”, risale all’anno 1902 e la costruzione dell’edificio al 1901, come evidenziato dalla data incisa sul portone d’ingresso.
Il Nuovo Mulino di Giuseppe Miori, nato con il sistema a cilindri, era in grado di macinare in un’ora la stessa quantità di farina che produceva in una giornata un opificio a macina. Nel 1924 Giuseppe Miori installò una turbina del modello Francis, acquistata a Schio (VI), per potenziare l’efficienza dell’opificio. Infatti quest’ultima azionava una dinamo che generava la corrente elettrica, utilizzata ancora oggi a scopo privato, per il motore del mulino e per scaldare il forno del panificio. Il collettore della dinamo veniva utilizzato la notte presso il mulino per poi essere trasferita per il lavoro mattutino presso il vicino cementificio Miori.
Il mulino continuò a produrre la farina fino agli anni ’30 – ’40 del Novecento.
Il Nuovo Mulino Miori ospitava un laboratorio di panificazione, aperto nel 1906, per combattere la pellagra che affliggeva il territorio all’epoca. Il pane cotto dall’impresa Miori veniva venduto nei paesi vicini e trasportato perfino a Terme di Comano ed a Garniga del Bondone. A Giuseppe sono seguiti nella conduzione del panificio e del mulino i figli Lino e Raimondo e poi i figli di quest'ultimo Claudio e Luciano che, nel 2002, lo ha trasferito a Sarche ed ha aperto anche una pasticceria.
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Bibliografia:
Il “Mólin de la Gióana”, presente almeno dal 1860 nelle mappe catastali asburgiche, lavorò fino al 1922. Questo opificio appartenne alla famiglia di Corrado Tonini sicuramente dall’inizio del Novecento. All’esterno, adagiate in una splendida aiuola di lavanda, sono visibili le macine del mulino e, se si segue il corso della roggia, si può scorgere ancor oggi la derivazione del Nuovo Mulino Miori.
La spinta dell'acqua qui è decisamente più forte che ai mulini precedenti ed il motto “El pòl se 'l vòl” [Dio], ripetuto più volte riproduceva il ritmo della rotazione di questa ruota; insieme a quelli degli altri mulini è stato poi ripreso nel canto:
Sotto il santuario di san Valentino, in loc. Busoni (busòn, ossia grande buco è la forra scavata dalla Roggia Grande), nascosti dalla vegetazione, accanto al "Maso di San Valentino" o "Maso della sega", emergono i resti dell’antica Sèga del Tòf (segheria del travertino) dei Bassetti, attiva almeno dal 1893, come attesta l’ordine di tufo effettuato da un sacerdote di Saone.
Nella sega si tagliavano, nella forma di mattoni da opera, i blocchi di “tòf” estratti dal dosso di San Valentino. Solitamente il “tòf” veniva impiegato, come materiale particolarmente leggero ed isolante, per ridefinire le volte o per realizzare le pareti non portanti degli edifici. Nel 1907 fu utilizzato nell’edificazione della chiesa di Vezzano che, tuttavia, cadde di schianto dopo breve tempo.
L’edificio, oramai inaccessibile, era strutturato su due piani. Sulla parete ovest del piano inferiore si intravedono i resti del vecchio canale di derivazione che alimentava la ruota idraulica.
Nei muri eretti nella campagna di Padergnone si possono trovare esempi di mattoni in “tòf” tagliati dalla sega locale.
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Bibliografia
Il “Mòlin dei Pradi”, situato all’incrocio tra via XII Maggio e via San Valentino, risale almeno al principio del XVIII secolo. All’epoca era gestito dalla famiglia Bassetti di Santa Massenza e, come testimonia un documento coevo, venne distrutto nel 1703 dai soldati francesi comandati dal generale Vendôme. Forse a tale opificio si può ricondurre anche il riferimento ad un mulino, presente in una pergamena del 1609, che confinava ad ovest con la via communis (probabilmente la strada imperiale, oggi di campagna).
Nel corso dell’Ottocento lo stabile passò in proprietà alla famiglia padergnonese dei Sembenotti e, come evidenziato dalla consultazione del Libro dei Nati, si registrò la presenza in loco di un certo Giacomo Gioacchino Miori (1802-1871) di professione mugnaio [presso molino Sembenotti?] originario del paese di Lon. Al termine del secolo i suoi figli, Giuseppe (nato 1867) ed Emanuele (1869) Miori, rilevarono il molino dai Sembenotti. Emanuele Miori proseguì l’attività paterna almeno fino al 1910 e probabilmente chiuse i battenti prima della fine degli anni ’20.
Giuseppe Miori aprì un nuovo mulino innovativo, a cilindri, poco sotto il "Molin dela Gioana".
In questo tratto la roggia è pianeggiante e la spinta è lenta come quella dell'espressione "Dio 'l t'aiuta" associata a questo mulino e ripresa nel canto:
Il Mòlin del Péro si raggiunge percorrendo il "Vòlt dei Caschi" tra via XII Maggio e via Montagnola. Quest’attività fu chiusa al termine della Prima Guerra Mondiale a causa del grave infortunio incorso (seppur non in battaglia) al suo titolare: Pietro Tonini.
Alcuni studiosi, basandosi sulla consultazione di documenti storici e sull’osservazione della struttura dell’edificio, sostengono che questo possa essere il più antico opificio nominato nella copia cinquecentesca dello Statuto di Vezzano – Padergnone. La sua presenza è riportata anche in una pergamena del 1609 testimoniante la vendita di un terreno posto vicino al mulino da parte di Tommaso del fu Francesco Chemelli di Padergnone a ser Valentino del fu Matteo. Infine, è stato disegnato anche nell’apparato cartografico del catasto asburgico del 1860.
La spinta dell'acqua qui è un po' più forte che al "Molin dei pradi" ed il motto “Se ‘l podrà ‘l te aiuterà” [Dio], ripetuto più volte riproduceva il ritmo della rotazione di questa ruota; insieme a quelli degli altri mulini è stato poi ripreso nel canto:
Il "mulino Chistè Dorigo", in località "Massiccia", chiamato "dei Tómpi", dall'antico soprannome di famiglia, è l'unico mulino del comune catastale di Lasino di cui rimane traccia ed essendo nelle vicinanze di Calavino lo inseriamo in quel gruppo.
Ora non rimane che un rudere che ci permette di localizzarlo con precisione, ma lo troviamo documentato sulla cartina storica del 1860 ed è citato fra i 26 mulini attivi a Calavino in un atto del Distretto Giudiziale di Vezzano, datato 17 settembre 1819, con cui i vicini di Calavino protestavano contro le tasse introdotte dalla nuova "Legge sulle Acque" del 1818.
Si trova ai piedi di un piccolo dosso sovrastante la piana del Grumèl, accanto ad una cascatella della roggia di Valle, in questo tratto chiamata roggia di Larì, dalla quale evidentemente partiva la derivazione a suo servizio.
Sarà quello stesso mulino citato in un'investitura del 1235 e ripresa nel 1278 che parla di un mulino "subtus Grumum apud Calavinum"? Considerata la derivazione di Grumèl da "grumus, grumulus", cioè "mucchio di terra", e che questa località è vicina a Calavino, sembra proprio di sì.
Quartiere del paese di Sarche situato oltre il fiume Sarca rispetto al resto dell'abitato. Il nome deriva proprio dal traghetto per l'attraversamento del fiume.
Anche nell’edificio in Via Borgo 10 un mulino venne trasformato in falegnameria, questa volta dai Gentilini, che proseguirono la loro attività fino al 1966.
Terminava con questo edificio il canale di derivazione della Roggia Grande. Dopo aver fatto girare l’ultima ruota idraulica di Vezzano, l’acqua che ne usciva si univa a quella di una vicina sorgente per tornare poi nella Roggia Grande poco più a sud.
Il sito di Ecomuseo con gli approfondimenti è raggiungibile qui:
È nell’edificio in Via Borgo 18 che i Tecchiolli hanno iniziato la loro attività di panificatori prima di trasferirsi a Cavedine.
Avevano iniziato come fabbri, poi sono passati alla macinazione ed infine hanno aggiunto anche la panificazione.
Il sito di Ecomuseo con gli approfondimenti è raggiungibile qui:
In Via Borgo 20 Guido e Mario Pardi, provenienti da Roseto degli Abruzzi, hanno lavorato la ceramica dal 1931 al 1966.
La loro produzione artistica si è avvalsa anche della preziosa collaborazione con il noto artista di Lasino Francesco Trentini, al quale è dedicato un sito:
Nell’edificio in Via Borgo 22, nel 1979 si è fermato il mulino Garbari, l’ultimo alimentato dalla ruota idraulica a Vezzano, cosa ormai rara, tanto da essere documentata sulla neonata rete televisiva RAI 3, secondo quanto ci viene raccontato.
Non sappiamo da quando era in funzione, ma per almeno un paio di secoli ha dato lavoro e sostentamento alla famiglia Garbari, che ad inizio '900 ha sostituito il mulino a pietra con uno metallico a cilindri rendendo la produzione molto più rapida.
I pezzi del mulino a cilindri, smontati e numerati, sono stati conservati nell’ipotesi di una futura ricostruzione da parte della Comunità di Valle.
Una coppia di macine (palmenti) del precedente mulino a pietra è conservata al Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all’Adige ed una macina è inserita nell’aiuola della pace presso il teatro di Valle a Vezzano.
Come in tutte le famiglie, anche in questa qualcuno ha cambiato attività: Quintino e il figlio Giuseppe tra il 1949 e l 1951 si sono dedicati alla falegnameria occupandosi di un settore particolare: la costruzione delle botti.
Il sito di Ecomuseo con gli approfondimenti è raggiungibile qui:
La diramazione della Roggia Grande realizzata in funzione degli opifici di casa Broschek, poi Bassetti, è stata realizzata con una condotta in muratura ed una chiusa. È ancora funzionante.
Seppure con una funzione diversa, possiamo ancora vedere la breve derivazione della Roggia Grande che portava alla fucina Manzoni. Da lì partiva un canale (doccia), prima in legno e poi sostituito con uno in ferro, che fiancheggiava l'edificio e portava l'acqua sopra le ruote idrauliche. L'acqua tornava quindi subito nella roggia: energia rinnovabile al 100%.