Piccolo attrezzo per praticare fori nel legno senza l'uso del trapano.
Veniva usato anche da chi preparava il "bròz" per la discesa dalla montagna per avviare i fori in fondo ai "palanchi" prima di inserire le "cavìce" nella "palanchéra" che li teneva distanziati.
Capestro per due buoi con cavicchio in ferro collegato all'anello del capestro da una catena. Tutto il resto è in cuoio. L'anello in corda di cuoio intrecciata è rinforzato da un rivestimento in cuoio.
La fotografia ritrae la piccola Pisoni Lucia nel giorno della sua Prima Comunione.
Come di consueto per l'epoca, indossa un vestito tradizionale e porta sul capo un velo in tulle.
Alle sue spalle possiamo notare il paese di Castel Madruzzo, in particolare la maestosa Chiesa Lauretana.
La fotografia ritrae i coniugi Bruno e Alda Bassetti, originari di Santa Massenza, nel 1953, davanti a un'esposizione di vino santo.
Grazie alla targhetta posta in alto, che riporta il nome: "Salvetta Dario Sarche", sappiamo che si trattava dell'azienda agricola vinicola fondata a Sarche proprio da Dario Salvetta negli anni '30 del 1900 e tutt'ora produttiva.
Arrivati sotto casa col carro carico di fieno, questo ferro, chiamato anche "ranĉ", era lo strumento col quale più rapidamente lo si portava in soffitta.
Esso era collegato, tramite il suo anello, al gancio della corda ("soga") inserita nella carrucola posta sul tetto appena fuori dal "bochér". Un uomo lavorava sul carro ed un altro, o una donna, o un ragazzo, stavano sulla soffitta.
Il ferro, come fossero due braccia, veniva aperto, schiacciato sul mucchio di fieno e chiuso in modo che tenesse fra i due lunghi uncini quanto più fieno il contadino era in grado di sollevare. A quel punto tirava su il fieno con la corda fino all'imbocco dell'apertura sulla soffitta ("bochér"). Chi era sopra lo tirava dentro, apriva il ferro liberando il fieno e faceva ridiscendere il ferro. Mentre chi era sotto preparava un altro carico e lo tirava su, chi era sopra con la forca spostava il fieno all'interno della soffitta per posizionarlo al suo posto.
---
Ranĉ può avere anche altro significato:
Questa bigoncia ha una capacità di 50 litri segnata dalla presenza di un "bròca" all'interno.
Per il trasporto a spalla è munita di due corde rivestite di stoffa.
Recipiente stretto in basso e più largo in alto, formato da doghe di legno tenute insieme da lamine di ferro, munito di cinghie per poterlo portare sulle spalle.
Serve per il trasporto di liquidi, in principal modo vino e mosto.
Arnese composto da una lunga e larga lama di ferro con costola, leggermente incurvata, avente un anello di ferro col quale si incastra in un lungo manico di legno. Ad esso sono attaccati due pezzi di legno piegati ad angolo ("manéte") che il falciatore impugna per brandire la falce e segare prati e cereali.
La lama veniva mantenuta affilata battendola regolarmente con un piccolo incudine ("piàntola") e martello e molto spesso con la cote ("preda").
Osservando un oggetto naturale il contadino metteva in moto la sua creatività ed il suo ingegno trasformandolo in qualcosa di utile. In questo caso ha costruito una "vasóra" trovandosi il manico bell'e fatto dalla natura.
Come si può ben notare questo utensile è molto usurato.
Questo gancio a tre punte veniva appeso ad una trave del soffitto nella baita di montagna e ad ogni uncino veniva agganciato un sacchetto di tela contenente farine o altri prodotti alimentari che dovevano rimanere asciutti e fuori dalla portata degli animali, in particolare dei topi.
Nella foto si vedono due dei "bochéri" aperti su una soffitta, come era d'uso nelle case contadine.
Nella foto dall'interno sono visibili anche i muri di sassi, il pavimento di legno ed il tetto coi coppi; in quella dall'esterno il balcone in legno coi graticci per appendere le pannocchie di mais ad essiccare.