La registrazione è stata fatta da una telefonata in viva voce parlando di attrezzi di una volta.
Roberto Pedrotti cita e spiega questo modo di dire.
In italiano sta a significare:
Quello te le racconta che non riusciresti a prenderle neppure con le molle per il focolare.
Lo si potrebbe dire di uno spaccone.
Beniamino Bassetti (1889-1956), figlio di Angelo e Aurelia Bassetti, originario di Santa Massenza, oltre ad aver lavorato presso l'omonima cantina produttrice di vino santo e presso la Cassa Rurale di Santa Massenza, di cui il padre è uno dei fondatori, ha prestato servizio al fronte durante la Prima Guerra Mondiale.
In questa immagine è il primo da sinistra, raffigurato con i commilitoni al fronte in un momento di convivialità.
Riportiamo la trascrizione presente sul retro della cartolina, indirizzata alla famiglia di Bassetti Angelo, in Santa Massenza di Vezzano (Trento):
"In campo, 8 marzo 1918
Dare da bere agli assetati è un'opera di misericordia ma tenersene anche per sè son doveri.
Tanti saluti a tutti voi
Beniamino"
Cartolina viaggiata recante data: 8 marzo 1918.
Sul retro compaiono la data dell'evento tracciata a matita: 25 - 2 - 1937 e il timbro "Pietro Rigotti - cantina vini"; quest'ultimo, tuttavia, pare non avere alcuna rilevanza e significato per la fotografia.
Possiamo qui scorrere la storia del ferro da stiro attraverso le immagini
1. Ferro da stiro a braci - Soprès a brase
Antico ferro da stiro col corpo formato da un contenitore in ghisa apribile in cui si inserivano braci ardenti usando "el mòi" o la paletta di ferro. Il fondo si riscaldava a tal punto che si poteva stirare. Il manico era di legno.
Contenitore aperto in legno, protetto sulla base da una lamiera di rame, che aveva lo scopo di contenere lo scaldaletto e tener sollevato le lenzuola cosicché il calore potesse espandersi ed asciugare l'umidità.
Veniva posto per tempo tra le lenzuola in mezzo al letto e vi veniva inserito lo scaldaletto.
Quando si andava a letto, il tutto veniva appoggiato sul pavimento cosicché continuava a distribuire tepore finché le braci non si spegnevano del tutto.
Contenitore in rame in cui venivano inserite grossi braci ardenti usando "el mòi" o la paletta di ferro. Il coperchio era traforato in modo che le braci potessero ricevere aria e rimanere vive; il manico era lungo per evitare di scottarsi quando lo si andava a posizionare nella "monega" sotto le coperte.
La "fornèla" ha sostituito un po' alla volta il "fogolàr". In origine questo apparecchio di ferro posto su quattro pioli tratteneva il fuoco al suo interno e mandava il fumo nel tubo del camino ("canón") che lo portava all'esterno.
Sul camino c'erano dei sottili ferri che si potevano aprire a raggera per stendere piccole cose da asciugare velocemente, primi fra tutti i "panisèi" dei neonati.
Oltre il camino anche la spessa lastra superiore irradiava il calore. Essa era fornita di più cerchi concentrici che potevano essere tolti ("fèri dela fornèla") con l'apposito "ferét" in modo da inserire il paiolo (paròl) a diretto contatto col fuoco.
Sul fianco aveva una vasca di rame per l'acqua, così da avere sempre a disposizione acqua calda e da offrire la giusta umidità alla stanza.
Sotto la bocca del fuoco c'era quella della cenere ("cendriaröl") e di fianco il forno offriva la possibilità di cuocere il pane in casa.
Intorno aveva un passamano in ottone per evitare scottature, ad esso venivano appesi "el ferét", la "paléta dala céndro", "la cazza de l'aqua", "'na pèzza de cosìna"...
Accanto vi era la "banchéta dela legna" o sotto "la cassa dela legna", che conteneva anche lo scopino ("scoàt") per la periodica pulizia dalla fuliggine ("carazza").
Sul muro accanto erano appesi i contenitori per il sale e per i fiammiferi ("sofranèi").
Spesso la "fornéla" era staccata da muro in modo da far posto ad una alzatina in legno e una panca, a volte anche ad angolo, per ricreare quel luogo tipico del "fogolàr" dove la famiglia, e prima di tutto gli anziani, potevano godere al meglio il calore della cucina.
Col tempo la cucina economica ha cambiato il suo aspetto e la sua funzionalità e, seppur diversa, è ancora diffusa nei nostri paesi.
Accessorio in ferro utilizzato per muovere legna e braci nella stufa e per spostare i "fèri dela fornèla".
Proprio per la funzione molto simile il nome "mòi" è passato dalle molle del focolare all'attizzatoio della cucina economica ("fornèla").
Barra di ferro battuto, ripiegata ad U piatta sulla curvatura e alle estremità.
"El mòi" viene usato come una molla premendo l'estremità piegata per spostare le braci e la legna nel camino, trattenute con le estremità piatte.
Serviva anche per prendere le braci e caricare il ferro da stiro ("soprèssa") e lo scaldaletto ("scaldalèt").
Vedi anche
Si tratta della fuliggine che si forma sotto le pentole a contatto col fuoco.
La fuliggine, che molto aveva a che fare con la vita della nostra gente, in dialetto prende anche altri nomi a seconda della particolare forma che assume:
Un tempo per "trepéi" si intendeva essenzialmente un arnese in ferro munito di tre piedi che si poneva sopra il fuoco nel focolare aperto ("fogolàr") per sostenere le pentole.
Se ne usavano però anche in legno per sostenere contenitori.
Oggi sono certo di più largo uso treppiedi, solitamente regolabili, per sostenere fotocamere, videocamere ed altri strumenti tecnologici.
Questo treppiede in ferro battuto ha due piedi sotto il cerchio, che proseguono piegati a 90° e sagomati sopra il cerchio, e uno sotto il lungo manico.
Il cerchio veniva posto sopra la brace nel focolare aperto ("fogolàr") per mantenere sollevato dal fuoco pentole di diversa misura.
Sul lungo manico, che usciva dal fuoco, c'è un ferro verticale con due ganci ai quali veniva appoggiato il manico delle padelle, come ad esempio il tostino ("brustolìn"), per mantenerle orizzontali.
Questo treppiede triangolare in ferro battuto veniva posto sopra la brace nel focolare aperto ("fogolàr") per mantenere sollevato la pentola dal fuoco.
La sagomatura del triangolo permetteva di sostenere anche pentole più piccole .
Legatura di cinghia e fune in cuoio che veniva posta intorno alle corna del bue e fissata con una "cavicèla" nella parte anteriore del timone con la funzione di permettere al bue di frenare quando il carro spingeva avanti il timone.
È formata da due cinghie in cuoio da porre intorno alle corna (cornére) unite a un corda in cuoio intrecciato formante tre anelli (anèi) ed un cavicchio di legno fissato con una corda ad un anello.
Punto in fondo alle strade di montagna in cui il carro a due ruote (bròz") veniva trasformato in carro a quattro ruote.
Parte della strada aveva uno sorta di alto scalino coperto sotto il quale veniva posizionato il "mèz car" con due ruote grandi o il "carriöl" con due ruote piccole.
Il bue veniva fatto scendere col "bròz" lungo la strada curvando in modo da far arrivare sopra il "brozzadór" la parte posteriore del carico a strascico e sotto il "brozzadór" il bue che gli girava a fianco.
A quel punto i conduttore agganciava il "mèz car" o il "carriöl" sotto il carico a strascico.
Con l'aggiunta delle due ruote posteriori il "bròz" veniva così trasformato in un carro a quattro ruote, adatto a proseguire il viaggio al piano.