Attilio Ernesto Tonelli nacque a Vezzano nel 1880 ed è figlio di Teodoro Domenico Tonelli (di Vezzano) e (Giuseffa Chistè di Calavino). Nel 1905 emigrò negli Stati Uniti e lavorò in una miniera di carbone a South Wilmington (un villaggio minerario dell'Illinois): qui conobbe sua moglie. In seguito cambio attività, aprendo un negozio di alimentari, e quando si spostò a Joliet (un altra cittadina dell'Illinois) nel 1912, aprì anche lì un negozio.
Teofilo Tonelli, suo fratello, lo raggiunse e aprì anche lui un negozio nella cittadina. Un terzo fratello, Evaristo Lorenzo Tonelli emigrò a Buenos Aires, in Argentina, mentre il quarto fratello, Giuseppe Oreste Tonelli, giunse nel Michigan.
Fra il 1905 e il 1908, Attilio mandò in patria, ai genitori rimasti a Vezzano, parte dei soldi guadagnati col lavoro in miniera.
Mandò l'equivalente di circa 10,403.00 dollari, quasi 9.000,00 euro, una cifra cospicua per l'epoca. Una delle ricevute la mandò alla sorella, Cesarina Garbari Tonelli, per poter aiutare la sua famiglia a compiere il viaggio per raggiungerlo in America e fargli visita.
I genitori, la sorella e qualche altro familiare lo raggiunsero. Sua madre Giuseffa, purtroppo, morì in America per cause non note e non si riuscì a reimpatriare la salma: fu quindi seppellita in Illinois, a Braidwood.
Attilio morì in Illinois nel 1961.
Quasi un secolo dopo, Rodney, discendente di Attilio, ricostruisce la vita da emigrato del bis nonno cercando e collegando documenti e fotografie.
La "ferazza" si inseriva a colpi di mazzuolo ("mazòt") in tronchi troppo lunghi e pesanti da sollevare e si attaccava a strascico al bue per uscire dal bosco e al "bròz" per il trasporto fino a valle, agganciandolo con una catena rispettivamente al "balanzìn" e alla "igna".
L'anello libero all'estremità della "ferazza" permetteva al tronco di ruotare liberamente.
Composto di calce e paglia che mescolate assieme formavano un impasto con un buon potere legante utilizzato per la costruzione di pareti interne col supporto di listelli di legno.
Semplice attrezzo agricolo formato da una cassa aperta, in cui si inseriscono "strami" e foraggio, ed una lama con cui si tagliano gli stessi spinti manualmente a sporgere dalla cassa. Questo macchinario è precedente alla "machina dala pastura".
"Cassèla" è chiamata anche la parte della "machina dala pastura" che contiene il foraggio da tagliare.
Foglia che protegge la pannocchia del mais. Essiccata veniva usata un tempo per riempire annualmente i materassi, detti "paión de sfoiàzzi" o "paión de sfoióni"
Originariamente la grande ruota anteriore era munita di una maniglia ("manécia") sul bordo che un uomo posto di fronte faceva ruotare con ampi movimenti circolari. La ruota, munita di due lame, tagliava il foraggio man mano che usciva dalla bocca dentata della macchina e metteva in moto gli ingranaggi di tutto il macchinario.
Un altro uomo caricava il contenitore ("cassèla") con la giusta quantità di fieno, che veniva mandato avanti dalla catena e portato alla bocca, nella quale entrava ben pressato grazie al peso appeso sotto, che poteva essere regolato in base alla quantità di fieno inserito. Se il fieno non veniva mantenuto premuto, si piegava anziché tagliarsi.
Un pedale, ora assente, collegato attraverso il perno sulla destra del macchinario alla ruota, permetteva a chi caricava di far forza ritmicamente col piede, in modo da aiutare chi era davanti a movimentare la ruota.
Talvolta la quantità di fieno che entrava era comunque eccessiva rispetto alla forza di chi tagliava e la macchina si inceppava; in questo caso sollevando l'asse sopra la "cassèla" veniva azionato un ingranaggio che faceva andare all'indietro la catena e quindi il fieno, dopodiché veniva rimandato avanti ma in uno strato più sottile.
Sulla sinistra del macchinario è stato aggiunto negli anni '50 il motore elettrico semplificando così il lavoro.
La "machina dala pastura" veniva tenuta in soffitta insieme al fieno.
È una pianta erbacea molto resistente anche in climi freddi e aridi. Raggiunge il metro di altezza e produce fiori a grappolo di colore bianco o rosa. Pur non essendo un cereale veniva coltivato per la produzione di farina dai suoi semi, piccoli e triangolari. Insieme alla farina di frumento veniva usata per fare il pane ed insieme alla farina di mais per fare la polenta taragna.
Attrezzo per lavorare la terra formato da un manico di legno diritto e una lama di ferro triangolare con in alto i bordi su cui appoggiare i piedi per sprofondarla nel terreno.
Veniva coltivato per produrre la farina gialla per fare la polenta (anche con l'aggiunta di farina di orzo e di "formentón", ossia grano saraceno) e la "mòsa", ma si sfruttavano anche le altre parti della pianta:
- con la trinciaforaggio (“machina dala pastùra”) si tagliavano le cime alle piante quando erano ancora verdi, per dare da mangiare agli animali;
- con le brattee secche (sfoiàzi) si facevano i materassi, ogni anno si lavavano le fodere dei materassi e si cambiavano le foglie; con le foglie vecchie si faceva il letto alle mucche;
- le brattee secche venivano usate anche per costruire bamboline;
- con la “cassèla” si tagliavano gli steli secchi ("strami") per fare il letto alle mucche (farlèt);
- i tutoli (sgasegòtoi") si usavano per accendere il fuoco, si mettevano tra le lucaniche appese a stagionare e talvolta si mettevano nei muri in "maltampaia".
Attrezzo per spostare materiale minuto formato da un manico di legno leggermente sagomato e una lama di ferro.
Altro attrezzo simile, che in dialetto è chiamato anche "badìl", è la vanga:
Questo particolare badile è utile per il travaso delle granaglie: "zaldo, forment, pizzi...". Ha una lama quadrata coi bordi laterali ed il manico ricurvo, nella parte accanto alla lama, così da poter prendere le granaglie anche dentro i contenitori.
Pagelle rilasciata dalla "Scuola di avviamento a tipo commerciale N. e P. Bronzetti" a Tasin Flora frequentante "nell'anno scolastico 1943/44 la classe prima" e "nell'anno scolastico 1944/45 la classe seconda presso il Centro di Assistenza Culturale di Vezzano gestito dall'Opera di Assistenza all'Italia Redenta" il primo anno e dall' Opera naz. per l'educazione della prima infanzia il secondo anno, come da delega del Provveditorato agli Studi di Trento.
Di questa scuola, con sede presso l'attuale municipio, funzionante a Vezzano nei due ultimi anni di guerra, Flora nel parla qui: