Palo con due anelli in ferro alle estremità per l'attacco, attraverso catene o cinghie, al bue o al cavallo. Al centro aveva poi un anello al quale si collegava l'aratro o qualsiasi altro strumento. Era libero di muoversi e permetteva quindi una grande mobilità dell'attrezzo collegato.
Per meglio mostrarne l'uso è stato qui fotografato agganciato a "gioàt" e al "piöf".
La "ferazza" si inseriva a colpi di mazzuolo ("mazòt") in tronchi troppo lunghi e pesanti da sollevare e si attaccava a strascico al bue per uscire dal bosco e al "bròz" per il trasporto fino a valle, agganciandolo con una catena rispettivamente al "balanzìn" e alla "igna".
L'anello libero all'estremità della "ferazza" permetteva al tronco di ruotare liberamente.
Originariamente la grande ruota anteriore era munita di una maniglia ("manécia") sul bordo che un uomo posto di fronte faceva ruotare con ampi movimenti circolari. La ruota, munita di due lame, tagliava il foraggio man mano che usciva dalla bocca dentata della macchina e metteva in moto gli ingranaggi di tutto il macchinario.
Un altro uomo caricava il contenitore ("cassèla") con la giusta quantità di fieno, che veniva mandato avanti dalla catena e portato alla bocca, nella quale entrava ben pressato grazie al peso appeso sotto, che poteva essere regolato in base alla quantità di fieno inserito. Se il fieno non veniva mantenuto premuto, si piegava anziché tagliarsi.
Un pedale, ora assente, collegato attraverso il perno sulla destra del macchinario alla ruota, permetteva a chi caricava di far forza ritmicamente col piede, in modo da aiutare chi era davanti a movimentare la ruota.
Talvolta la quantità di fieno che entrava era comunque eccessiva rispetto alla forza di chi tagliava e la macchina si inceppava; in questo caso sollevando l'asse sopra la "cassèla" veniva azionato un ingranaggio che faceva andare all'indietro la catena e quindi il fieno, dopodiché veniva rimandato avanti ma in uno strato più sottile.
Sulla sinistra del macchinario è stato aggiunto negli anni '50 il motore elettrico semplificando così il lavoro.
La "machina dala pastura" veniva tenuta in soffitta insieme al fieno.
Questo particolare badile è utile per il travaso delle granaglie: "zaldo, forment, pizzi...". Ha una lama quadrata coi bordi laterali ed il manico ricurvo, nella parte accanto alla lama, così da poter prendere le granaglie anche dentro i contenitori.
Questo "giöf" era colorato di azzurro; il colore è stato consumato là dove appoggiava sul collo dei buoi e nella parte centrale dove era fissata la "véta" .
Attaccati al "giöf" sono rimasti i passanti in ferro per le "cornére" e una "tavèla" in ferro che passava sotto il collo del bue.
Supporto costituito da due parti in ferro, una fissa e l'altra mobile. Quella sotto veniva ancorata sul motocoltivatore al posto del cassone per adattarlo al trasporto a strascico dalla montagna. Sulla parte mobile venivano fissati due lunghi pali, sopra i quali era posto il carico. Il carico poteva così ruotare rispetto al motocoltivatore e permettere perciò di effettuare anche curve impegnative.
Particolare legno ricurvo che, agganciato alla parte posteriore dei "palànchi", tramite "cavìce" di ferro, li teneva paralleli dietro al "bròz".
Sulla "palanchèra" sono infissi dei ganci di legno fra i quali passava la "fum" indispensabile a fissare il carico a bordo.
La medaglia è stata donata dall'A.N.A. sezione di Trento ad Enrico Aldrighetti per il decennale di fedeltà alla fanfara. Documenta la sua entrata nella fanfara cittadina nel 1954, anno in cui, con la guida del maestro Patelli, aveva vinto il primo premio al concorso per fanfare alpine di Vittorio Veneto. La fanfara era stata rifondata da soli due anni dopo l'interruzione dell'attività in seguito della seconda guerra mondiale.
Le vasche si riempivano tramite l'acqua lì condotta dalla grondaia. Venivano usate per fare il "verderam" per bagnare le vigne: si metteva a sciogliere il verderam e poi si aggiungeva la calcina ottenuta dalla vicina calchèra.
La targa a forma di pergamena, realizzata nel laboratorio artigianale di Manzoni Franco, riporta a sbalzo le icone del carnevale: due personaggi mascherati e i paioli sul fuoco appesi all'apposita struttura. Nel mezzo si legge: "A Enrico Aldrighetti per i tuoi sessant'anni di carnevale. Gli amici pompieri 1947-2007".
Sono davvero poche le persone che riescono a portare avanti la loro azione di volontariato per 60 anni; grazie alla salute, all'abnegazione e alla tenacia "Richéto" ce l'ha fatta!
Tradizionalmente per il carnevale veniva costruita in piazza una struttura in legno alla quale venivano appesi con catene di ferro i grandi paioli per cuocere gli spaghetti, il ragù e il vin brulè sotto i quali si facevano ardere fascine di legna.
Tale struttura è stata in questo caso riprodotta in miniatura quale dono di riconoscenza per la cinquantennale attività di Enrico Aldrighetti come si evince dalla targa: "50 anni di bigoi insieme. Grazie"
Medaglia conferita dalla Confraternita della Vite e del Vino a Beniamino Bassetti, per la sua specialità, il Vino Santo.
Beniamino Bassetti, nato nel 1889, lavorò tutta la vita per la Cassa Rurale di Santa Massenza, fondata dal padre. Si dedicò anche alla cantina, che produceva in particolare Vino Santo.
Morì nel 1956.
Essendo morto qualche anno prima della fondazione della Confraternita, avvenuta nel 1958, è probabile che sia stata consegnata ai successori.
Bottiglia di Vino Santo del 1979 della Cantina Pisoni di Pergolese. Sul collo la bottiglia sfoggia un premio, ricevuto dalla Confraternita della Vite e del Vino quell'anno.