In questa casa disabitata da tempo sono rimaste le scale utilizzate normalmente: sono in legno e ripide per occupare poco spazio. Come talvolta accadeva non hanno una ringhiera, invece sono dotate di un corrimano, utile in assenza di ringhiera.
Sono visibili anche una parete portante in muratura e due tramezze in "malta 'n paia".
Come da tradizione le pareti che separano le stanze sono, in questa casa disabitata da tempo, realizzate con listelli di legno orizzontali inframezzati da un composto di calce e paglia. Oltre l'assito in legno, si intravede la continuazione al piano superiore.
Questa defogliatrice manuale auto-costruita non è storica ma proprio per la lavorazione manuale che prevede ne ha le caratteristiche. Viene montata per ripulire le olive dalle foglie.
Le olive vengono inserite nella bocchetta superiore. La grata ferma i rametti, il resto passa di sotto e scorre sulla base inclinata. Le foglioline si infilano tra i legni e cadono a terra mentre le olive, a fine corsa, finiscono su un telo ai piedi della defogliatrice pronte per essere portate al frantoio.
Attrezzo formato da una tavoletta metallica con lamine sporgenti da un lato e cinghia di pelle dall'altro. La cinghia veniva inserita nella mano e sfregando gli animali con le lamine di ferro si toglieva loro lo sporco dal mantello.
Contenitore cilindrico in legno usato un tempo per il trasporto e la misura delle granaglie.
È racchiuso da due cerchi di ferro e sopra ha una barra di ferro che lo attraversa e che serviva sia come manico per il trasporto sia come strumento per sgranare il granoturco strofinandovelo sopra.
Sega di grande dimensione con due manici, usata da due uomini che la muovono insieme per tagliare alberi.
La lama ha la parte posteriore dritta, mentre quella anteriore è convessa con dentatura a triangoli isosceli.
Questo treppiede in ferro battuto ha due piedi sotto il cerchio, che proseguono piegati a 90° e sagomati sopra il cerchio, e uno sotto il lungo manico.
Il cerchio veniva posto sopra la brace nel focolare aperto ("fogolàr") per mantenere sollevato dal fuoco pentole di diversa misura.
Sul lungo manico, che usciva dal fuoco, c'è un ferro verticale con due ganci ai quali veniva appoggiato il manico delle padelle, come ad esempio il tostino ("brustolìn"), per mantenerle orizzontali.
Questo treppiede triangolare in ferro battuto veniva posto sopra la brace nel focolare aperto ("fogolàr") per mantenere sollevato la pentola dal fuoco.
La sagomatura del triangolo permetteva di sostenere anche pentole più piccole .
Questa particolare catena è munita di due ganci: l'uno si appendeva alla trave sopra il focolare aperto e all'altro si agganciava il paiolo.
Ambedue i ganci hanno piccoli uncini che permettono di regolare la lunghezza della catena collegandoli ai diversi anelli come si può vedere nelle due diverse foto.
Questa mòla è posta su un supporto in legno terminante con una cassetta aperta adatta a raccogliere l'acqua utilizzata per bagnare le lame di coltelli, forbici, roncole, scuri e altri oggetti taglienti che venivano affilati facendo ruotare con l'apposita manovella la ruota in pietra abrasiva.
La cassetta è sommariamente ricoperta con un un sacco di plastica per trattenere l'acqua.
La forca a sei rebbi ("ràmpoi") serve per le patate, quella a tre per il fieno e quella a 4 per il letame ("grassa"). Sono tutte usurate da tempo in particolare quella per il letame.
Come una forca ha i rebbi, seppure larghi, e come una vanga è adatta per lavorare la terra avendo i bordi su cui appoggiare i piedi per sprofondarla nel terreno.
Aratro più moderno della "piovìna" che permette di rivoltare la terra da ambo i versi. La parte vomere-versatoio, con la doppia lama, arrivati in fondo al campo, si poteva ruotare cosicché al ritorno poteva continuare a girare la terra allo stesso verso del solco precedente.
Veniva agganciato al motocoltivatore.
Vecchio arnese a trazione animale per arare i campi costituito da diverse parti con compiti specifici.
Il conduttore lo guida tenendolo per le stegole con maniglie in legno.
Il vomere ("gomér") è una lama che si pianta di traverso nel terreno ed è unito ad una "ala" fissa (versoio) che gira la terra sempre dalla stessa parte (a differenza del "voltìn"). L'altezza del vomere è regolabile in base alla profondità del solco che si vuole ottenere.
Davanti al vomere c'è una sorta di coltello divisore, il coltro, che taglia la "tópa" (cotica).
La stanga ("pèrtega") che unisce le parti dell'aratro ha sul davanti una ruota ed un gancio col quale si attaccava la "piovìna" al "balanzìn" e quindi al bue.
Quando a tirarla era una coppia di buoi, si toglieva la ruota davanti e, tramite il gancio in mezzo alla "pèrtega" si collegava la "piovìna" al "cariöl" che a sua volta era attaccato al "témon". In questo caso una delle ruote procedeva dentro il solco.
Dietro il vomere troviamo preziose informazioni sulla provenienza di questo aratro: il marchio rotondo intorno al logo (un sacco con le iniziali RSP) riporta: “Rud. Sack Schutzmarke”. Nel metallo si vedono poi in rilievo ripetute le iniziali e la scritta: “D 7 Mc Rud. Sack Leipzig” e, a parte, l’incisione “7 M 24”. Questa grande fabbrica di macchine agricole aveva sede a Plagwitz nel distretto di Lipsia in Germania. Le informazioni storiche che la riguardano ci portano a datare questo aratro tra il 1863 (anno in cui la ditta si è trasferita a Plagwitz, la cui iniziale compare nel logo) ed il 1891 (anno in cui si trasformò in Rud. Sack KG).
Attrezzo agricolo per creare i solchi dopo l'aratura. Nella foto si vede la manovella con la quale si regolava la profondità del solco. Veniva attaccato al "balanzin" con una catena per mezzo del gancio davanti e trainato dai buoi.
Questo vecchio attrezzo contadino appeso al muro serviva innanzitutto per spianare la terra e coprire i semi.
Dopo aver fatto i solchi e seminato, si collegava questo rudimentale erpice, dalla parte larga, al "balanzìn" trainato dal bue o dal cavallo.
Sopra si posizionava solitamente lo stesso contadino che guidava l'animale da tiro, o un ragazzo, per far peso e premere così sul terreno.
Con l'incedere del bue l'erpice livellava la terra coprendo così i solchi.
Succedeva talvolta che alla semina seguissero giorni di pioggia e le patate iniziassero a germogliare prima che il contadino le avesse coperte di terra. In tal caso sull'erpice posizionava solo un sasso in modo che il movimento della terra fosse più leggero e non andasse a rovinare i germogli.
Palo con due anelli in ferro alle estremità per l'attacco, attraverso catene o cinghie, al bue o al cavallo. Al centro aveva poi un anello al quale si collegava l'aratro o qualsiasi altro strumento. Era libero di muoversi e permetteva quindi una grande mobilità dell'attrezzo collegato.
Per meglio mostrarne l'uso è stato qui fotografato agganciato a "gioàt" e al "piöf".
La "ferazza" si inseriva a colpi di mazzuolo ("mazòt") in tronchi troppo lunghi e pesanti da sollevare e si attaccava a strascico al bue per uscire dal bosco e al "bròz" per il trasporto fino a valle, agganciandolo con una catena rispettivamente al "balanzìn" e alla "igna".
L'anello libero all'estremità della "ferazza" permetteva al tronco di ruotare liberamente.
Originariamente la grande ruota anteriore era munita di una maniglia ("manécia") sul bordo che un uomo posto di fronte faceva ruotare con ampi movimenti circolari. La ruota, munita di due lame, tagliava il foraggio man mano che usciva dalla bocca dentata della macchina e metteva in moto gli ingranaggi di tutto il macchinario.
Un altro uomo caricava il contenitore ("cassèla") con la giusta quantità di fieno, che veniva mandato avanti dalla catena e portato alla bocca, nella quale entrava ben pressato grazie al peso appeso sotto, che poteva essere regolato in base alla quantità di fieno inserito. Se il fieno non veniva mantenuto premuto, si piegava anziché tagliarsi.
Un pedale, ora assente, collegato attraverso il perno sulla destra del macchinario alla ruota, permetteva a chi caricava di far forza ritmicamente col piede, in modo da aiutare chi era davanti a movimentare la ruota.
Talvolta la quantità di fieno che entrava era comunque eccessiva rispetto alla forza di chi tagliava e la macchina si inceppava; in questo caso sollevando l'asse sopra la "cassèla" veniva azionato un ingranaggio che faceva andare all'indietro la catena e quindi il fieno, dopodiché veniva rimandato avanti ma in uno strato più sottile.
Sulla sinistra del macchinario è stato aggiunto negli anni '50 il motore elettrico semplificando così il lavoro.
La "machina dala pastura" veniva tenuta in soffitta insieme al fieno.
Questo particolare badile è utile per il travaso delle granaglie: "zaldo, forment, pizzi...". Ha una lama quadrata coi bordi laterali ed il manico ricurvo, nella parte accanto alla lama, così da poter prendere le granaglie anche dentro i contenitori.