Luoghi

  • Aula all'aperto di archeologia

    L’aula all’aperto di archeologia è stata realizzata all’interno del progetto SI.VAL (acronimo di Sazio Immersivo Valle dei Laghi) - educazione all’aperto, insieme all’aula di geologia ed a quella di natura, nell'anno scolastico 2023/24, grazie alla collaborazione di Ecomuseo della Valle dei Laghi, Istituto comprensivo della Valle dei Laghi, Comunità della Valle dei Laghi, Comune di Cavedine, con finanziamento Caritro. La classe terza della Scuola Primaria di Calavino, la classe quarta della Scuola Primaria di Cavedine, un gruppo opzionale della Scuola Secondaria di Primo Grado di Cavedine e le esperte Archeologhe della Soprintendenza per i beni e le attività culturali della P.A.T, Luisa Moser, Mariaraffaella Caviglioli, Mirta Franzoi, sono i protagonisti che hanno progettato e realizzato i contenuti dell’aula, selezionato quelli da porre sui pannelli e condiviso altro materiale nell’aula virtuale ospitata dall’Archivio della Memoria della Valle dei Laghi, collegata all’aula fisica tramite qr-code. Le Archeologhe hanno coinvolto gli alunni nell’apprendere gli aspetti principali del metodo dell’indagine archeologica per poi utilizzarlo in modo autonomo nella ricerca di informazioni relative alle principali scoperte archeologiche realizzate sul loro territorio, diventando protagonisti nella ricerca. Nei pannelli troverete in che cosa consiste il lavoro dell’archeologo, dallo scavo, allo studio e all’interpretazione finale dei dati, siano essi reperti o strutture. I bambini hanno proposto delle interviste ai nonni per conoscere i ritrovamenti e le tracce del passato sul territorio. Infine hanno rielaborato le informazioni raccolte attraverso la proposta di giochi e quiz. A questo seguono i dati relativi alla presenza dei Romani sul territorio, partendo dai toponimi che possono costituire un importante indizio, per poi soffermarsi sulle tracce di abitazioni e sul ruolo della valle come importante via di comunicazione tra l’area gardesana e la valle dell’Adige dove dominava la città di Tridentum. Attraverso attività strutturate in aula e lungo il percorso archeologico di Cavedine, gli studenti hanno imparato a riconoscere gli elementi distintivi del paesaggio che li circonda, leggendo le tracce e i segni lasciati dall’azione delle comunità umane, dalla natura e dal tempo e provando a immaginare possibili paesaggi futuri. Hanno poi proposto il geocaching come modalità alternativa per osservare con attenzione il paesaggio attraverso la ricerca di alcuni punti di interesse archeologico. I pannelli propongono inoltre un collegamento anche alle altre aule così da presentare il paesaggio e l’ambiente della Valle dei Laghi dai punti di vista geologico, archeologico e naturalistico e invitano alla riflessione sul futuro che vorremmo. Un’attenzione particolare è stata rivolta all’accessibilità attraverso l’uso della Comunicazione Aumentativa e Alternativa (CAA) ed una breve presentazione è stata fatta anche in lingua inglese. Accanto ai pannelli, delle sedute con tronchi naturali ed un bug hotel completano l’arredamento dell’aula. Essa può essere utilizzata dalle scuole per la didattica outdoor, che vede nell’ambiente naturale un contesto di apprendimento privilegiato, ed anche da famiglie e viaggiatori, come punto di arrivo o di partenza per esplorare il territorio circostante. Nell'aula virtuale collegata trovano spazio gli stessi contenuti dell'aula fisica ed altri riguardanti la Valle dei Laghi su questa tematica:
  • Calchèra a Calavino

    Questa classica fornace per la produzione della calce, semi interrata, si trova nella parte bassa del Gaggio dei Pini a monte della località Cesuron e a Nord della strada dei brozzi. La parte superiore esposta è protetta da una recinzione in legno. Per capirne il funzionamento e conoscere altre "calchère" della valle si rimanda alla voce del glossario collegata a questa scheda.
  • Piazzetta delle Regole - Calavino

    La “piazzetta delle Regole”, nel rione “Bagnòl” di Calavino riveste un importante significato storico perché era il luogo in cui solitamente venivano convocate nel passato (dal XIV° al XVIII° secolo) le assemblee pubbliche, chiamate “regole” in quanto previste dalle “carte di regola”(ossia specie di statuti comunali), che venivano convocate periodicamente nel corso dell’anno per l’assunzione di decisioni, riguardanti la gestione interna della comunità. Al tempo questa piazzetta era interessata dall’attraversamento della strada principale (la cosiddetta “strada imperiale”), da cui si dipartiva una stradina che s’innestava più a monte con quella di montagna. I primi riferimenti storici al piazzale di Bagnòl (Plazzollo dicto de Bagnol) risalgono all’8 febbraio 1428, nell’occasione in cui si ratificò la sottoscrizione del patto d'unione fra le Comunità di Calavino, Lasino e Madruzzo per la gestione unitaria delle proprietà pubbliche. Con l’abolizione delle carte di regola (1803) e la nascita delle "rappresentanze comunali" con la costruzione del municipio la piazzetta perse gradualmente la sua importanza. Negli anni ‘50 del 1900 venne realizzata la variante della strada che deviò tutto il traffico della valle di Cavedine; negli anni '70 con la revisione della toponomastica tale slargo venne ricompreso nell’attigua via Battisti e con la successiva revisione, agli inizi degli anni 2000, prese appunto il nome di “piazzetta delle Regole”. Nel 2014 è stata inaugurata la piazza ampliata, frutto di un grande lavoro di riqualificazione urbanistica: venne realizzata la nuova piazzetta totalmente separata dalle strade, con affaccio sulla Roggia, venne ruotata la vecchia fontana, recuperato l’antico lavatoio, recuperate dal fondale della roggia, restaurate ed esposte due macine molitorie. Nel 2017 Ecomuseo della Valle dei Laghi ha posto qui uno dei pannelli del percorso degli "Antichi mulini di Calavino" per far conoscere questa importante realtà produttiva del passato direttamente sul posto. Nel 2021 la Banda di Calavino ha scelto di installare proprio in questa piazzetta uno dei megafoni del progetto "SentIERI, la strada dei megafoni" così che il visitatore possa essere cullato dai suoni e dai racconti provenienti dal megafono, guardandosi intorno e immaginando le scene che lì si sono svolte, tanto tempo prima. --- Per approfondire, si invita alla lettura dell'articolo di Mariano Bosetti su questa piazza, pubblicato a pag. 36-42 di Retrospettive n. 48 del 2013, qui a disposizione:
  • Pozzo 8 - "Bus dei Poiéti"

    Coi suoi circa 15 metri di profondità e 11 di diametro il "Bus dei Poiéti" è fra i maggiori d'Europa. È costituito da due marmitte una accanto all'altra di diversa profondità ed è stato scavato a partire dal 1878 a cura della SAT sotto la direzione dell'ing. Annibale Apollonio ed in seguito a cura del Museo Tridentino di Scienze Naturali sotto la direzione del vezzanese Nereo Cesare Garbari, tra il 1966 e il 1975. Tra i materiali di deposito vennero rinvenuti reperti archeologici riferibili all'età del Bronzo Medio (3.500 anni fa circa): ossa umane e di animali, cocci di vasi, oggetti di selce, residui di cibo. Una scala metallica permette di scendere in fondo al pozzo dove è sempre presente una pozza d'acqua e si possono osservare tra l'altro i rotondi sassi porfirici portati dal ghiacciaio. Accanto al cancello d'entrata è presente una bacheca esplicativa. Approfondimento sui reperti Annibale Apollonio nel 1880 scrisse che vi furono rinvenute "varie ossa umane e d’animali. Fra le ossa umane c’era la parte superiore d’un cranio dolicocefalo assai bello e regolare ma molto piccolo. Le ossa animali erano spezzate trasversalmente in pezzi lunghi otto o dieci centimetri probabilmente allo scopo di estrarne la midolla. Vicino a queste ossa si trovò un coccio di vaso grosso 16 millim. composto della stessa pasta di quelli trovati nel pozzo Stoppani soltanto un po’più fina e rossiccia verso la superficie esterna del vaso. Questo coccio possiede le radici di un ansa con occhiello assai piccolo, e confrontato coi cocci rinvenuti negli avvanzi delle abitazioni lacustri di Mantova, esso mostra la medesima forma e composizione, tuttavia si ritiene che sia di epoca assai più recente ed abbia servito da crogiuolo (vedi la fig. N. 9). Al medesimo livello, ma alla distanza di circa 4 metri verso la valle, si scavarono altre ossa umane e di animali, ed in vicinanza un centinaio di cocci di varie forme e grandezze. Esaminati attentamente questi frammenti si riconobbe appartenere essi a tre vasi differenti uno dei quali si è potuto ristaurare completamente, ed è ora depositato nel Civico Museo di Trento. Questo vaso ha la forma di un anfora, è alto 32 centimetri largo 35, ha uno spessore di 5 millimetri e va ingrossando verso il fondo a 9 millimetri. Esso è composto di una pasta simile a quella dei cocci suddescritti, è lavorato a mano, e pare cotto al fuoco. Mancano le due anse solite a questo genere di vasi, e vi sono sostituiti invece sei piccoli becucci sul colmo del ventre ai quali venivano fissate probabilmente le corde per poterlo portare (vedi la fig. N. 7). Gli altri due vasi che non si poterono ricomporre, sembrano simili alle nostre pignatte usuali, sono formati della medesima sostanza degli altri, hanno color mattone, e sono lavorati a mano e cotti al fuoco. Si rinvenne poi una pietra schistosa sagomata precisamente come le anime dei ferri da stirare di vecchio sistema ridotta probabilmente da qualche ciottolo trovato nelle vicinanze (vedi fig. N. 10). Dagli oggetti ritrovati si deve dedurre che quegli scavi hanno dato rifugio o sepoltura ad uomini di un età remota e potrebbe essere che i cocci avessero relazione colle abitazioni lacustri; varrebbe quindi la pena che qualche archeologo si facesse a studiarli ed a ricercare eventualmente le traccie di tali abitazioni nei laghi di Castel Toblino e St. Massenza." Polo Orsi nel 1883 aggiunge: "trovai anche il frammento di un vero manico ad occhiello con tre solchi longitudinali, un coltello di selce cupa, e due sottilissime e belle lame arcuate, lunghe cm. 4 a 5, una delle quali con delicati ritocchi in testa. ... La presenza dell’ uomo nell’ età litica è ivi affermata dai vasi, dagli oggetti di selce, dagli avanzi dei pasti. ... Dei due vasi trovati al pozzo dei Pojeti, o per meglio dire messi insieme da un numero considerevole di cocci, l’ uno è a forma di doppio cono tronco unito alla base, alto m. 0,31, con diametro di m. 0,33 al maggiore rigonfiamento, e di m. 0,13 alla base. Intorno al colmo del ventre s’ inalzano 6 od 8 piccole anse verticali. Il secondo, mancante circa della metà, è alto cm. 20, pare di forma cilindrica od insensibilmente rigonfia, ed è munito di due anse orizzontali; l’ orlo superiore è cinto da un cordone intaccato da impressioni lineari fatte collo stecco. "
  • Pozzo 3 - "Antonio Stoppani" - "Bus dela Maria mata"

    Perfettamente costruito e visibile dal paese è stato il primo pozzo glaciale scoperto in Italia. Lo scopritore fu Antonio Stoppani nel 1875 e per questo a lui è stato dedicato questo pozzo e l'intero parco glaciologico col sentiero che lo attraversa. L'ingegner Annibale Apollonio con la S.A.T. eseguì nel 1878 rilievi e schede grafiche ipotizzandone lo svuotamento che realizzarono nel 1879 scoprendo così che il fondo non era a scodella come ipotizzava. Diversi i reperti che testimoniano l'utilizzo del pozzo da parte dell'uomo preistorico: Annibale Apollonio nel 1879 parla di "due frammenti di un vaso" che "pare lavorato a mano e non è cotto al fuoco", Paolo Orsi nel 1890 scrive di avervi trovato e conservare "un bel coltello siliceo a sezione triangolare (lungo cent. 4, 25 ), e di una elegantissima cuspide di freccia stretta e lunga (mill. 45), lavorata a fine ritocco" Prima della scoperta di Stoppani il pozzo era chiamato dai locali "Bus dela Maria mata" e una leggenda era ad esso collegata, cosicché ancor oggi è più conosciuto con quel nome. Una versione rivista per i bambini è inserita nella collana della Biblioteca del bosco di Vezzano che per una decina di anni si poteva trovare e leggere direttamente in questo pozzo insieme ad un altro libretto che, senza pretesa scientifica, illustrava ai bambini la formazione dei pozzi. --- Approfondimento: Nel 1880 così lo descrive Apollonio : "Esso è scavato nel macigno calcareo durissimo di formazione liassica, a strati regolari grossi un metro e più ed inclinati di 48 gradi verso l’orizzonte nella direzione da mattina a sera. La superficie della roccia è nuda e la cavità del pozzo vi è incisa netta, ben delineata, colle labbra all'intorno ben arrotondate nella forma rappresentata dagli spaccati qui uniti; solo osservasi una squarciatura nello strato superficiale, la quale partendo dal punto più depresso del labbro inferiore e seguendo la direzione da valle a monte con un’inclinazione di forse 30 gradi (vedi la pianta segnata nell’Annuario dell’anno 1878) costituiva il canale emissario. La sezione orizzontale del pozzo presa sul piano di interrimento misurava 7.50 metri nel senso longitudinale e 6.80 metri nel senso trasversale della valle: il volume del detrito scavato fu calcolato a 50 metri cubi e quello della roccia trapanata dall'acqua e dai massi perforatori di 120 metri cubi. Lo strato superiore dell’ interrimento constava di sabbia, scheggie e massi calcarei franati dal monte e dal ciglio superiore della marmitta dopo la sua formazione, lo strato inferiore invece era composto di un terriccio calcareo assai fino il quale racchiudeva qualche ciottolo e qualche pezzo di pietra calcarea. Sul fondo della marmitta si trovò una ventina di ciottoli di varia grandezza, il maggiore dei quali ha un peso di circa 30 chilogrammi. La maggior parte di questi ciottoli appartiene alle roccie cristalline e fra di esse vi predomina il porfido della valle superiore dell’Adige e della valle Avisana. La superficie interna delle pareti diremo verticali è assai regolare, sagomata a linee curve molto morbide e lavorata come se fosse battuta colla martellina fina. Il fondo della marmitta invece è irregolare ed ha una prominenza nel mezzo precisamente là ove dovrebbe essere più incavato (vedasi la sezione trasversale). Quest’ anomalia dipende in primo luogo dalla maggior durezza e compatezza del terzo strato, poi dalla esistenza di canali e fessure fra i piani di combaciamento del secondo, terzo e quarto strato dai quali l’acqua scappava direttamente dalla marmitta diminuendo la forza motrice rotatoria e con essa l’azione erodente della cascata, scavando invece maggiormente il fondo in prossimità delle fessure. Queste circostanze, la mancanza di massi perforatori di un certo volume, e forse uno spostamento laterale sfavorevole della cascata, furono certamente i motivi per cui il pozzo Stoppani non potè raggiungere quella perfezione o quella profondità che tutti si aspettavano vedendolo prima che si effettuasse lo scavo." e ancora: "Nel pozzo glaciale Stoppani ad 1.50 m. sotto il piano d'interrimento si trovarono due frammenti di un vaso probabilmente della forma d'una catinella del diametro di circa 30 cent. formati di un tritume grossolano di roccie cristalline impastate con poca argilla, di color nerastro. Lo spessore di quei pezzi è di 6 millimetri e desso va ingrossandosi al fondo e sull'orlo superiore. Il vaso pare lavorato a mano e non è cotto al fuoco (vedi fig. N. 8).
  • Il sentiero geologico Antonio Stoppani

    Il sentiero geologico Antonio Stoppani unisce una serie di pozzi glaciali, noti anche col nome di "marmitte dei giganti", generati lungo le falde inferiori del versante nord-occidentale del Monte Bondone in corrispondenza dell’abitato di Vezzano, La loro origine è dovuta all’azione dell’ultima glaciazione, chiamata “Würmiana”, iniziata circa 110.000 anni fa e terminata circa 12.000 anni fa, quando l'antico ghiacciaio atesino scorreva nella nostra valle. Secondo le più comuni spiegazioni potrebbero essere stati scavati sia dall'acqua che scorreva sotto il ghiacciaio, sia da quella che vi scorreva sopra, infiltrata nel corpo del ghiacciaio con moto vorticoso attraverso alti pozzi naturali verticali, chiamati "inghiottitoi" o "mulini". È intitolato ad Antonio Stoppani, poiché fu lui che per primo comprese l’origine glaciale dei pozzi nel 1875 e li descrisse poi nella sua opera "Il Bel Paese: conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica d'Italia" . La S.A.T. eseguì nel 1878 i rilievi sul primo pozzo scoperto e dedicato a Stoppani (n.3) e nel 1879 gli scavi, subito seguiti da quelli del "Bus dei Poieti" (n.8), continuati nel 1906 e tra il 1966 e il 1975. La realizzazione del "Parco glaciologico A. Stoppani", ad opera del del Museo Trentino di Scienze Naturali, risale al 1971. Diversi sono poi stati i lavori successivi di manutenzione, messa in sicurezza, segnaletica e le attività di valorizzazione da parte del Comune, dell'Agenzia del Lavoro, della Pro Loco, dell'A.P.T., del MUSE, della Rete delle Riserve della Sarca, dell'Ecomuseo... Il sentiero, ben segnalato e curato dal Comune di Vallelaghi, permette di raggiungere i primi 8 pozzi; i pozzi n 9 e n 10 (Van 1° e Van 2°) non sono stati svuotati e serviti dal sentiero geologico, anche se ritenuti di notevoli dimensioni e nel n. 9 sono stati trovati reperti che indicano sia stato abitato o utilizzato come rifugio in epoca preistorica, come il 3 e l'8. Per chi ama vivere il territorio si consiglia la visita all'intero sentiero geologico, qui sono proposte due diversi punti di partenza:
  • Fonte romana

    La “Fonte romana” si trova a poca distanza da Cavedine lungo un sentiero sterrato ben segnalato (sentiero archeologico) che conduce anche alla "Cosina" e alla "Carega del diaol". Questa fonte ha una struttura sotterranea in muratura costituita da un breve avvolto, sostenuta da un arco a tutto sesto che accoglie una grande vasca rettangolare in pietra per la raccolta delle acque provenienti da una falda freatica. La presenza di alcuni gradini, permette di accostarsi alla vasca, entrando in uno spazio molto suggestivo. La struttura non può essere assegnata con certezza all’epoca romana, anche se la sua antichità è evidente. Bibliografia:
  • Antichi mulini di Calavino

    Gli antichi mulini di Calavino costituiscono ormai un ricordo legato alla vita passata di cui purtroppo rimangono poche testimonianze. Rispetto agli altri paesi della Valle di Cavedine, Calavino è sempre stato caratterizzato da una ricchezza di sorgenti e corsi d’acqua che hanno contribuito allo sviluppo socio-economico e alla configurazione del paese. Per localizzare e ricostruire quello che una volta formava il cuore della vita artigianale del paese si è voluto creare un percorso che, attraverso sette pannelli, attraversa i principali punti dove si trovavano un tempo gli opifici. L’inizio del percorso è pensato nella zona del Bus Foran, dove la Roggia entra nel paese ed è collocata la bacheca introduttiva. Oggi buona parte della Roggia non è più visibile perché scorre al di sotto della strada, ma ci sono alcuni scorci dove la vediamo costeggiare le abitazioni. Il percorso passa dalla Piazzetta delle Regole, dove si gode di un’ottima visuale, per poi continuare nella parte vecchia del paese, il quartiere del Mas, cuore pulsante dell’artigianato di un tempo. Si stima che lungo la Roggia esistessero più di una trentina di mulini, destinati a diverse attività, che oggi sono purtroppo scomparsi e del quale restano poche testimonianze. I bambini della scuola elementare nella loro pubblicazione del 1981/82 elencano i mulini attivi a ricordo degli anziani e testimoniano che "Seguendo il percorso della Roggia possiamo ancora ammirare segni del passato: alcune grosse macine di pietra e frammenti delle grandi ruote di legno": sorprende come nel 1980 ci fossero ancora frammenti delle ruote di legno. --- Bibliografia: - pag. 47-48 di

Qui sono mappate le risorse di interesse archeologico presenti nell'Archivio della Memoria della Valle dei Laghi: