Nelle gelide notti invernali con serramenti e pavimenti che isolavano poco e la cucina come unica stanza riscaldata della casa, lo scaldaletto permetteva di coricarsi in un letto caldo e asciutto che così rimaneva a lungo. Il portentoso strumento era formato da un trabiccolo aperto in legno, protetto sulla base da una lamiera di rame, che veniva posto per tempo tra le lenzuola in mezzo al letto. Era chiamato "monega" ed aveva lo scopo di contenere lo scaldaletto e tener sollevato le lenzuola cosicché il calore potesse espandersi ed asciugare l'umidità.
Lo scaldaletto era un contenitore in rame in cui venivano inserite grossi braci ardenti. Il coperchio era traforato in modo che le braci potessero ricevere aria e rimanere vive; il manico era lungo per evitare di scottarsi quando lo si andava a posizionare nella "monega".
Quando si andava a letto, il tutto veniva appoggiato sul pavimento cosicché continuava a distribuire tepore finché le braci non si spegnevano del tutto.
Succedeva talvolta che nel letto matrimoniale uno andasse a letto prima dell'altro e che lo scaldaletto venisse spostato sul lato libero in modo da tener ben caldo quella parte in attesa che arrivasse il ritardatario.
Contenitore in legno in cui veniva inserito lo zolfo ("solfro") in polvere per poi distribuirlo come antiparassitario sulle coltivazioni e su pollai e conigliere.
Aveva due bretelle, una fissa e l'altra mobile: si metteva sulla schiena con la bretella fissa e poi si agganciava quella mobile. Muovendo con una mano la leva la polvere veniva soffiata attraverso un tubo nel diffusore metallico che veniva orientato con l'altra mano.
Come risulta dall'etichetta metallica è stato prodotto dalla ditta G. Bressan di Trento.
Si infilava della saggina, si pareggiava , si chiudeva la morsa e si cuciva. Ne usciva una scopa piatta alla quale si aggiungeva poi il manico.
Veniva usata nella stalla durante il filò.
Grande setaccio usato per pulire il grano dopo essere stato battuto per togliere tutte le impurità.
È formato da un telaio di legno di forma circolare con due fori rettangolari opposti da usare come maniglie ed il fondo è composto da strisce sottili di legno intrecciate.
Parte superiore di una vecchia spannatrice. Vi si versava il latte che entrava nel macchinario. Girando una manovella si imprimeva una forza centrifuga che separava la panna dal latte. La panna, essendo più leggera, usciva dall'apertura superiore ed il latte scremato da quella inferiore, andando in due diversi contenitori.
Questo processo accelerava i tempi rispetto all'attesa che la panna affiorasse sopra il latte, produceva più panna e latte più scremato.
Riporta il marchio ALFA LAVAL - COLIBRI III - 150 LITER, grande azienda nata nel 1883.
La stadèra è una bilancia con due braccia di lunghezza diversa ed un fulcro. Veniva appesa grazie ad un gancio sul fulcro. Sul braccio corto veniva agganciata la cosa da pesare su un piatto o in un secchio; sul braccio lungo, graduato, si muoveva un peso, detto "romano" fino a raggiungere l'equilibrio con la posizione orizzontale del braccio e poter così leggere il peso.
Questa stadèra poteva essere appesa con due ganci diversi a seconda dell'esigenza: cose più leggere o più pesanti (15-110 kg).
Spostando il fulcro si capovolgeva il braccio sul quale erano impresse misure diverse.
Su un lato del braccio lungo sono impressi dei simboli che non sappiamo decifrare.
Il filatoio era la macchina con la quale la donna costruiva il filato a partire da una fibra naturale cardata: lana seta, canapa, lino.
La donna allungava un po' alla volta la fibra cardata che teneva in mano e che inseriva nel filatoio. Col piede manteneva in movimento il filatoio cosicché il filato si stirava e si allungava. Grazie al movimento imposto dal filatoio si torceva e si avvolgeva intorno alla bobina.
L'arcolaio veniva usato per dipanare le matasse ("ace"). La matassa ("acia") veniva inserita sull'arcolaio semi-chiuso che veniva poi aperto premendo le braccia verso il basso e fissandole con la vite superiore. Trovato il bandolo della matassa, cioè il capo del filo con il quale inizia la matassa, si iniziava a produrre un gomitolo mentre l'arcolaio girava alla velocità data dal richiamo del filo. Anche una bambina esperta in questo lavoro faceva girare molto velocemente l'arcolaio ed in breve tempo la matassa era del tutto dipanata e trasformata in gomitolo. Da qui il detto "Él va come 'n guìndol", "L'è saltà su come 'n guìndol" per sottolineare la velocità dell'azione.
In assenza dell'arcolaio la matassa veniva tenuta da una bambina a braccia aperte che doveva seguire l'azione di chi dipanava la matassa muovendo al suo ritmo braccia e mani. La soluzione più lenta consisteva nell'infilare la matassa nello schienale di una sedia e fare da sola.
Dipanare le matasse era un tipico lavoro delle donne e delle bambine.
Era necessario avere la lana in gomitoli per poi lavorarla ai ferri (come oggi) ed averla prima in matasse per poterla tingere.
Questo piccolo macchinario è stato trovato in una soffitta e portato alla mostra a scuola senza indicazione della sua funzione sconosciuta ai proprietari. Vi è il vano per un cassetto assente.
A detta di quanti hanno visitato la mostra, è una trebbiatrice in miniatura. Alcuni visitatori hanno spiegato di averla avuta in casa un tempo, di dimensioni molto più grandi ma con la stessa forma. Vi si inserivano fasci di grano, segale, orzo, si ruotava la manovella, da una parte usciva la paglia e dall'altra i chicchi di grano.
I bambini così l'hanno usata inserendo poche spighe alla volta e funzionava.
Se qualcuno sa darci ulteriori informazioni, sono bene accette