Accanto ai contadini c'erano un tempo in tutti i paesi della Valle dei Laghi molti piccoli artigiani specializzati in settori specifici. Spesso il mestiere si tramandava di generazione in generazione ma altrettanto spesso le persone si adattavano alle esigenze del momento, imparavano sul campo e mettevano in gioco inventiva, passione e capacità pratiche per permettere la sopravvivenza della loro famiglia. Troviamo in questa collezione artigiani; luoghi, macchine e attrezzi di lavoro degli artigiani, prodotti degli artigiani.
Questa pergamena porta l’augurio per gli sposi, certe altre riportavano una poesia detta “ Campeti”, che era recitata da una bambina/o, nel momento in cui si festeggiavano gli sposi. Generalmente la festicciola si attuava, in casa del marito, dopo la celebrazione del matrimonio in chiesa.
La devozione al Sacro Cuore di Gesù risale ancora nel Medio evo per opera di una mistica Matilde di Magdeburgo in terra tedesca. Dal Tirolo si era affrancata anche nel Trentino e la sua venerazione portò alla pratica del primo venerdì del mese per 9 mesi consecutivi.
La devozione alla Madonna fu intensificata dalle numerose apparizioni che si susseguirono nell’800. Dapprima nel 1830 l’apparizione nella Cappella di Notre Dame a Parigi (madonna nel quadro) con l’elargizione della medaglia miracolosa, poi la venerazione per la Madonna de La Salette apparsa a Massimino e Melania e ancora l’apparizione a Lourdes. In ogni casa c’erano raffigurazioni, immagini, statuette della Madonna.
Con il termine santino si fa riferimento ad un’immaginetta cartacea raffigurante l’icona di un santo o di una santa. Erano conservati nel messale o nel libretto delle Massime Eterne. Un santino era dato a tutti i partecipanti alle funzioni celebrate dal missionario che eseguiva l’omelia oppure in occasione della comunione pasquale. Il santino era predisposto anche dai sacerdoti per la celebrazione della loro prima S.Messa o anniversari vari. I "santini da mort" erano tutti rigorosamente in nero riportanti alcuni dati del de cuius con rispettiva foto. Il frate “dala cerca” (frate francescano che passava per i paese chiedendo elemosina ma anche prodotti della terra) ogni volta che riceveva una derrata in cambio donava al più piccolo della famiglia un santino.
Più che un ricordo dell’anno Santo 1950 era un segno devozionale conservare un po’ di terra proveniente da Roma (la città del papa). Pochi erano coloro che potevano permettersi, anche negli anni ‘ 50 un viaggio a Roma, pertanto la persona che effettuava il viaggio, portava a casa una memoria tangibile quale poteva essere anche un po’ di terra.
Il Rosario è una preghiera devozionale e contemplativa tipica del rito latino della Chiesa cattolica. La preghiera consiste in cinquanta Ave Maria divise a gruppi di dieci dai misteri che contemplano momenti o episodi della vita di Cristo e di Maria. Il conto si tiene facendo scorrere tra le dita i grani della "corona del Rosario". Le corone erano di diverso formato e grandezza con appeso un piccolo crocifisso. Ogni donna le portava con sé nella tasca della gonna. Si recitava il Rosario tutti i giorni del mese di maggio (mese dedicato alla Madonna), e anche in ottobre (altro mese mariano), così come tutte le sere si recitava in famiglia. La prima domenica si celebrava la supplica alla Madonna di Pompei. Anche nei momenti di lavoro durante la sfogliatura del “zaldo” (granoturco) si recitava il rosario con le litanie, così pure quando ci si ritrovava a far “filò".
Con il termine santino si fa riferimento ad un’immaginetta cartacea raffigurante l’icona di un santo o di una santa (in questo caso S. Antonio da Padova). Erano conservati nel messale o nel libretto delle Massime Eterne.
Continua scheda C’era la devozione anche per ‘l Bambinel de Praga, in molte famiglie c’era la statuetta del bambinello e si recitava la sua preghiera. Altra venerazione era per Maria Bambina. Anche in questo caso c’era una statuetta racchiusa in una teca di vetro. Molto sentita era anche la devozione per la Madonna di Lourdes, poi ognuno aveva un proprio culto, conservavano l’olio benedetto il giorno di S.Siro, coopatrono del paese, il sale benedetto durante la messa in onore di S.Antonio abate che era fatto mangiare alla bestia ammalata . C’era chi ogni venerdì si recava alla cappella del S.Crocifisso o alla chiesetta di S.Siro.
Nelle abitazioni di una volta si potevano trovare diverse immagini sacre:
- l’immagine del Sacro Cuore molto venerato e collocato sopra il desco (prima di sedersi e mangiare rivolti all’immagine c’era un momento di raccoglimento per ringraziare)
– l’immagine di San Gaetano che si pregava per la divina provvidenza
– l’immagine della Madonna o della Sacra Famiglia, quadro che era posto sopra la testiera del letto
- l’immagine di Sant'Antonio abate (patrono del bestiame) inchiodata sulla porta della stalla.
Anche gli artigiani, nelle loro botteghe, possedevano l’immagine del loro santo protettore, come ad esempio San Giuseppe per i falegnami, S. Crispino per i calzolai, ecc…
Lo indossava la donna quando si recava in chiesa. Tassativamente era di colore nero. Il più frequente era il velo a forma di triangolo ma si poteva trovare anche il velo lungo intarsiato di ricami. Si custodiva nel cassetto del comodino con la corona e il libretto delle Massime Eterne
Libro per seguire la celebrazione della S. Messa. Ogni donna possedeva un libretto che portava con sé durante la funzione sacra della mattina. Conteneva le preghiere del mattino e della sera. Invocazioni ai santi e le litanie.
Posta a fianco della testiera del letto conteneva l’acqua santa. Prima di coricarsi e al momento di alzarsi era usanza cristiana farsi il segno della croce utilizzando l’acqua santa contenuta nella piletta. L’acqua era benedetta il Sabato Santo e conservata gelosamente in una bottiglietta. Di volta in volta questa si introduceva nella conchiglia formante la piletta. Le pilette erano di fattura molto aggraziate, sulla parte superiore, piatta, riportavano decori a smalto o in bassorilievo riproducenti immagini sacre. Un forellino permetteva di attaccarle alla parete.
Il crocifisso da tavolo, prevalentemente da camera. Si utilizzava quando il sacerdote veniva in visita al malato e si poneva assieme a due candelabri su un tavolino predisposto per l’occasione.
Un pannello introduttivo 60x100 cm è posto in loc. alla Fonda all'antica entrata del Borgo di Vezzano, introduce gli antichi mulini del borgo e si sofferma sulla ruota idraulica.
Altri 11 pannelli sono posti lungo il percorso accanto ai relativi opifici, ne illustrano brevemente l’antica funzione ed approfondiscono di volta in volta un argomento:
1. Lo scotano o “foiaròla”
2. La segheria veneziana
3. La lavorazione del rame
4. La falegnameria
5. La tromba idroeolica o “bot de l’òra”
6. Il mulino a palmenti
7. La lavorazione della ceramica
8. Il panificio
9. Il fabbro ferraio
10. La falegnameria
11. Il fabbro carraio.
Traduzioni: Susanna Leonardi.
Progetto grafico: Davide Bolognani
Disegni: Stefano Zuccatti
Il pannello 60x100 cm è posizionato nella piazza di Fraveggio e presenta sinteticamente i due opifici ad acqua presenti un tempo a Fraveggio.
Traduzioni: Susanna Leonardi.
Progetto grafico: Davide Bolognani.
Disegni: Stefano Zuccatti
I due pannelli 60x100 cm sono posizionati ai due estremi del sentiero della "Val dei molini" di Ciago. Il primo presenta i mulini nella storia di Ciago, la fucina Lucchi e il mulino Cattoni; il secondo i mulini Zuccatti, Eccel e Cappelletti.
Traduzioni: Susanna Leonardi.
Progetto grafico: Davide Bolognani.
Disegni: Stefano Zuccatti
Gli antichi mulini di Calavino costituiscono ormai un ricordo legato alla vita passata di cui purtroppo rimangono poche testimonianze. Rispetto agli altri paesi della Valle di Cavedine, Calavino è sempre stato caratterizzato da una ricchezza di sorgenti e corsi d’acqua che hanno contribuito allo sviluppo socio-economico e alla configurazione del paese. Per localizzare e ricostruire quello che una volta formava il cuore della vita artigianale del paese si è voluto creare un percorso che, attraverso sette pannelli, attraversa i principali punti dove si trovavano un tempo gli opifici.
L’inizio del percorso è pensato nella zona del Bus Foran, dove la Roggia entra nel paese ed è collocata la bacheca introduttiva. Oggi buona parte della Roggia non è più visibile perché scorre al di sotto della strada, ma ci sono alcuni scorci dove la vediamo costeggiare le abitazioni. Il percorso passa dalla Piazzetta delle Regole, dove si gode di un’ottima visuale, per poi continuare nella parte vecchia del paese, il quartiere del Mas, cuore pulsante dell’artigianato di un tempo.
Si stima che lungo la Roggia esistessero più di una trentina di mulini, destinati a diverse attività, che oggi sono purtroppo scomparsi e del quale restano poche testimonianze.
I bambini della scuola elementare nella loro pubblicazione del 1981/82 elencano i mulini attivi a ricordo degli anziani e testimoniano che "Seguendo il percorso della Roggia possiamo ancora ammirare segni del passato: alcune grosse macine di pietra e frammenti delle grandi ruote di legno": sorprende come nel 1980 ci fossero ancora frammenti delle ruote di legno.
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Bibliografia:
- pag. 47-48 di
Il percorso "Antichi mulini del Borgo" va dalla località Naran fino a via Ronch, passando per via Borgo. È illustrato da una bacheca e 11 pannelli nei pressi degli 11 ex mulini che sfruttavano l’acqua della Roggia Grande ad inizio ‘900. L’acqua proveniente in parte da Covelo forniva già lì energia ad un mulino di cui si parla già nel 1244-47 e, superato Vezzano, continuava poi il suo corso alimentandone altri ancora a Padergnone fino a placare la sua corsa nel Lago di Santa Massenza.
La presenza di mulini a Vezzano è documentata fin dal 1208 e si è fermata completamente nel 1979.
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Per approfondire, espandi le risorse correlate in fondo a questa scheda e potrai accedere a: copia dei pannelli, il pdf col materiale di ricerca un tempo visitabile sul vecchio sito di Ecomuseo, le schede relative ai singoli opifici...
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La fucina Aldrighetti era specializzata nella produzione di piccoli attrezzi.
È stata fondata da Giobatta Aldrighetti (1831-1907), figlio del fabbro Giovanni Battista Vitale di Glolo nel Banale. Giobatta arrivò a Vezzano a servizio dei Morandi, poi si mise in proprio e sposò Luigia Tonelli di Vezzano con la quale ebbe 14 figli tra il 1855 ed il 1876. Proseguirono poi l'attività i suoi figli: Giacinto Giuseppe (1857-1937) ed Eugenio Gregorio (1862).
Guerra, emigrazione ed infine negli anni trenta il sequestro dei metalli per la causa bellica, determinarono la chiusura del laboratorio. Quel che rimane oggi a testimoniare questa attività del passato, nel giardino privato è parte della “bot de l'òra”, accessorio indispensabile in ogni fucina, ed all’interno della casa di abitazione diversi particolari che il proprietario ha tenuto a recuperare alla memoria.
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Il lavoro unitario di ricerca sugli opifici ad acqua della Valle dei Laghi, curato da Ecomuseo prima della nascita dell'Archivio della Memoria, è qui consultabile, nello specifico a pag. 23-28:
Seguendo il corso d’acqua, rimanendo sempre nella parte sopra la chiesa di Ciago, si incontrava il secondo opificio; i coniugi Luigi Fortunato Cattoni (1864 - 1905) e Margherita Cattoni (1872-? figlia di Felice e di Teresa Eccel, altra famiglia di mugnai) furono gli ultimi proprietari che chiusero definitivamente i battenti ad inizio Novecento. L’edificio, che loro avevano acquistato dalle giovani figlie di Giacomo Cappelletti prematuramente scomparso, era suddiviso tra un piano terra dedicato al mulino, che ospitava “el castel” con gli ingranaggi, le macine in pietra, la “tramogia” (cono capovolto munito di fondo adoperato per versare i cereali nel macchinario), ‘l bùrat (macchinario per setacciare la farina e separarla dalla crusca) ed altri strumenti del mugnaio, ed un piano superiore destinato alla cucina ed alla camera da letto. All’esterno, sulla roggia, vi era un lavatoio.
Una bella foto presumibilmente di inizio Novecento testimonia la presenza di due ruote e di un canale della doccia. Questo, grazie ad una leva, si poteva spostare dall’interno del mulino.
La casa ha poi cambiato proprietari e per lungo tempo la parte del mulino è rimasta inutilizzata, salvo piccoli periodi come quello della seconda guerra quando vi ha soggiornato Vittorio Bertoldi, lo sfollato trentino che in quel periodo ha decorato la chiesa del paese. La grande ruota è andata pian piano decomponendosi fino a scomparire negli anni ‘60.
Alcune foto scattate nel 1991 per il notiziario comunale ci mostrano quel che allora era ancora presente all’interno dell’edificio: il castello con i sottostanti ingranaggi, le soprastanti pietre molitorie (palmenti) ed il canale di uscita della farina, un setaccio (crivel).
Un’altra foto fatta dalla scuola nel 2000 ci ricorda il lavatoio e una delle macine abbandonate, che ora decora un angolo del giardino riservato della casa.
Purtroppo col tempo molto di questo è scomparso.
La giovane famiglia che ora abita la casa ha compiuto recentemente lavori di isolazione dell’edificio sul fianco dove scorreva un tempo l’acqua della derivazione: scavando il tufo calcareo in quello che era il letto della derivazione è stata rinvenuta sul fondo una pavimentazione in selciato. Una grossa concrezione calcarea è ancora presente su un angolo dell'edificio dove l'acqua della derivazione iniziava a fiancheggiare la casa.