La puleggia costituiva un importante organo di trasmissione del movimento dalla ruota idraulica (e successivamente dal motore elettrico) ai vari macchinari del mulino, tramite cinghie in cuoio.
Il tornio era collegato alla ruota idraulica tramite cinghie e pulegge allo scopo di bloccare e mettere un rotazione un pezzo di legno. Serve per arrotondare, levigare, forare, decorare... un legno posto in rotazione.
La sega a nastro o bindella è fornita di una sega a nastro circolare che ruota su due volani (ruote) di cui il superiore folle, mentre l'inferiore era collegato alla ruota idraulica tramite cinghie e pulegge. Nella foto storica qui presente vediamo che il suo uso era passato alla trazione tramite motore elettrico.
Questa "bindèla" è stata recuperata ed utilizzata per arredare l'ingresso della casa. Nella foto ravvicinata si vede bene la lama ed il guida lama in legno duro che impediva alla stessa di uscire dal volano durante l'avanzamento del legname da tagliare.
Queste tracce testimoniano ancor oggi il punto in cui la derivazione principale della Roggia Grande andava a sfiorare i caseggiati lungo via Borgo, che ospitavano diversi opifici, a partire dalla fucina Aldrighetti.
Questa derivazione è stata dismessa e completamente chiusa nel 2001 subito dopo le grandi piogge seguite da esondazioni.
Si vede qui la parte sopraelevata dal terreno della tromba idroeolica, in dialetto locale "bót de l'òra", della fucina Aldrighetti.
Nella copertura in pietra della botte si vedono due fori: dal foro grande entrava l'acqua che vi arrivava da un alto tubo alimentato da una deviazione della Roggia Grande; dal foro piccolo usciva l'aria compressa dentro un tubo che arrivava alla fucina mantenendo quindi il fuoco vivo così da raggiungere le alte temperature necessarie alla lavorazione del ferro.
La roggia scorre ora interrata all'interno del paese di Fraveggio. Un tempo scendeva dalla cascata del torrione e scorreva in superficie di fianco al vicolo dei mulini che poi attraversava raggiungendo il mulino dei Burati. Sopra quel tratto di attraversamento della roggia c'era una lastra di pietra, di cui il pezzo qui fotografato rimane testimone.
Gli attuali proprietari, attenti alle tradizioni, hanno recuperato dai muri dell’orto due macine in pietra, le hanno ripulite e posizionate accanto all’entrata del vecchio mulino per recuperare così alla memoria l’originale utilizzo della casa in cui vivono.
Si tratta di una coppia di macine (palmenti) dalla struttura ben identificabile, poste una sopra l'altra e appoggiate inclinate al muro.
La macina inferiore, che rimaneva fissa, è qui in parte coperta dall'altra ma si può notare l'orlo in pietra e l’apertura laterale che portava la farina nel buratto o in un sacco.
La macina superiore, rotante, è qui posizionata in modo da vedere la faccia inferiore incavata, che combaciava perfettamente con quella inferiore convessa. Si notano inoltre le scanalature, che favorivano la macinazione del grano e la fuoriuscita della farina, gli incassi a farfalla, nei quali era incastrata una sbarra di ferro (nottola) fissata all'albero rotante della macina passante per il foro centrale della macina inferiore, ed il foro centrale dal quale entrave il grano.
Mezza macina del mulino Faes, ramo "Nocènti", è ora inserita in un muro del loro cortile. Le macine venivano martellinate (rabbigliate) più volte in modo che continuassero a macinare, ma quando questa operazione non era più possibile venivano sostituite, perdevano così la loro funzione e venivano utilizzate come pietra da costruzione.
Questo mulino ha macinato presumibilmente tra il 1830 e il 1910 o poco meno, da qui la datazione della macina.
La falegnameria Faes, che inizialmente si avvaleva di una ruota in legno per ricavare l’energia meccanica, adottò negli anni Trenta una turbina metallica alla quale aveva collegato anche una dinamo per la produzione di corrente continua che gli permetteva di illuminare casa e laboratorio. La turbina, custodita dagli attuali proprietari dell’edificio, è conservata nelle campagne di Fraveggio.
Seminatrice acquistata usata a Cuneo di datazione presunta intorno agli anni '60.
A quanto si evince dai marchi posti sulla tramoggia, è stata realizzata a Macello (Torino) dalla ditta "Costruzione seminatrici C. Sordo & figlio" e venduta da "Macchine agricole Camisas? via Poirino 5 Carmagnola (TO)".
Realizzata per il traino animale è poi stata dotata di attacco al terzo punto per poterla agganciare al trattore.
È una seminatrice di precisione che, tramite ingranaggi mossi da una delle ruote, distribuisce sul terreno lavorato ed asciutto, a distanza, quantità e profondità regolabile, qualsiasi seme duro inserito nella tramoggia, dopo aver spianato e solcato il terreno, ed infine lo ricopre con un leggero strato di terra.
Il funzionamento di questa macchina è ben spiegato nell'ultima parte del video collegato.
"El travài" era stato realizzato dopo la chiusura della fucina Lucchi verso la metà degli anni '40 del Novecento dall'associazione dei contadini di Ciago. Essendo un paese contadino, essa riuniva tutte le famiglie; aveva altri macchinari in comune così come aveva fondato il caseificio sociale, il consorzio irriguo, il negozio cooperativo e il consorzio elettrico.
Avere in paese questo importante strumento permetteva di chiamare periodicamente a Ciago il maniscalco evitando di dover portare tutti gli animali a Vezzano per la regolare ferratura.
Negli anni '60 l'uso è diventato sempre più saltuario fino a diventare uno strumento di gioco dei bambini, poi una tettoia ed infine è stato demolito.
Questo pestino in pietra (pila) del mulino Zuccatti ha due cavità. Grazie all’energia impressa dalla ruota idraulica, due pali di legno con punta in metallo si muovevano alternati su e giù nel pestino senza toccare il fondo ma muovendo vorticosamente i chicchi di orzo o di altri cereali liberandoli così dalla buccia, operazione chiamata pilatura.
Questo pestino in pietra (pila) del mulino Zuccatti ha una sola cavità. Grazie all’energia impressa dalla ruota idraulica, un palo di legno con punta in metallo si muoveva su e giù nel pestino senza toccare il fondo ma muovendo vorticosamente i chicchi di orzo o di altri cereali liberandoli così dalla buccia, operazione chiamata pilatura.
Tra le macine dismesse dal mulino Zuccatti e abbandonate lungo strada privata che porta al sentiero della "Val dei Molini" ancora due sono ancor oggi (2021) ben identificabili ed una è stata recuperata ed utilizzata come elemento di decoro in una casa privata valorizzando e ricordando l'antica attività molitoria che lì si conduceva.
Questa lastra di pietra fungeva da ponte lungo il sentiero della "Val dei Molini" sopra la derivazione a servizio dei mulini. Si trova poco sotto l'attuale ponte in legno che attraversa la roggia.
Una paratoia a monte permetteva di limitare l'afflusso dell'acqua nella roggia e deviarla nella derivazione a servizio del mulino di legno scomparso e poi a catena dei mulini Zuccatti, Eccel, Cappelletti, tutti forniti di ruote idrauliche del tipo a cassetta, mosse dall’acqua condotta dalla “doccia”, un canale mobile in legno posizionato in modo da formare una cascata ed imprimere così sufficiente forza alla ruota anche in presenza di rogge come questa con una portata limitata.
Data la posizione in cui giace questa pietra incavata faceva presumibilmente parte del vecchio mulino di legno scomparso. La foto da lontano ne permette la localizzazione rispetto al'ex mulino Cattoni, la foto da vicino può aiutare a capire la sua funzione a chi è più esperto di noi in questo settore. Cerchiamo indicazioni e le aspettiamo anche dai nostri visitatori.
La lapide marmorea, posta sull'edificio allora sede del municipio, del consultorio e dell'ambulatorio medico, ed ora sede della biblioteca comunale, riporta:
“A PERENNE RICORDO DEL VOTO DI SAN VALENTINO ESPRESSO DAL COMUNE DI VEZZANO NELLA GUERRA 1940-1945”
Durante la Seconda Guerra Mondiale, infatti, l’allora Comune di Vezzano aveva fatto un Voto Solenne con lo scopo di proteggere il paese dalla guerra, promettendo che alla fine del conflitto avrebbe celebrato una grande festa come ringraziamento a San Valentino.
Bibliografia:
- “I segni del sacro nella Valle dei Laghi”, Tione, 2012
A quanto risulta dal vecchio cartellino attaccato a questo bastone, esso corrispondeva ad un "Braccio di Vienna", antica unità misura corrispondente a 0,777 m.
Era utilizzato come bastone da Albino Zuccatti, tessitore di Ciago, quando si spostava da un paese all'altro col rotolo di stoffa da lui tessuta in spalla, e gli serviva anche come indispensabile strumento di misura.
È fornito di manico lavorato e puntale di metallo.
La faccia principale presenta delle lavorazioni incise alle estremità e vi sono inserite 4 tacche di metallo che, insieme alla bordura metallica inferiore, ne delimitano la lunghezza e la divisione in 4 parti uguali, la misura totale è di 77 cm.
Una faccia laterale riporta incisa la data 1854.
Da notare che un'ordinanza del ministero delle finanze dell'Impero austriaco dell'1 novembre 1853 recitava: "si prescrive che a partire dal 1 maggio 1854, in tutti i luoghi ove il braccio di Vienna non è di già dichiarato misura legale, tutti coloro che per professione o mestiere vendono merci a braccia, siano obbligati a servirsi della detta misura, qualora il compratore lo desideri."
Ad una più attenta osservazione si può notare che sulla faccia posteriore, oltre alle decorazioni, sono presenti altre tacche che delimitano una misura totale di 70 cm, anch'essa divisa in 4 parti uguali. Questo lato corrispondeva quindi al braccio da panno e da tela di Trento, la cui conversione corrisponde a 70,2373 cm.
Sull'ultima faccia sono inserite altre tacche che portano ad una misura di 61,8 cm, sempre divisa in 4 parti uguali, ma al momento non ci è dato sapere a che antica unità di misura essa corrispondesse; a meno che, pur se in assenza della tacca iniziale sul manico, non corrisponda al braccio Viennese diviso in 5 parti.
Fonti:
Questa stufa ad olle proviene dalla scuola di Lasino, per cui si presume sia stata costruita nel 1912 insieme alla scuola. Con l'arrivo dell'impianto di riscaldamento a gasolio le stufe nelle scuole non servivano più e così, durante i lavori di restauro del 1985, anche questa stufa ad olle è stata demolita ed era destinata a finire in discarica sennonché un privato ha recuperato buona parte dei pezzi e l'ha ricostruita nella sua casa.
Campanella in bronzo decorata con motivi floreali che era appesa in alto fuori dalla porta di casa e che si suonava tirando per una corda. Presenta una rottura. Da notare che la campanella o il battente venivano messi solo in case di un certo prestigio, le case contadine erano sempre aperte quando c'era qualcuno in casa.
Vediamo qui due lanterne di diverse misure ma con la stessa struttura: un recipiente alla base col tappo in cui inserire il carburante (olio, petrolio, cherosene) con un'apertura superiore in cui si inserisce uno stoppino. Grazie a una manovella si fa scendere e risalire lo stoppino nel carburante in modo che si imbeva bene e che esca dal contenitore per la misura sufficiente a fare la fiamma. Si accende e poi, con apposita leva, si abbassa il vetro protetto da eventuali colpi da un incrocio di robusti fili di ferro. Il vetro ha la funzione di riparare la fiamma dai colpi d'aria in quanto la lanterna veniva usata per spostarsi all'esterno della casa, anche appesa al carro, grazie all'apposito manico o anello superiore.