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Titolo
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Ranzo nei ricordi di Angelina Daldoss ved. Margoni
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Descrizione
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Angelina, classe 1935, ci racconta alcuni suoi ricordi legati al paese di Ranzo dove ha vissuto dalla nascita fino all'età adulta ed al quale è molto legata.
Ci racconta della vita povera che condivideva con molti a Ranzo, del lavoro che occupava tutti sin da bambini, della fatica per procurarsi l'acqua e negli spostamenti su e giù da Castel Toblino quando ancora la strada di collegamento con Vezzano non c'era, della morte del padre proprio nella sua costruzione,
dei legami che avevano con quelli del Banale, degli incendi frequenti, del suo lavoro di sarta, del venditore ambulante di stoffe e dei calzolai presenti in paese, delle tristezze che la vita le ha riservato ma anche dell'amore nella sua famiglia e dell'aiuto vicendevole con cui in paese ci si aiutava.
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Lingua
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italiano
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dialetto trentino
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Tipologia
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Intervista
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Intervistato
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Angelina Daldoss ved. Margoni
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Data di creazione
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27 febbraio 2025
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Periodo di riferimento
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1940 – 1980
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Durata
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41 minuti, 20 secondi
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Indice
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0:00 – Auto-presentazione: Daldoss Angelina vedova Margoni è nata a Ranzo nel 1935 ed ha tre figli
Ricordi d’infanzia
00:21 – Proviene da una famiglia povera che viveva in affitto cambiando casa quando serviva ai proprietari.
00:43 - La sua mamma tagliava la polenta col filo.
00:59 – Non aveva segreti con la sua mamma, le raccontava tutto, anche quando le succedevano cose spiacevoli.
01:25 – Sopra di loro vivevano altre due famiglie che le volevano bene; la signora Adelina in particolare, che proveniva dalle Moline nel Banale, aveva un cestino di bottoni e Angelina si divertiva a giocare con quelli mentre guardava dalla finestra la strada sassosa.
02:17 - La cucina dove abitavano loro era un avvolto (vòlt) ed avevano poi una camera. La sua mamma, quando ancora non aveva figli, si faceva aiutare dalla nipote Pierina e le raccomandava di tirare bene le lenzuola là dove dormiva il marito Enrico, a sottolineare la cura che si prestava ai particolari anche nella povertà.
03:44 – Angelina era la primogenita e racconta la malattia e la morte della terzogenita, Anna di 10 mesi, di difterite a quanto dicevano. La sua mamma ha portato la piccina in braccio a piedi a Vezzano via castel Toblino, ha rifiutato il ricovero ospedaliero perché un altro bimbo di Ranzo era morto in ospedale, perciò l’ha riportata a casa dove è morta con il fiato che puzzava di vermi, a quanto diceva la padrona di casa. Il papà pastore alla malga di Ranzo avvisato è sceso per il funerale e poi è ritornato al lavoro perché “bisogna magnar anca”.
08:06 – Era una appassionata lettrice, curiosa di sapere, leggeva libri e giornali al lume di candela “Smorza quela candela, Angelina! – Sì mama, ancora en migol, ancora en migol” le diceva la mamma che aveva la camera comunicante con la sua tramite un’alta finestrella. La “biblioteca” era un armadietto, li andava a prendere anche a Vezzano.
09:28 – Era bravissima a scuola, la mamma faceva firmare le pagelle al papà, in casa regnava l’unione.
Ricordi di gioventù
9:58 – Da ragazza amava andare al pascolo con le sue capre per poter così lavorare ai ferri mentre ascoltava le esperienze di vita che le narravano i suoi compagni di pascolo adulti: un profugo, un cieco ed un vecchio calzolaio. Proprio mentre era con loro un giorno del 1950 è caduta una frana sulla strada in costruzione, che avrebbe poi unito il paese a Vezzano, colpendo il suo papà che è spirato in ospedale 4 giorni dopo. Mentre lei correva in lacrime per raggiungere il luogo dell’incidente temendo il peggio, una vecchietta le ha detto di smettere di piangere che a casa sua ne avevano già abbastanza di quel che era successo al suo papà: “Quela l’èra la psicologia che i gh’aveva en temp”. Il suo papà aveva appena comperato una casetta. Ora i suoi fratelli hanno messo una lapide a ricordo dei suoi genitori sul cimitero.
13:53 – Dopo l’arrivo della strada sono aumentate le comodità, hanno costruito tante case e anche un piccolo bar nella pineta dove arrivano anche quelli che scalano il “Dain”. “Ranzo per me è sempre bello, è il mio paese.”
14:28 – C’è un bel clima, talvolta soffia anche il vento. Una volta erano frequenti gli incendi dei comignoli perché le case erano malfatte, si portavano le sorelline in una coperta in un’altra casa, i vigili del fuoco arrivavano da fuori solo in casi gravi, la gente si aiuta (aida) molto
in paese, soprattutto quando si era più poveri: “Se podesa nar al me Ranzo”.
16:04 – L’acqua dovevano andarla a prendere le donne, anche le ragazzine, giù vicino al Sarca, al “Tuf”, con l’arcuccio (brentöla) e perché non uscisse (spander) dai secchi col movimento (scórla) la si copriva con foglie di rovere (róer).
16:50 – Non si era ricchi, si mangiava quel che c’era, hanno fatto la cooperativa e poi l’hanno rifatta più grande, ma per risparmiare si andava a far la spesa a Trento, Vezzano, Padergnone, dal Biotti, dal Bressan… e si portava su: “Fadiga se ‘n feva”.
17:45 – Ha sempre lavorato: a far l’erba nei campi, a portare gerle di legna, usando gli zoccoli (zopèi) che le faceva il papà. Poi Elvio, il calzolaio (calièr) di Ranzo, le ha fatto le prime scarpe: le usava per andare a Trento indossandole quando arrivava sul viale dei cipressi a castel Toblino dove nascondeva gli zoccoli da rimettere al ritorno. “L’era ‘na vita stròva” (buia, difficile). C’era anche un sordomuto che faceva il calzolaio, e Bruno e quando è morto Elvio c’era anche Luigi che poi è andato a fare l’autista delle corriere.
19:53 – Angelina racconta la volta che aveva accompagnato a Trento sua sorella che lavorava all’ospedale infantile. Arrivate a castel Toblino per prendere la corriera si rendono conto che manca loro qualche centesimo, perciò li accettano da uno sconosciuto. Al rientro, da sola, questo signore prende la sua stessa corriera e mentre lei si avvia a piedi sulla strada per Ranzo, lui recupera la sua bicicletta a Sarche, la raggiunge presso il mulino e le si affianca a piedi. Lei è giovane e inesperta ma la cosa le mette paura. Arrivati a Paone lui la prende sottobraccio, lei si divincola con forza, intorno ci sono campi coltivati, potrebbero esserci contadini che vedono e sentono, la lascia stare e torna indietro. Racconta tutto alla mamma e le descrive il signore. La mamma ha una sua ipotesi, va ai masi in casa dell’ipotetico signore con la scusa di comperare fagioli da semina, in casa c’è solo una persona anziana e mentre è lì lei può vedere le foto esposte che le confermano il sospetto; scopre che è un uomo sposato da poco e “el me voleva tirar en bondonaza del fen. Varda endó che te vai a finir”.
Angelina sarta
25:59 – Angelina ha fatto un corso di sarta alle Canossiane: duemila lire ben spese per due mesi di corso secondo la mamma che aveva fiducia in lei poiché “gavevo amor de tut” (si appassionava a tutto). Lo aveva già dimostrato col lavoro ai ferri: andava al pascolo fino in Bael per incontrare le pastore di San Lorenzo, abili in questo, e da loro Angelina aveva imparato a fare centrini ai ferri col filo di cotone.
In Istituto si è molto affezionata a madre Concetta di Schio che l’ha aiutata a realizzare il suo primo tailleur. Con questo lavoro ha guadagnato mille lire, che le hanno permesso di proseguire il corso per un altro mese. Non pensava mai a divertirsi, solo ad imparare a lavorare sempre meglio.
Tornata a Ranzo ha fatto per primi vestiti per i suoi fratellini, sua sorella, la sua mamma e per lei con fantasia e precisione, le rifiniture erano molto apprezzate e ha lavorato tanto da sarta.
Aveva il suo laboratorio in una stanzetta al piano superiore di casa sua, all’inizio usava la vecchia macchina da cucire a manovella tedesca Derwing, acquistata dal suo papà per la mamma, poi ha acquistato una Borletti, grazie ad un prestito avuto in paese, ma si è ben presto pentita, non era solida come la precedente. Nel suo laboratorio aveva il cassettone della nonna, dove teneva con orgoglio le stoffe nuove per fare vestiti ai suoi clienti.
Comprava le stoffe da Silvio che veniva da Tavodo nel Banale, e girava per i paesi, casa per casa, col suo fagotto nero, in spalla, pieno di stoffe.
Gran parte del suo lavoro era però costituito dal riutilizzo di stoffe vecchie che i paesani le portavano da utilizzare per realizzare nuovi capi di abbigliamento.
I pensieri vanno al marito
37:08 – Il marito Francesco cercava la famiglia perché a tre anni ha perso la mamma e a sette il papà, gli hanno messo un tutore, lo hanno accusato di aver rubato la farina e lo hanno messo in una casa di correzione a Venezia; la responsabile dell’istituto aveva detto alla sua sorella maggiore, che abitava a Roma, di portare via il bambino da lì che non era un posto adatto a lui.
38:56 - Suo marito era dolce e disponibile, alla domenica mescolava lui la polenta mentre lei lavava i panni. Racconta con trasporto della volta che suo marito aveva dato al suo ultimogenito, piccino, un po’ di polenta presa direttamente dal paiolo con un po’ di sugo (pócio) raccomandandogli di non dirlo alla mamma e lui, sporco di sugo, è andato a dire alla mamma: “no ‘l me l’ha data la polenta el papà”.
Riflessione finale
40:05 – La sua esperienza le ha insegnato che è meglio parlare poco e stare attenti con chi si parla.
41:19 Fine
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Licenza d'uso
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CC BY 4.0
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Livello di precisione della collocazione geografica
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Collocazione generica in riferimento al paese