Scotano --------------
Descrizione della pianta
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Lo scotano, scientificamente Rhus cotinus, è un arbusto delle Anacardiacee che nel dialetto locale è noto come foiaròla, ma che chiamiamo impropriamente anche sommacco (Rhus coriaria). È una pianta perenne che cresce spontanea sulle rocce e nei boschi magri propagandosi a macchia. Agostino Perini (1802-1878), a cui è dedicata insieme al fratello Carlo via fratelli Perini a Trento, nelle sue pubblicazioni ci parla approfonditamente dello scotano, che “non viene attaccato da qual sia sorta d’insetti, ed è fuggito dagli animali sino nei pascoli più grami”. Le sue piccole foglie tonde in basso ed ovali in alto, dal lungo picciolo e dal profumo intenso, assumono in autunno vivacissimi colori giallo, arancione e rosso. In estate sulla parte terminale di alcuni rami crescono infiorescenze piumate con piccoli fiori giallo-verdi a grappolo, da cui il suggestivo nome “albero della nebbia”. I frutti sono delle piccole drupe cuoriformi che da verdi diventano marrone. La sua corteccia è di color bruno-rossastro.
La sua peculiarità deriva dal fatto che è ricco di tannino e trementina, e ciò lo rendeva prezioso in passato, per l’impiego nella concia delle pelli e nella tintura. Il colore giallo carico ottenuto su fibre tessili poteva fissare un bel verde, se queste subivano un bagno colorante al guado, e donava sfumature di grigi e neri se trattato con sali di ferro.
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La raccolta dello scotano
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Ci affidiamo ancora ad A. Perini e scopriamo che ai primi di luglio, con la piena maturità delle foglie, le piante venivano tagliate alla radice utilizzando un “potaiolo” ben affilato e tagliente per non danneggiare la pianta. Dal ceppo crescevano rigogliosi polloni e dopo tre anni la pianta era di nuovo pronta per il taglio.
Rami e foglie venivano messe a seccare preferibilmente all’ombra e ammassate solo a completa essiccazione per non perdere le proprietà che le caratterizzavano, per poi polverizzarle a tempo debito.
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La lavorazione dello scotano
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Perini ci spiega : “La polverizzazione si fa in un’aja ben lastricata di pietre e quivi si trebbia col coreggio ordinario come si farebbe col grano. Poscia si passa per un fitto crivello di legno (drazzo) sostenuto da una corda, i ramicelli rimasti vengono messi da parte, di nuovo ben seccati al sole,e tagliuzzati con un ferro vengono anch’essi ridotti in polvere col mezzo di apposite macchine”
A Vezzano, a quanto ci viene tramandato usavano sia le macine che il pestello a pile.
Diamo nuovamente voce al Perini: “Con questo processo si ottiene scotano di due sorta cioè quello derivato dalla prima triturazione, ch’è principalmente di foglie, e quello della seconda che deriva dal legno.”
“Finalmente riguardo al commercio dello scotano: l’Economo, quando lo troverà genuino, fornirà per ogni sacco l’attestato di provenienza e lo porrà vicino all’apertura di quello, e chiusa, imprimerà l’impronto del timbro comunale sul di fuori di essa” specificando se è “in foglia” o “in legno”. Il sacco “si usa della capacità di circa un centinajo.”
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Storia della lavorazione della “foiaròla” in Valle dei Laghi
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Il giudice Carlo Clementi nella descrizione del Distretto di Vezzano, elaborata tra il 1834 ed il 1835, nel descrivere montagne e valli segnalava: "Dal mezzo in giù di tutte queste montagne rosseggia in settembre lo scotano, tanto ricercato
per la concia de’ marocchini e per la tintura."; tra i mezzi di sussistenza degli abitanti del distretto citava “la raccolta dello scotano (fojarolla)”, in particolare riferiva che “Lo scotano (Rhus cotinus) ha di recente alleviato la classe più miserabile colla vendita delle sue foglie e del suo legno, cosicché possono entrarvi annualmente 2600 fiorini.” e che “Gli oggetti di commercio consistono nella vendita ... dello scotano in polvere e in natura”, rilevava inoltre“in Vezzano 3 mulini da grano, due per lo scottano...”.
Pietro Giovannini nel 1839 scrive che nel Tirolo meridionale lo scotano, volgarmente detto “fogliarola”, era fonte di commercio e ricchezza, in quanto “Si è calcolato che dalla provincia vengano annualmente esportate 30,000 centinaia di questo prodotto e che l’importo ammonti in danaro agli 85,000 fiorino, o all’intorno”, lo sfruttamento era secondo lui così intenso da rischiarne l’estinzione.
Dalla lettura del "Placito del principe vescovo Carlo Emanuele Madruzzo sui diritti della Roggia di Calavino" del 1647, sembra di poter interpretare che al tempo sulla roggia di Calavino si praticasse la lavorazione dello scotano.
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Materiali a disposizione per l’approfondimento:
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Il libro delle acque - Gruppi culturali della Valle dei Laghi - 2008- pag. 340-341- La lavorazione dello scotano