Bambine, ragazzi, giovani e donne, in molti sono andati a fare uno scatto tra cannoni, mitragliatrici e altre armi requisite ai tedeschi e sorvegliate dai militari dell'esercito italiano della brigata Folgore nella piazza di fiera a Vezzano.
Era un modo per festeggiare quei mezzi in partenza e la fine tanto agognata della guerra.
Nel consegnarci queste foto, Umberto Garbari torna con la memoria al 2 maggio 1945 quando, con altri bambini, correva di gioia per il paese. Erano grati della fine della guerra: già si vedevano sfollati, costretti ad andare nei paesi vicini. Tutta la notte c'era stato un gran via vai, con colonne di tedeschi e carri armati che lasciavano l'Italia, considerata nemica e traditrice. Bisognava lasciare aperti porte e portoni, perché i tedeschi viaggiavano di giorno e di notte nascondevano i loro mezzi nelle case in paese.
Non era da tutti avere un mezzo a motore ed Ermenegildo Garbari era orgoglioso del suo sidecar che usava per lavoro e per diletto, fin quando non gli fu "temporaneamente" requisito dai militari tedeschi mentre stava rientrando da Trento. Dopo di allora non lo vide mai più.
Fra i suoi amici qui ci sono Alfeo Aldrighetti, Bruno Zanini e Fernando Tonelli.
Il documento certifica l'elenco dei fiorini spediti al militare Giacomo Biotti, tra il 1855 ed il 1860, da uno dei fratelli o dalla sorella [ Maria Teresa (1826- ), Pietro Domenico (1836-1913), Francesco (1840-1919)].
Sono elencate le lettere nelle quali Giacomo richiedeva il denaro e sulla destra i fiorini, talvolta in oro, che sono stati spediti.
Al numero 6 è anche indicata "la spedizione di un paio di braghe" avvenuta il 3 agosto del 1858.
A riguardo in archivio abbiamo:
I coscritti del 1924 col tipico cappello addobbato con fiori e piume festeggiano la coscrizione nella piazza di Vezzano. Con loro un soldato. Ricordiamo che il periodo 1943-1945 fu quello dell'occupazione tedesca seguita al "rebalton" e che a Vezzano aveva sede un reparto di gendarmeria tedesca che mantenne un buon rapporto coi civili.
Il gruppo si trova in quella che allora era Piazza Fiera, dietro loro si vede Via Dante, sulla destra la scuola elementare e la fontana.
Giacomo Biotti [nato a Padergnone nel 1832, come desunto dalla scheda di famiglia], nel 1856 scrive ai genitori da Bregenz [Austria] dove era "militare alla 28 compagnia del 7 Battaglione", dove ipoteticamente svolgeva il servizio militare. Parla della sua buona salute e del bisogno di denaro poiché la paga è "miserabile"; chiede informazioni della famiglia, dei "bacchi da setta" e delle "galete" (la bachicoltura che l'anno precedente aveva dato buon frutto), dell'"incanto dei basoti" [?], della valle; manda i suoi saluti ai fratelli [Pietro Domenico (1836-1913), Francesco (1840-1919)], la sorella [ Maria Teresa (1826- )], il cognato, i parenti, amici, vicini e "tutti quelli che vi domandano di me".
La lettera del 13.8.1859 proviene invece da Novoledo di Vicenza, quando era "militare alla 7^ compagnia del 2° battaglione dei cacciatori imperatore", dove ipoteticamente era impegnato nella seconda guerra di indipendenza [27 aprile - 12 luglio 1859]. Godeva di buona salute e sperava di rientrare presto in Tirolo, da "questi paesi [in cui] vi sono una grandissima suta [siccità] e molte malatie nelli militari". Chiede informazioni dei paesi, delle campagne, dei "cavaleri" [bachi da seta], dell'"incanto dei basoti" [?] ed informa che "le lettere dei militari adesso non paga più niente". Tra i saluti non nomina questa volta i fratelli, il che fa pensare che anche loro fossero impegnati in guerra.
Queste lettere, scritte di proprio pugno da un soldato, ci permettono di ipotizzare che la scuola popolare di Padergnone fosse già in funzione negli anni '30-'40 dell'800.
Le foto documentano momenti di leggerezza per i soldati della Folgore stanziati a Vezzano col compito di sorvegliare le armi pesanti requisite ai tedeschi in ritirata alla fine della seconda guerra mondiale.
Dietro di loro si vede la targa della Scuola Materna con la sigla O.N.A.I.R. (Opera Nazionale di Assistenza all'Italia Redenta), istituto previdenziale italiano, nato nel 1919 allo scopo di assistere le popolazioni delle "terre redente", particolarmente tramite provvedimenti a favore della prima infanzia. La scuola materna di Vezzano fu annessa all'ONAIR il 3 novembre 1939.
Trascrizione:
«Non dici mai di avere da noi notizie dopo diverse corrispondenze che ci ab[b]iamo mandate.
Qui incomincia la primavera e sbocciano già i fiori. Anche i lavori di campagna proseguono regolari. L'ultima tua aveva la data del 16 Marzo. Molti sono stati gli avvenimenti nei Carpazi e quindi desideriamo tue notizie per sapere se stai ancora ab[b]astanza bene e crediamo che sarai sano come noi. Saluti cordiali.»
L'apprensione del padre sarà fortunatamente sciolta il giorno dopo, alla ricezione di una precedente missiva del figlio:
Questo posacenere fu realizzato artigianalmente sul campo di battaglia incavando una bomba scoppiata; attorno infatti c'è la ghiera. È dotato anche di un "pestello" per spegnere le sigarette o i sigari.
Data l'iscrizione dorata sulla fodera della custodia ("Ostern im Felde" = "Pasqua sul campo [di battaglia]"), presumiamo si tratti di un dono fatto dagli ufficiali superiori ai loro sottoposti in occasione della Pasqua, che nel 1917 cadeva l'8 aprile. Sul coperchio, la custodia reca una targhetta con la sigla del 3° Reggimento Tyroler Kaiserjäger, del quale Oreste Caldini era capitano (Hauptmann).
Il bocchino in bachelite sembra spezzato ad un'estremità e l'altra è morsicata; il supporto in argento per la sigaretta reca una decorazione vegetale.
Ferro da stiro utilizzato dal Capitano Oreste Caldini in guerra per stirare le sue camicie. Nella prima fotografia si vede lo sportello aperto nel quale venivano inserite le braci; il manico è mancante.
Gli speroni potevano venire allacciati allo stivale tramite una cinghia di cuoio oppure infilati in un apposito buco nel tacco, come i due esemplari sulla destra.
Biglietto della lotteria nazionale completo della "Federazione Italiana Nazionale Fascista per la lotta contro la tubercolosi".
Sulla parte destra della pagina finale campeggia uno dei motti di Mussolini.
Diomira Grazioli, nata nel 1939, ci racconta della sua famiglia, degli anni che spese facendo la maestra, dell'osteria gestita dalla sua famiglia in paese a Vezzano e i ricordi della Seconda Guerra Mondiale.
Sollecitata dalla nipotina, nonna Maria racconta la sua infanzia alla Berlonga - Stravino negli anni '50.
Briscola, arrampicate con fantasia, salto alla corda, recitazione, lavoro, tanta comunità e dialogo coi compagni , ascolto delle esperienze e delle storie fantasiose degli adulti.
Un ragazzo siede su di un mitragliatore nella piazza di Vezzano: quando requisirono l'artiglieria stanziata sul Monte Bondone, per un periodo fu lasciata nella piazza di Vezzano, sorvegliata 24 ore. Una notte, ci racconta Umberto Garbari, qualcuno tentò di rubarne qualche pezzo, e la sorveglianza rispose aprendo il fuoco. Ci fu una gran confusione, e Umberto con la sua famiglia fuggirono per mettersi al sicuro, spaventati dagli spari. Scattata alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Il fratello di Umberto Garbari con la divisa da piccolo Balilla e la M di Mussolini appuntata sul cappello. Alla sua sinistra, un carabiniere mostra la fascia sul braccio sinistro. Alla destra del bambino, probabilmente un parente. La foto è forse stata scattata nei pressi della scuola elementare di Vezzano nel periodo della Seconda Guerra Mondiale.
Umberto ci racconta che suo padre era infastidito dal fatto che la divisa da Balilla costasse dieci lire, più della paga di un operaio dell'epoca, e non era possibile cucirsela.
Intervista ad Arrigo Pisoni, classe 1932, che ci parla della nascita del Consorzio per la valorizzazione del Vino Santo Trentino, nato il 30 settembre 1976, del quale Arrigo è stato presidente per 21 anni.
Ci parla anche di come, in passato, era visto in Vino Santo, durante la Seconda Guerra Mondiale, e di come si sia lottato insieme per far riemergere questa perla della Valle dei Laghi.
Giorgio Tozzi, classe 1942, ci parla delle origini della sua macelleria, spaziando fra ricordi e racconti, che vanno dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale, alle attività che una volta si svolgevano lungo la Roggia di Vezzano.
L'intestazione è scritta in tedesco e in ungherese.
Finita la guerra, le pagine con i dati personali sono state strappate, ma il Caldini ha voluto conservare la sua fotografia firmata e con impresso il timbro "K.U.K. [= "kaiserlich und königlich" = dal tedesco: "imperiale e regio"] 14 KORPSKOMMANDO". Nell'Impero austro-ungarico "k.u.k." era l'acronimo prefisso a tutti gli enti, istituti e unità militari che facevano capo all'amministrazione pubblica dal 1867 al 1918. (FONTE: https://it.wikipedia.org/wiki/K.u.k.)
Il grado militare di tenente è contraddistinto dalle due stellette sul colletto.
L'intervista è stata realizzata in vista delle celebrazioni del 60° del Voto a San Valentino, occasione in cui reduci e civili sono stati invitati a raccontare la loro esperienza di guerra.
Graziano Zuccatti è stato chiamato alle armi il 2 febbraio 1942 all’età di 19 anni. È stato dislocato a Padova, Trento, Caserta ed a marzo 1943 è arrivato in Sicilia per operazioni di carico/scarico carburante e armi su apparecchi da trasporto. Nel giugno 1943, dopo una breve licenza, è partito da Brindisi in direzione Grecia proprio la notte in cui gli inglesi sbarcavano a Pantelleria. Dopo un mese ad Atene è partito per Rodi, proprio quando gli americani sbarcavano in Sicilia. Poco dopo c’è stato il “rebalton”; a Rodi c'è stata qualche piccola scaramuccia contro i tedeschi ed i molti soldati italiani sono diventati praticamente prigionieri. Lui ha deciso di imbarcarsi alla prima occasione per giungere sulla terraferma e tornare a casa. Arrivato a Lero ha proseguito per Atene ed è arrivato a Zemun (Belgrado) dove venivano fatti gli smistamenti. Una parte è stata mandata in Austria e l’altra in Serbia. Lui è finito in Serbia a lavorare per circa un anno in una miniera al Lagersut di Bor, è stata dura giù al settimo piano a 400-450 metri di profondità ogni mattina, ma per gli ebrei, che lavoravano di notte, era peggio. I tedeschi non sono stati cattivi. All’avvicinarsi delle cannonate russe, è scappato insieme a un compagno, Bottazzo Paolo di Lecce, e si è unito ai partigiani. Lì ha visto per la prima volta i cammelli che trainavano i cannoni russi. I russi li hanno autorizzati ad andare a Belgrado per raggiungere la brigata italiana Garibaldi, formata da due battaglioni della divisione Venezia che erano in attesa di essere rimpatriati. Otto giorni dopo aver raggiunto la Brigata il rimpatrio è sfumato e sono partiti per il fronte, da 100 km oltre Zagabria fino a Zagabria quando è finita la guerra. È stato quello il periodo più brutto, con tante battaglie, per fortuna avevano l’artiglieria e l’aviazione russa che li difendevano. Graziano racconta due episodi in cui ha visto la morte da vicino e puntualizza che italiani, tedeschi, russi, slavi nessuno dei soldati che era in guerra aveva colpa, erano "mandati al fronte carne da macello dai signori della guerra".
L’11 maggio del 1945 sono stati rimpatriati, ma arrivati in Italia sono stati fermati dagli inglesi che li hanno rimandati in Iugoslavia a Villa del Nevoso. Dopo aver consegnato tutte le armi sono stati rimpatriati per primi i Friulani, poi i Veneti e quindi i Trentini. Arrivato a Verona col treno, Graziano ha raggiunto Trento su un camion inglese ed avviatosi a piedi verso casa ha ricevuto un passaggio da Carlo Garbari e Amato Benigni che rientravano a Vezzano col camioncino.