Sollecitata dalla nipotina, nonna Maria racconta la sua infanzia alla Berlonga - Stravino negli anni '50.
Briscola, arrampicate con fantasia, salto alla corda, recitazione, lavoro, tanta comunità e dialogo coi compagni , ascolto delle esperienze e delle storie fantasiose degli adulti.
Un ragazzo siede su di un mitragliatore nella piazza di Vezzano: quando requisirono l'artiglieria stanziata sul Monte Bondone, per un periodo fu lasciata nella piazza di Vezzano, sorvegliata 24 ore. Una notte, ci racconta Umberto Garbari, qualcuno tentò di rubarne qualche pezzo, e la sorveglianza rispose aprendo il fuoco. Ci fu una gran confusione, e Umberto con la sua famiglia fuggirono per mettersi al sicuro, spaventati dagli spari. Scattata alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
Il fratello di Umberto Garbari con la divisa da piccolo Balilla e la M di Mussolini appuntata sul cappello. Alla sua sinistra, un carabiniere mostra la fascia sul braccio sinistro. Alla destra del bambino, probabilmente un parente. La foto è forse stata scattata nei pressi della scuola elementare di Vezzano nel periodo della Seconda Guerra Mondiale.
Umberto ci racconta che suo padre era infastidito dal fatto che la divisa da Balilla costasse dieci lire, più della paga di un operaio dell'epoca, e non era possibile cucirsela.
Intervista ad Arrigo Pisoni, classe 1932, che ci parla della nascita del Consorzio per la valorizzazione del Vino Santo Trentino, nato il 30 settembre 1976, del quale Arrigo è stato presidente per 21 anni.
Ci parla anche di come, in passato, era visto in Vino Santo, durante la Seconda Guerra Mondiale, e di come si sia lottato insieme per far riemergere questa perla della Valle dei Laghi.
Giorgio Tozzi, classe 1942, ci parla delle origini della sua macelleria, spaziando fra ricordi e racconti, che vanno dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale, alle attività che una volta si svolgevano lungo la Roggia di Vezzano.
L'intestazione è scritta in tedesco e in ungherese.
Finita la guerra, le pagine con i dati personali sono state strappate, ma il Caldini ha voluto conservare la sua fotografia firmata e con impresso il timbro "K.U.K. [= "kaiserlich und königlich" = dal tedesco: "imperiale e regio"] 14 KORPSKOMMANDO". Nell'Impero austro-ungarico "k.u.k." era l'acronimo prefisso a tutti gli enti, istituti e unità militari che facevano capo all'amministrazione pubblica dal 1867 al 1918. (FONTE: https://it.wikipedia.org/wiki/K.u.k.)
Il grado militare di tenente è contraddistinto dalle due stellette sul colletto.
L'intervista è stata realizzata in vista delle celebrazioni del 60° del Voto a San Valentino, occasione in cui reduci e civili sono stati invitati a raccontare la loro esperienza di guerra.
Graziano Zuccatti è stato chiamato alle armi il 2 febbraio 1942 all’età di 19 anni. È stato dislocato a Padova, Trento, Caserta ed a marzo 1943 è arrivato in Sicilia per operazioni di carico/scarico carburante e armi su apparecchi da trasporto. Nel giugno 1943, dopo una breve licenza, è partito da Brindisi in direzione Grecia proprio la notte in cui gli inglesi sbarcavano a Pantelleria. Dopo un mese ad Atene è partito per Rodi, proprio quando gli americani sbarcavano in Sicilia. Poco dopo c’è stato il “rebalton”; a Rodi c'è stata qualche piccola scaramuccia contro i tedeschi ed i molti soldati italiani sono diventati praticamente prigionieri. Lui ha deciso di imbarcarsi alla prima occasione per giungere sulla terraferma e tornare a casa. Arrivato a Lero ha proseguito per Atene ed è arrivato a Zemun (Belgrado) dove venivano fatti gli smistamenti. Una parte è stata mandata in Austria e l’altra in Serbia. Lui è finito in Serbia a lavorare per circa un anno in una miniera al Lagersut di Bor, è stata dura giù al settimo piano a 400-450 metri di profondità ogni mattina, ma per gli ebrei, che lavoravano di notte, era peggio. I tedeschi non sono stati cattivi. All’avvicinarsi delle cannonate russe, è scappato insieme a un compagno, Bottazzo Paolo di Lecce, e si è unito ai partigiani. Lì ha visto per la prima volta i cammelli che trainavano i cannoni russi. I russi li hanno autorizzati ad andare a Belgrado per raggiungere la brigata italiana Garibaldi, formata da due battaglioni della divisione Venezia che erano in attesa di essere rimpatriati. Otto giorni dopo aver raggiunto la Brigata il rimpatrio è sfumato e sono partiti per il fronte, da 100 km oltre Zagabria fino a Zagabria quando è finita la guerra. È stato quello il periodo più brutto, con tante battaglie, per fortuna avevano l’artiglieria e l’aviazione russa che li difendevano. Graziano racconta due episodi in cui ha visto la morte da vicino e puntualizza che italiani, tedeschi, russi, slavi nessuno dei soldati che era in guerra aveva colpa, erano "mandati al fronte carne da macello dai signori della guerra".
L’11 maggio del 1945 sono stati rimpatriati, ma arrivati in Italia sono stati fermati dagli inglesi che li hanno rimandati in Iugoslavia a Villa del Nevoso. Dopo aver consegnato tutte le armi sono stati rimpatriati per primi i Friulani, poi i Veneti e quindi i Trentini. Arrivato a Verona col treno, Graziano ha raggiunto Trento su un camion inglese ed avviatosi a piedi verso casa ha ricevuto un passaggio da Carlo Garbari e Amato Benigni che rientravano a Vezzano col camioncino.
La carbonella veniva accesa e inserita nella rete metallica cilindrica, in modo che il calore si propagasse all'involucro esterno.
Oggetto appartenuto al Capitano
Luigi Benvenuto Zuccatti di Ciago classe 1895 (secondo seduto), in Galizia durante un bombardamento ha perso l'udito ed è stato ferito ad una gamba che gli si è parzialmente congelata prima che riuscissero a recuperarlo.
Lo vediamo nella foto, ancora bendato, mentre è ricoverato presso l’ospedale militare in cui gli era stata amputata la gamba congelata sotto il ginocchio.
Lo scatto mostra un momento di convivialità con alcol, fumo e gioco alle carte.
Mario Margoni di Ciago (secondo in piedi) fu arruolato nel Corpo di Sicurezza Trentino, abbreviato in CST insieme ad altri 3200 giovani appartenenti alla classe 1925-1927. Formalmente avevano il compito di tutelare l'ordine pubblico locale, ma in realtà furono impiegati massicciamente anche fuori provincia in operazioni antipartigiane, di rappresaglia, di controllo dei cantieri della Todt e furono ripartiti in tre battaglioni, ciascuno formato da 4 compagnie.
Dal novembre 1944 al gennaio 1945, i militi della IX Compagnia CST vennero mandati a San Giovanni Ilarione (Verona), con compiti di presidio, vigilanza antipartigiana e controllo dei lavori affidati in Val d'Alpone all'organizzazione Todt, l'apparato logistico tedesco che realizzava strade, ponti, opere di difesa...
Era terra di attivi partigiani dove i militari tedeschi, che li avevano preceduti in questo compito, avevano seminato, morte, distruzione e terrore.
Loro però erano giovani costretti in divisa, non certo fanatici nazisti, per cui il rapporto con la gente locale fu pacifico.
Era un inverno molto rigido e loro erano mal attrezzati: cartoni nelle scarpe e maglioni auto realizzati con pelli di coniglio furono le strategie che utilizzarono per difendersi dal gelo, come testimoniato da questa foto scattata prima del rientro.
Per approfondire:
Giuseppe, Angelo, Olga e Rosetta Faes, Rita e Valeria Miori davanti ai cannoni antiaereo e anticarro da 88 mm piazzati dai tedeschi in Piazza Fiera a Vezzano negli ultimi giorni di guerra, dove furono poi presi in custodia dalle autorità militari americane senza essere stati lì utilizzati.
Trascrizione:
«leri ho mandata altra cor[r]ispondenza e og[g]i ab[b]iamo ricevuto la tua in data 3 corr.[ente] e sentiamo con piacere che stai ab[b]astanza bene ma che trovi ancora neve da pestare. Noi ab[b]iamo seminato frumento, patate e gialo [granoturco] e se la guerra avesse a durare anche a lungo speriamo di non [ar]renderci per fame. Tutto è straordinariamente caro ma siamo ab[b]astanza prov[v]isti. Le campagne fioriscono bene e promet[t]ono. Basta che il resto vada bene nei Carpazi che io lo spero.
Ti bacia l’aff.[ezionato] p.[adre]»
Non sapendo con esattezza l'indirizzo dei soldati al fronte, si usava un codice, come si vede in questa cartolina.
Il diario è conservato presso l'Archivio provinciale di Bolzano ed è liberamente scaricabile al link sottostante; copre l'arco cronologico dal gennaio 1915 fino al gennaio 1916 per quanto riguarda le annotazioni dai luoghi di combattimento sul fronte orientale, e dall'ottobre 1916 in Val Badia sul Monte Sief e a San Leonardo in Badia. Vi sono registrate le principali operazioni militari, i cambiamenti di postazione, importanti ordini e dispacci, così come eventuali perdite umane e materiali. Inoltre, apporti su combattimenti sostenuti, su posizioni e avanposti, sull’attività svolta, così come carte e schizzi.
Oreste Caldini (Tione 1882 – Masi di Lasino-Pergolese 1962) era figlio di Emanuele Caldini, sergente decorato con medaglia d’oro al valor militare per la difesa del Monte Suello nel 1866, durante la Terza Guerra d’Indipendenza italiana. Grazie a questa onorificenza paterna Oreste studia gratuitamente all’Accademia militare di Vienna, che accolse, in quel periodo, un solo altro trentino oltre al Caldini. Al termine degli studi fu nominato sottotenente e assegnato nel 1904 alla prima Feldkompanie del 3° Reggimento Kaiserjäger; venne poi promosso tenente, e nell’agosto del 1914 inviato in Galizia, dove rimase fino al 1915. Fu poi presente sul Col di Lana nel 1916, quando esplose la famosa “mina italiana” che fece brillare l’intera cima della montagna. Rientrò in Galizia nello stesso anno e terminò la guerra in Romania, alla guida di un battaglione dove erano presenti molti soldati originari della Valle dei Laghi. Durante il conflitto fu nominato capitano e dimostrò grande valore e coraggio scongiurando una decimazione al suo reparto. Con il padre intrattenne una corrispondenza dal 1915 fino alla morte del genitore nel luglio del 1917. Cessate le ostilità, il comandate Caldini impiegò quasi un mese per raggiungere Steyr, in Austria, e consegnare i documenti e i fondi del battaglione. Rientrato in Trentino, gli venne riconosciuta una pensione militare e negli anni ‘30 sposò l’insegnante elementare di Pergolese, Luigia Marosi.
Oltre alla collezione del sig. Gottardi, altro materiale è conservato presso il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto: documenti inerenti gli studi del Caldini, la sua carriera militare e il suo servizio durante la guerra. Fra questi, i diari, le lettere scritte dal padre e altre carte ufficiali di servizio, fino al “foglio di congedo illimitato” del 1919. Tra il 1959 e la sua morte, il capitano intrattenne una corrispondenza con alcuni ex commilitoni dell’esercito austro-ungarico.
Fonti:
- Michele Liboni, "Fragmenta: Vicende, uomini, territorio della Comunità di Dro, Ceniga, Pietramurata", Arco: Il Sommolago - Comune di Dro, A. 22, n. 2 (ago. 2005), pp. 311-15 [https://www.cbt.biblioteche.provincia.tn.it/oseegenius/resource?uri=5882830&v=l&dcnr=5]
- https://www.yumpu.com/it/document/read/12186474/archivi-di-famiglie-museo-storico-italiano-della-guerra-di-rovereto
Il Capitano è il terzo da destra; la fotografia è stata scattata sulle rive del fiume Putna in Galizia (nel nord della Romania).
Sul retro è scritto a matita "Ende 1917" ("fine 1917").
Fonte: Michele Liboni, "Fragmenta: Vicende, uomini, territorio della Comunità di Dro, Ceniga, Pietramurata", Arco: Il Sommolago - Comune di Dro, A. 22, n. 2 (ago. 2005), p. 312 [https://www.cbt.biblioteche.provincia.tn.it/oseegenius/resource?uri=5882830&v=l&dcnr=5]
È nato a Lasino nel 1839 e morto a Pergolese nel 1917.
Ha combattuto in quella che per l'Italia era la terza guerra di indipendenza ed ha ricevuto la medaglia d'oro al valore militare per l'eroico comportamento nella difesa del Monte Suello (Bagolino) il 3 luglio 1866, battaglia in cui è rimasto ferito lo stesso Giuseppe Garibaldi.
Finita la guerra, ha poi svolto la sua carriera militare come sottoufficiale dei bersaglieri provinciali a Tione.
Lì ha sposato Maria Stainer ed ha avuto tre figli: due femmine, Gisella e Noemi, ed un maschio, Oreste.
Terminato il servizio si è trasferito con la famiglia a Pergolese, dove ha costruito casa.
Grazie alla sua medaglia d'oro, suo figlio Oreste ha poi avuto il privilegio di frequentare gratuitamente l’Accademia militare teresiana con sede a Wiener Neustadt nell'antica fortezza imperiale, riservata all'addestramento degli ufficiali cadetti della nobiltà dell'impero austriaco.
Fra i patrioti ricordati sul Bergisel lui viene così citato: "455 Emanuel Caldini, Unterjäger. Warf am 3. Juli 1866 im Gefecht am Monte Suello mit einer von ihm kommandierten Seitenhut (Halzburg) eienen überlegenen Gegner." (Emanuele Caldini, sottufficiale. Il 3 luglio 1866 sconfisse un nemico superiore nella battaglia del Monte Suello, assieme ad un mezzo plotone da lui comandato).
Nel fondo della famiglia Caldini presso il Museo Storico Italiano della Guerra di Rovereto sono conservate sue carte personali: certificati, carte di servizio e documenti relativi alle proprietà di Masi di Lasino (Pergolese), due esemplari dell’“Almanacco Agrario” contenenti annotazioni giornaliere sul tempo meteorologico e sul corso dei lavori, talvolta anche su fatti personali o avvenuti in paese.
Contenitore realizzato in stoffa alquanto grezza utilizzato durante il piano Marshall subito dopo la seconda guerra mondiale per rifornire la popolazione italiana di generi alimentari. Nelle foto trattasi di sacchi che contenevano farina.
La cartolina ritrae l'obelisco sulla penisola in località Sottovi. Vi fu collocato nel 1919 a ricordo di una battaglia qui combattuta che portò alla cattura di 21 giovani che furono fatti prigionieri e tradotti nelle carceri del Castello del Buonconsiglio a Trento, dove il 16 aprile 1848 furono fucilati.
Questi fatti, nell’ambito della Prima Guerra di Indipendenza italiana, si svolsero nella zona del lago di Toblino e dell’omonimo castello occupando anche la vicina località di Santa Massenza.