Nello scatto è ben visibile una parte dell'insegna della fucina Manzoni che riporta la scritta: "articoli da cucina, albergo, caseificio". Risulta visibile il canale di carico nella parte destra del caseggiato.
È chiamato "fapunte" in tutto il triveneto il temperino, diffusosi nelle nostre scuole negli anni sessanta del '900, prima di allora le punte alle matite si facevano col temperino, usanza che lentamente si è andata a perdere.
È questo uno dei piccoli appezzamenti utilizzati per la coltivazione bio di cerali antichi destinati alla produzione del "pane della Valle dei Laghi". Piccoli proprietari, piccoli appezzamenti, piccoli macchinari portano a produzioni di nicchia di alta qualità, in questo caso il grano San Pastore, dalla spiga scura, i cui chicchi scuri daranno ugualmente una farina bianca, ma un bel colorito alla crosta del pane.
Il video è particolarmente dedicato ai ragazzi della scuola secondaria di Cavedine che, all'interno del progetto cerealicoltura, hanno svolto tre lezioni in questo campo: la preparazione e l'analisi del suolo, la semina e la germinazione del grano, ma non hanno potuto assistere al raccolto.
Le lezioni registrate :
Si può osservare l'incavo nel muro in cui scorreva la paratoia che bloccando lo scorrere della roggia alzava il livello dell'acqua cosicché essa entrava nella diramazione a servizio dei mulini Graziadei per poi infilarsi sotto l'edificio e ritornare nell'alveo subito dopo. Si nota poi la struttura in pietra delle due paratoie che regolavano l'afflusso nella derivazione.
Rappresentazione grafica elaborata al computer ricostruendo come si presentava l'officina Morandi. Possiamo osservare come al fuso di un'unica ruota idraulica, grazie a camme, pulegge e cinghie, fossero collegate più macchine: il maglio, il tornio, la mola ed in tempi più recenti anche il ventilatore.
È chiamato gora il canale realizzato, con la deviazione di una parte di roggia, per lo più in muratura, ma anche in pali e assi, a servizio del mulino, che poi riporta l'acqua nella roggia.
Questa derivazione si realizza mediante un'opera di presa sulla roggia costituita da paratoie, che bloccando lo scorrere della roggia ne innalzano il livello, cosicché l'acqua entra nella gora, e paratoie all'ingresso della deviazione stessa.
Lungo la gora possono essere realizzati dei bacini di carico, in modo da garantire un afflusso più regolare d'acqua alla ruota idraulica, diramazioni (cateratte) per le singole ruote o "bot de l'òra", quando ce ne sono più d'una, paratoie per regolare l'afflusso alle singole ruote e per scaricare l'acqua non utilizzata.
Nei frequenti casi di ruota movimentata dall'alto l'ultimo tratto del canale, chiamato doccia, era solitamente di legno ed era mobile così da poter essere governato dall'interno del mulino.
pesante martello di dimensioni diverse, anche molto grosso, mosso un tempo dalla forza della ruota idraulica utilizzato nelle fucine.
Sul fuso della ruota idraulica era montato un albero a camme, cioè con delle sporgenze che, ruotando, andavano continuamente a sollevare il "manico" del "martellone" per poi lasciarlo cadere.
Pietra lavica, quindi molto resistente, con incasso, usata per l'appoggio del perno del fuso del mulino Pisoni "Biasi". Essa era mantenuta bagnata per ridurre l'attrito ed il riscaldamento del perno stesso.
Ben visibili i segni lasciati dal movimento sia del perno, sia della disco terminale in ferro del fuso.
Oltre che strumento in legno, rigonfio al centro e affusolato alle estremità, utilizzato per la filatura a mano, con fuso si intende il grosso e robusto tronco che sosteneva la ruota idraulica del mulino.
In questo caso il fuso attraversava la parete del mulino sostenendo all'esterno la ruota idraulica ed all'interno uno o più ruote dentate (lubecchi) o ruote con cinghie che muovevano svariati attrezzi. Delle scanalature nel fuso permettevano l'inserimento delle assi che formavano i raggi delle ruote. Il fuso terminava con un disco di ferro e un perno, che andava ad appoggiare su una pietra dura ed incavata, e verso i bordi era rinforzato con anelli di ferro.
Si possono osservare in questo fuso le scanalature in cui sono ancora inserite le robuste assi che fanno da raggi al lubecchio, il disco e la fascia terminale di ferro così come il perno (guéi). Quest'ultimo appoggia su una pietra dura incavata a sua volta posta su una trave alla base del castello, ora in parte coperta da detriti. Per ridurre l'attrito ed il riscaldamento del perno, questo incavo veniva mantenuto bagnato da un rigagnolo d'acqua.
Queste macine di pietra, dette "mole", molto grosse, sono state trovate nella roggia davanti al mulino-cementificio dei Pisoni Fornéri poi Pedrini ed esposte nel 2009 nella nuova piazzetta delle Regole.
Mentre quella di sinistra presenta su un lato le classiche scanalature e convessità delle mole per la macinazione dei cerali, quella di destra non è lavorata sui fianchi, per cui si presume che sia proprio una delle "molazze" del pestino del cementificio Pedrini.
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Bibliografia:
Mariano Bosetti ne parla a pag. 72 e 116 di
contenitore in legno, aperto centralmente su un lato ed incernierato alla tramoggia (tremògia), col compito di far scendere gradualmente i chicchi nel foro della macina superiore.
Un palo (nottola) fissato alla tramoggia toccava la macina superiore che, muovendosi, trasmetteva delle vibrazioni facendo alzare e abbassare la "tafferia" provocando la fuoriuscita del grano.
Una corda infilata nel gancio sulla bocca del contenitore andava ad avvolgersi intorno ad un fuso in cima alla tramoggia ed all'altra estremità aveva un contrappeso così da trattenere la "tafferia" verso l'alto.
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Bibliografia:
Šebesta, Giuseppe - pag. 135-136 di
all'interno del mulino ad acqua è la ruota dentata di legno posta sullo stesso asse della ruota idraulica, così da muoversi insieme a quella e trasmettere il movimento al rocchetto e quindi alla macina superiore.
Guardando sotto il castello del mulino Pisoni "Biasi" vediamo sotto una coppia di macine un lubecchio singolo mentre sotto l'altra coppia ci sono due lubecchi di forma diversa.
I lubecchi presenti in ambedue le strutture sono fissati, con 4 razze, al fuso, che era collegato alla ruota idraulica e presentano quel che rimane di 36 denti perpendicolari alla ruota così da trasformare il suo movimento verticale in veloce rotazione orizzontale della ruota a lanterna (rocchetto), in cui i denti andavano a infilarsi, movimentando di conseguenza la macina superiore fissata sullo stesso asse.
Il lubecchio diverso invece è fissato al fuso con una struttura diversa ed i suoi denti sporgono dritti dalla ruota. Si presume che esso potesse muovere un macchinario accanto al castello come poteva essere il buratto.
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Bibliografia:
Šebesta, Giuseppe - pag. 135-136 di
Questo contenitore in legno, aperto centralmente su un lato ed incernierato alla tramoggia (tremògia), era chiamato "tafferia" (casèla) ed aveva il compito di far scendere gradualmente i chicchi nel foro della macina superiore.
Un palo fissato alla tramoggia toccava la macina superiore che, muovendosi, trasmetteva delle vibrazioni facendo alzare e abbassare la "tafferia" provocando la fuoriuscita del grano.
La corda che vediamo infilata nel gancio sulla bocca del contenitore andava ad avvolgersi intorno ad un fuso in cima alla tramoggia ed all'altra estremità aveva un contrappeso così da trattenere la "tafferia" verso l'alto.
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Bibliografia:
Šebesta, Giuseppe - pag. 135-136
Il termine castello viene usato all'interno del mulino per indicare la robusta struttura lignea che sostiene le macine ed in generale tutto il complesso.
Nello scantinato dell'ex mulino Pisoni "Biasi" sono ancora al loro posto sul "castello" due coppie di macine utilizzate fino verso il 1940 per la macinazione contemporanea della farina bianca e gialla. Per terra l'anello di ferro (sércena) che, posizionato nell'apposito incavo della macina inferiore, rivestiva quella superiore in modo da evitare fuoriuscita di farina dallo spazio tra le due mole.
Macina inferiore fissa, proveniente dal vicino molino Pisoni "Tonati", utilizzata nel 1996 come elemento di arredo urbano a ricordo della fiorente attività molitoria diffusa un tempo in paese.
Il dr. Galeazzo Pisoni, nipote del dr. Basilio Pedrini che nel 1900 aveva costruito la centralina elettrica accanto a Villa Elda a Calavino, con lo stesso pallino per l'ingegneria elettrotecnica, nel 1962 fece predisporre un progetto per la realizzazione di una nuova centralina presso l'ex mulino a Venzon a lato della "Pontara" sulla vecchia strada che da Calavino porta a Padergnone.
L'opera di presa, mediante un canale di derivazione, venne ubicata in sponda destra della Roggia nei pressi della casa Pisoni "Biasi" e nell'ultimo tratto l'acqua veniva convogliata in una condotta forzata, che metteva in moto la turbina per una produzione pari a circa 17 Kw. Attraverso una rete aerea, interrata poi negli anni successivi, l'energia prodotta veniva distribuita alle case di proprietà Pisoni ed anche per il funzionamento di cucine elettriche, che alcuni utenti di Calavino si erano fatti installare nelle proprie abitazioni, pur mantenendo come utenza principale per l'illuminazione e gli elettrodomestici quella fornita da Enel.
Qui le strutture citate:
Rappresentazione grafica elaborata al computer ricostruendo come si presentavano queste attività produttive quando erano attive.
Si può osservare la sorgente con cascata del Bus Foran, con le due derivazioni ed i resto dell'acqua che entra nella roggia di valle sull'altro lato della strada. Da osservare anche la ruota idraulica con carica dell'acqua dall'alto, tecnologia indispensabile quando la quantità dell'acqua non è tanta.
Rappresentazione grafica elaborata al computer ricostruendo come si presentava il mulino di Graziadei Antonio "Gioanét" quando era attivo.
In primo piano la piazzetta dei Zoni con la sua fontanella ed il lavatoio, poi il mulino con a fianco la derivazione, la roggia e la strada che le attraversa per raggiungere la piazzetta, infine si intravede la bella fontana dei Menètoi ora completamente coperta dal cemento ed utilizzata per fornire di acqua potabile i paesi dell'alta valle da sempre poveri d'acqua.