Trave di legno doppiamente ricurvo che veniva posto sul collo di una coppia di buoi allo scopo di trainare il carro o l'aratro.
Nella parte centrale era collegato al timone con la "véta".
Davanti aveva due passanti in ferro per le "cornére" che venivano fissate intorno alle corna dei buoi.
Ai lati e sotto quattro anelli ai quali si attaccavano le "tavèle" ("canàgole") che passavano sotto il collo dei buoi.
Questo "giöf" era colorato di azzurro; il colore è stato consumato là dove appoggiava sul collo dei buoi e nella parte centrale dove era fissata la "véta" .
Attaccati al "giöf" sono rimasti i passanti in ferro per le "cornére" e una "tavèla" in ferro che passava sotto il collo del bue.
Il "bròz" è un particolare barroccio, un veicolo a due ruote, che veniva trainato solitamente da uno o due buoi, ed usato sulle ripide strade di montagna per il trasporto a valle di legname e fieno. Non aveva una cassa in cui contenere la merce, ma essa veniva posizionata su due "palanchi" che venivano agganciati a strascico al "bròz" per la discesa dalla montagna così da frenare.
Se, arrivato a valle, doveva poi proseguire il viaggio in piano, la strada di montagna terminava col "brozzadór", punto in cui veniva aggiunto il "mèz car" o il "carriöl" che trasformava il "bròz" in un carro a quattro ruote.
Viene ben spiegato ed illustrato, insieme a tutte le sue parti, da pagina 18, in
Il nome scientifico dell'albicocco è "Prunus armeniaca L.". Originario della Cina è arrivato in Europa nel periodo romano attraverso l'Armenia, di qui il vocabolo "armelin", sia per la pianta che per il frutto; in ambedue i casi il termine è maschile.
Il gelso era un tempo una pianta molto diffusa sul territorio, indispensabile per l'allevamento dei bachi da seta. Era soprattutto coltivata sui bordi dei campi ed all'inizio dei filari di vite.
Ora ben poche vecchie piante permangono sul territorio; fa eccezione il parco dei cento gelsi realizzato dall'ASUC di Cavedine sul Gaggio.
Le vasche si riempivano tramite l'acqua lì condotta dalla grondaia. Venivano usate per fare il "verderam" per bagnare le vigne: si metteva a sciogliere il verderam e poi si aggiungeva la calcina ottenuta dalla vicina calchèra.
L'apertura a sinistra era il pollaio per le galline ("polinèr"), poi c'era un'apertura per il maiale e il bagno era un semplice buco (ora coperto dal moderno wc). I liquami cadevano direttamente sulla "grassa" (letame) di sotto.
Il confine è marcato da un muretto a secco; inizialmente la famiglia coltivava vigne, poi quando divennero vecchie, verso il 1975 piantarono prugne per la vendita, ma c'erano anche altri alberi da frutto per autoconsumo: "ciresère", "perèri", "armelini", "fighèri", "pomèri", "perseghèri". Con i pomi facevano le persecche, che mettevano a seccare su un fil di ferro steso sul muro della casa.
Poi si è ritornati alle vigne.
Anche se le strade sono ormai trafficate, Mansueto Leonardi rientra a casa col suo bue bianco che traina il carro carico di legna.
Vicino all'incrocio si può notare un irrigatore a girandola del vecchio impianto irriguo a pioggia con la protezione verso la strada.
Carlo col figlio Giancarlo Garbari ed il cognato Eustacchio Piccoli dietro l'aratro. Davanti a guidare il bue c'è un "faméi".
Dietro si vede il carro con la "béna".
Sono nella loro campagna in "Naràn".