Capitello in nicchia del tardo cinquecento con una elaborata cornice lapidea, il cui arco di volta è sormontato da un'architrave a più lesine.
Dell'affresco della SS Trinità, restaurato nel 1996, rimane leggibile solo la parte alta con la figura del Signore Gesù, del Dio Padre col simbolo dell'occhio nel triangolo e la colomba con raggi di luce simbolo dello Spirito Santo.
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Bibliografia:
L'edicola con una statuetta della Madonna è incassata nel sopraluce di una vecchia porta d'entrata in Via SS Trinità 13. È contornata da una cornice in gesso recante la scritta "Salve Maria" ed è protetta da una inferriata lavorata.
Inaugurata il 9 maggio 1937, è stata ristrutturata 60 anni dopo dalla Pro Loco. All'interno di ogni capitello è presente una delle originali lastre in gesso che rappresentano uno dei momenti della passione del Cristo, la titolazione del momento e il nome del benefattore che ne ha permesso la realizzazione.
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Bibliografia:
Il concio di questo portale situato al numero 36 di via Roma a Vezzano è datato 2 agosto 1747 ed oltre alla data ha inciso "Sia lodato Gesù Cristo".
Si presume che sia proprio questo il palazzo che si affaccia sulla piazza di Vezzano dove, tra 1600 e inizio 1800, avevano la residenza i nobili Zambaiti.
Posata nel 2001, in occasione della realizzazione del nuovo tratto stradale che collega la viabilità principale con la parte di paese a monte fino ad allora di difficile accesso per i mezzi pesanti. Sullo stesso luogo vi era anche in passato una croce in pietra che si è voluto così ricordare.
Oltre la piazza di Fraveggio al bivio tra la strada che scende a Santa Massenza e quella che porta alle "Crone Basse" e al sentiero dello Scal, unica strada che collegava un tempo Fraveggio a Margone, si trova questa croce in pietra datata 1854 e siglata F.B.
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Bibliografia:
Si può osservare l'incavo nel muro in cui scorreva la paratoia che bloccando lo scorrere della roggia alzava il livello dell'acqua cosicché essa entrava nella diramazione a servizio dei mulini Graziadei per poi infilarsi sotto l'edificio e ritornare nell'alveo subito dopo. Si nota poi la struttura in pietra delle due paratoie che regolavano l'afflusso nella derivazione.
Rappresentazione grafica elaborata al computer ricostruendo come si presentava l'officina Morandi. Possiamo osservare come al fuso di un'unica ruota idraulica, grazie a camme, pulegge e cinghie, fossero collegate più macchine: il maglio, il tornio, la mola ed in tempi più recenti anche il ventilatore.
Rappresentazione grafica elaborata al computer ricostruendo come si presentava il passaggio della roggia sotto il ponte di Cleo.
Già all'uscita dalla galleria, la derivazione che andava a servire i mulini del Cleo si separava dalla roggia portandosi ad un livello più elevato e servendo anche un lavatoio proprio a fianco del ponte.
È indicata talvolta con questo nome anche la roggia di Valle che segue la strada della Val di Cavedine raccogliendo poca acqua fino ad arricchirsi sul territorio di Lasino con l'apporto di alcune sorgenti.
Entrata a Calavino riceve subito l'acqua della sorgente del Bus Foran (o Foram, ramale chiamato anche "Roggia Grande"); vediamo la cascata, che forma appena uscita dalla sorgente, passare sotto la strada per immettersi nella roggia di Valle.
Subito dopo riceve l'acqua della sorgente di Menétoi, o meglio il troppopieno dell'acquedotto potabile che va a servire l'alta val di Cavedine dal 1972.
In paese la alimentano poi altre piccole sorgenti minori. All'imbocco della val de Canevai riceve le acque del piccolo alveo della sorgente di Palù, poi quelle del Rio Freddo (o Rifré o Lifré) ed infine da una pittoresca cascata il fosso di Barbazan che arriva dal territorio di Padergnone.
La forra dei Canevai è caratterizzata da giochi d'acqua, cascate, profonde pozze.
Il sentiero che ne segue il tracciato è stato realizzato dal Comune verso il 1990.
Dopo aver alimentato le vasche della pescicoltura, con un'ultima curva a gomito, sfocia nel lago di Toblino.
Questo importante documento, di cui una trascrizione dell'originale è presente nell'Archivio Parrocchiale di Calavino, redatto in risposta alle sollecitazioni della Comunità di Calavino, ribadisce che le acque che scorrono nel territorio di Calavino sono di proprietà dei vicini.
Molto interessante l'elencazione delle diversificate attività artigianali presenti e radicate sulla roggia: "Mulini, i loro Folli del Panno e delle Fongarolle, le loro Fonderie Ferrarie e Seghe di Legnatico". Non trovando riscontro al termine "fongarolle" si ipotizza che possa essere stato compiuto un errore di trascrizione e che ci si riferisse alle "fojarolle", ossia lo scotano, pianta che veniva lavorata fino ad inizio novecento per l’impiego nella concia delle pelli e nella tintura, essendo ricco di tannino e trementina.
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Così lo riporta Mariano Bosetti:
“Fedel nostro diletto. Havendo la Comunità di Callavino, cioé li homini di Callavino coi suoi Regolani majore et minore ed a mezzo Vostro fatto a noi preghiera di voler giudicare e poi confermare le loro ragioni e diritti riguardo alle loro acque, che vi nascono copiosamente et servono per Molini e portano truttelle, Noi quale Principe Padrone del territorio avendo esaminato la Carta del privilegio concesso dal Nostro antecessore Duca di Massovia dei 7 Junio 1437 per li homini et Università [comunità che agisce verso comuni obiettivi] degli homini di Callavino, di cui ancora in quel tempo su le prove date, fu giudicato essere tutte le Acque di Callavino, perché correnti su terra privata, di proprietà assoluta di detta Università o Comunità quindi proprietà dei Vicini di Callavino assieme alla pesca particolare che poi il Nostro Prognato Cardinale Cristoforo Madrutio, nato in Castell Madrutio, Patrono del Dominio diretto della Terra di Callavino, Noi giudichiamo per le stesse cause come è stato deliberato dall’Eccelsa Superiorità del Nostro Principato, che tutte le Acque correnti in Callavino e della valle di Cavedine dentro la Podestaria di Trento ha donato liberamente e generalmente, salvis la dote di Castell Madrutio, agli homini e Vicini di Callavino, e principalmente quelle defluenti dalla Fonte del Liffré [Rio Freddo], giacente entro il prato del Beneficio della Pieve di Callavino e dalla fonte del Buso del Foram [Bus Foran] nel prato del Messer Floriano Gaiffis di Callavino, che corrono separate fin sotto il Molino di Messer Bortolo Graciadei fino al punto dove essa cade nel Lago di Toblino, sono di assoluta e perpetua proprietà privata dei Vicini della Comunità di Callavino per tutto lo spatio dalle stesse Acque percorso perché corrono unicamente entro l’habitato di proprietà di detti Vicini senza pregiudizio delle raggioni degli stessi che se ne servano per far andar i loro Mulini, i loro Folli del Panno [gualchiera per la follatura dei panni, azionata ad acqua] e delle Fongarolle, le loro Fonderie Ferrarie e Seghe di Legnatico, perché ne hanno diritti inveterati radicati nei loro edifici, possano fruire delle Acque come loro proprietà e solo paghino un hobolo a la Comunità per il Saltaro [guardia comunale] delle Acque. Confermiamo ancora il Documento di Privilegio del Vescovo Alessandro di Massovia e tutte le antiche consuetudini e Diritti dei Vicini su le Acque di Callavino, facendo di pubblica raggione che le Acque di Callavino unitamente al Remone di Toblino sono Acque di diritto privato [private dei vicini di Calavino] e non pubblico o domenicale [signorile] e sottostanno come Diritto privato delle Acque al Nostro Statuto Clesiano. Giudichiamo e riconfermiamo infine che la Pescaggione d’ogni specie in dette Acque e quelle nel Fiume Sarca e quelle a piede asciutto nel Lago di Toblino e Padergnone [riferimento a quello di S.Massenza sul territorio di Padergnone] è pure per antichi Privileggi e Nostro speziale riconoscimento un Diritto privato di tutti i vicini formanti la Comunità di Callavino. Voi Fedel Nostro Diletto, Capitano del Castell Madrutio, pubblicherete nella Regola di Callavino questo nostro Placito e ne provvederete la Scrittura nello Statuto di Callavino e nel Libro della Podestaria e l’observantia del Nostro Giudicato e impederete alcuna novità”
È chiamato gora il canale realizzato, con la deviazione di una parte di roggia, per lo più in muratura, ma anche in pali e assi, a servizio del mulino, che poi riporta l'acqua nella roggia.
Questa derivazione si realizza mediante un'opera di presa sulla roggia costituita da paratoie, che bloccando lo scorrere della roggia ne innalzano il livello, cosicché l'acqua entra nella gora, e paratoie all'ingresso della deviazione stessa.
Lungo la gora possono essere realizzati dei bacini di carico, in modo da garantire un afflusso più regolare d'acqua alla ruota idraulica, diramazioni (cateratte) per le singole ruote o "bot de l'òra", quando ce ne sono più d'una, paratoie per regolare l'afflusso alle singole ruote e per scaricare l'acqua non utilizzata.
Nei frequenti casi di ruota movimentata dall'alto, l'ultimo tratto del canale, chiamato doccia, era solitamente di legno ed era mobile, così da poter essere governato dall'interno del mulino.
La fucina è il focolare dove il fabbro scalda il ferro fino all'incandescenza in modo da poterlo lavorare, o fonde il rame per poterlo versare nelle forme e proseguire poi la lavorazione.
Per estensione si dice fucina anche il laboratorio del fabbro.
pesante martello di dimensioni diverse, anche molto grosso, mosso un tempo dalla forza della ruota idraulica, utilizzato nelle fucine.
Sul fuso della ruota idraulica era montato un albero a camme, cioè con delle sporgenze che, ruotando, andavano continuamente a sollevare il "manico" del "martellone" per poi lasciarlo cadere.
Pietra lavica, quindi molto resistente, con incasso, usata per l'appoggio del perno del fuso del mulino Pisoni "Biasi". Essa era mantenuta bagnata per ridurre l'attrito ed il riscaldamento del perno stesso.
Ben visibili i segni lasciati dal movimento sia del perno, sia della disco terminale in ferro del fuso.
Oltre che strumento in legno, rigonfio al centro e affusolato alle estremità, utilizzato per la filatura a mano, con fuso si intende anche il grosso e robusto tronco che sosteneva la ruota idraulica del mulino.
In questo caso il fuso attraversava la parete del mulino sostenendo all'esterno la ruota idraulica ed all'interno uno o più ruote dentate (lubecchi) o ruote con cinghie che muovevano svariati attrezzi. Delle scanalature nel fuso permettevano l'inserimento delle assi che formavano i raggi delle ruote. Il fuso terminava con un disco di ferro e un perno, che andava ad appoggiare su una pietra dura ed incavata, e verso i bordi era rinforzato con anelli di ferro.
Si possono osservare in questo fuso le scanalature in cui sono ancora inserite le robuste assi che fanno da raggi al lubecchio, il disco e la fascia terminale di ferro così come il perno (guéi). Quest'ultimo appoggia su una pietra dura incavata a sua volta posta su una trave alla base del castello, ora in parte coperta da detriti. Per ridurre l'attrito ed il riscaldamento del perno, questo incavo veniva mantenuto bagnato da un rigagnolo d'acqua.
In occasione delle feste madruzziane Ferruccio Morelli con la Pro Loco ha ricostruito un maglio funzionante a ruota idraulica tra il Mulino Pisoni "Tonati" e la "fucina Morandi" per mostrare ai visitatori una delle attività artigianali svolta nel passato proprio lì.
Ora purtroppo non ne rimane che qualche parte.
Queste macine di pietra, dette "mole", molto grosse, sono state trovate nella roggia davanti al mulino-cementificio dei Pisoni Fornéri poi Pedrini ed esposte nel 2009 nella nuova piazzetta delle Regole.
Mentre quella di sinistra presenta su un lato le classiche scanalature e convessità delle mole per la macinazione dei cerali, quella di destra non è lavorata sui fianchi, per cui si presume che sia proprio una delle "molazze" del pestino del cementificio Pedrini.
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Bibliografia:
Mariano Bosetti ne parla a pag. 72 e 116 di
contenitore in legno, aperto centralmente su un lato ed incernierato alla tramoggia (tremògia), col compito di far scendere gradualmente i chicchi nel foro della macina superiore.
Un palo (nottola) fissato alla tramoggia toccava la macina superiore che, muovendosi, trasmetteva delle vibrazioni facendo alzare e abbassare la "tafferia" provocando la fuoriuscita del grano.
Una corda infilata nel gancio sulla bocca del contenitore andava ad avvolgersi intorno ad un fuso in cima alla tramoggia ed all'altra estremità aveva un contrappeso così da trattenere la "tafferia" verso l'alto.
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Bibliografia:
Šebesta, Giuseppe - pag. 135-136 di