Oltre che sega come strumento, in dialetto il termina "sega" sta a significare anche la segheria. La segheria funzionava un tempo ad acqua ed anticamente era chiamata rassica.
La ruota idraulica, con un complicato meccanismo, produceva simultaneamente il movimento verticale di una sega e l'avanzamento orizzontale di un carrello su cui era fissato il legname da trasformare in assi.
Ad oggi il pestino dei Pisoni "Biasi" è a pezzi, ma chissà che un giorno non riprenda vita.
All'interno della stanza adibita a mulino, per terra, si trova ancora il basamento circolare di pietra del pestino; ha 130 cm di diametro, è incavato ad anello, vi è in centro il foro per l'albero motore in ferro e sui bordi rialzati vi sono 2 punzoni in ferro su cui era fissato l'anello in legno che completava il contenitore. Sul "castello" del mulino, appoggiati al muro dietro le macine e le solforatrici, ci sono l'anello in legno, alto 20 cm, e una delle ruote di pietra (mole) dal diametro di 70 cm. L'altra "mola" gemella è invece all'esterno dell'edificio.
Il pestino a mola era una macchina mossa dall'energia impressa dalla ruota idraulica, o più anticamente dagli animali e dagli uomini, allo scopo di brillare l'orzo, cioè decorticarlo, togliere la buccia ai chicchi.
Era formato da un contenitore in pietra a forma di scodella, con la parte centrale rialzata e forata; a volte solo la base era in pietra e le pareti erano in legno. Era posizionato sul "castello" del mulino come le macine. Dal foro centrale saliva un palo, solitamente di legno, che arrivava al soffitto e che riceveva il movimento dalla ruota idraulica attraverso l'albero motore e il lubecchio. Questo palo verticale era attraversato da un palo orizzontale regolabile in altezza al quale erano collegate due pietre circolari dette "mòle"; erano folli, cioè non toccavano sul fondo. Fra una mola e l'altra, al palo centrale erano fissati uno o due raschiatoi di ferro che grattavano sul fondo sollevando l'orzo. Nella vasca veniva inserito l'orzo e la si metteva in moto, il movimento lento e regolare continuava per ore smuovendo i chicchi con moto elicoidale senza mai schiacciarli, fino a decorticarli.
Questa copia del documento originale termina con la dichiarazione "Attesto, che la presente copia concorda col suo originale, esibitomi ad ispezione. Trento, ventiun dicembre millenovecentovent'otto. Anno VII. fto. Donato de Salvadori Notaio."
Si tratta di una sentenza dell’Imperial Regio Giudice del distretto di Vezzano Domenico Floriani che conferma la proprietà delle acque di Calavino a favore dei vicini proprietari di case e terreni posti accanto a rogge e sorgenti. Cita 26 mulini presenti, rassica, folleria dei pomi, botteghe di fabbri ferrai, mangano, peschiere, diritti di pesca e irrigazione, lavori eseguiti, località, nomi dei proprietari..., insomma è un documento che merita di essere letto per intero.
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Rappresentazione grafica elaborata al computer ricostruendo come doveva presentarsi il mulino quando era attivo: la roggia con la cascata e la derivazione che alimentava la grande ruota idraulica.
In centro nonna Pasqua Caldini (1841-1909) vedova di Biagio Pisoni segantino di Calavino (1837-), dietro di lei i figli Stefano (1870- ) ed Emanuele (1873-1916), al suo fianco la figlia Teresa (1875-1950) e la moglie di Emanuele, Maria Pizzedaz (1877-1964) con in braccio la figlia Agnese (1907-1997); davanti le loro prime tre figlie: Gelsomina (1901-92), Virginia (1903-81), Ida (1905-2007).
"Io sono la Sega Veneziana e devo la mia rinascita alla “pazzia”, caparbietà e un pizzico di ingegno di tre signori che mi hanno voluto riesumare dalla mia ormai decennale dipartita.
Erano gli anni cinquanta-sessanta quando, dopo centinaia di anni di onorato servizio, ho dovuto lasciare spazio alla incombente tecnologia moderna.
Si dice che io sia nata da un'idea di Leonardo da Vinci; bene c'è da crederci, perché nonostante i miei movimenti siano apparentemente di una semplicità estrema, i vari sincronismi, indispensabili per il buon funzionamento, sono stati un bel grattacapo per coloro che mi hanno riportato alla vita, segno che il grande Leonardo ha dovuto pensarci un po' prima di darmi un'anima.
Certo che il mondo d'oggi è cambiato totalmente da quando operavo paziente governata da un silenzioso e instancabile “Segheta”.
Quel mondo incantato oggi non c'è più. Quando l'acqua movimentava la mia ruota e io cominciavo a sezionare le “bòre” e il “Segheta", come un burattinaio comandava serioso ogni movimento, era musica, musica vera, come quella delle grandi opere, tanto che i passanti si fermavano ad osservare incuriositi a bocca aperta. A conferma di questo, cioè che quel mondo non c'è più, ho dovuto accettare un compromesso per la mia rinascita e funzionare, qualche volta, a secco visto che l'acqua nelle piazze non c'è .
L'importante però è testimoniare in modo realistico il ruolo che ho avuto per centinaia di anni e ringrazio questi tre signori che mi hanno dato questa possibilità.
I protagonisti .
I tre protagonisti citati sono tre coscritti del 1948 di Calavino che oltre ad avere la stessa età sono accomunati da molte altre cose.
Tutti e tre figli di artigiani del legno, tutti e tre appassionati della storia dei vecchi mestieri e curiosi di conoscere i segreti (che rischiano di rimanere tali) delle vecchie macchine e attrezzi di un tempo, per questo si son messi in testa di costruire la Sega Veneziana, strumento di lavoro che ha avuto vita fino agli anni sessanta. In particolare a Calavino l'ultima Sega Veneziana è stata smantellata nel 1968 a casa Pisoni “Segheti”. Si spera che dopo mesi di lavoro certosino questa ricostruzione possa dare testimonianza vera della storia “recente” del nostro paese che in realtà sembra lontana anni luce.
CALAVINO 15 giugno 2008
Morelli Ferruccio — Pisoni Emanuele — Bassetti Fabio"
Questo citato è il testo predisposto dagli autori in occasione della prima attivazione della loro segheria alle feste madruzziane di Calavino del 2008. Nelle foto si vede la stessa sega pronta per l'edizione 2016 della stessa festa e di seguito la sega in funzione all'edizione 2018 del festival etnografico presso il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina.
Qui la storia della segheria citata:
Macchinario formato da grossi martelli di legno (mazze), mossi dall'energia della ruota idraulica per mezzo di un albero a camme, che hanno il compito di colpire per lo più tessuti di lana bagnati ed insaponati in modo da infeltrirli e renderli impermeabili.
Oltre che per la follatura della lana, lo stesso attrezzo poteva essere usato anche per altri scopi, come ad esempio per battere gli steli della canapa ("canéf"), dopo essere stati macerati in acqua nelle "masére", in modo da ricavarne la fibra ("canevèla") con cui produrre il filato.
Riguardo la "folleria dei pomi", citata in un documento del 1819, possiamo solo ipotizzare che si riferisca alla lavorazione dei "pomi di terra", termine con cui venivano chiamate un tempo le patate, la cui coltivazione per l'uso umano era stata resa obbligatoria anche in Trentino nel 1817, e che si producesse così la fecola. Interessante a questo proposito risulta il testo:
La pila è un recipiente adatto a conservare acqua o altri liquidi, spesso in pietra, così come il mortaio usato ad esempio per pilare (brillare, decorticare) l'orzo. Una piccola pila è chiamata "pilòta".
Le pile mosse dalle ruote idrauliche erano formate da uno o più mortai di pietra entro cui cadeva verticalmente senza toccare il fondo un palo di legno con punta di ferro che veniva poi rialzato da un albero a camme mosso dalla ruota idraulica. Il movimento continuo di questo palo provocava il moto vorticoso dei chicchi d'orzo inseriti nel mortaio che così si decorticavano.
Vedi anche:
Il mulino a pietre usa due grossi dischi di pietra per macinare.
La macina inferiore appoggia sul castello, è fissa ed ha la faccia superiore leggermente convessa. A volte presenta un bordo rialzato tutt'intorno a parte una breve tratto da cui fuoriesce la farina.
La macina superiore è mobile. Ha la faccia inferiore leggermente concava, così da sovrapporsi esattamente alla macina inferiore, ed incassi a farfalla accanto al foro centrale nei quali è incastrata una sbarra di ferro (nottola), fissata all'albero rotante passante per le due macine, così da provocarne il movimento macinando così i cereali o altri materiali inseriti fra loro.
Ambedue le macine sulle facce di contatto presentano scanalature a raggiera e tacche.
Le mole del pestino invece, ruotano verticali, sono più piccole, hanno le facce uguali e un foro quadrato.
Per approfondire, ricercare sia mola che macina sul
Risulta noto a tutti l'uso dello sterco di vacca nel letame in agricoltura, ma non tutti ricordano il tempo in cui nelle strade era molto frequente imbattersi nelle "boàce". La loro caratteristica di asciugarsi all'aria e al sole fino a diventare secca, o nella fase intermedia secca sopra e umida sotto, faceva sì che le "boàce" venissero usate dai bambini anche per giocare (e per litigare).
Vasca in cui si mettevano in ammollo in acqua i sassi calcarei cotti (calce) cosicché si scioglievano formando la calce spenta (o calcina) utilizzati per vari usi, soprattutto per fare malta, ma anche per tinteggiare le pareti o a scopo anticrittogamico.
"All'inizio del sentiero che da Calavino porta alla Forra dei Canevai si trova un avvolto interrato che in passato veniva utilizzato come cantina.
Appena entrati, nell’angolo a destra si trova, ancora intatta, la "Busa dela Calcina”, o "Calcinèr”.
Parecchi anni fa a Calavino in molte case era presente questa buca, in cui si metteva la calce che poteva servire per molteplici usi: mescolata con la sabbia per realizzare intonaci per le case o per costruire muri o, ancora, per tinteggiare le stanze. Mischiandola con il verderame si otteneva invece un trattamento anticrittogamico per le viti.
Per produrre la calce si dovevano cuocerei sassi di calcare in una sorta di fornace detta “Calchèra”; i sassi cotti, che diventavano di un bianco candido, venivano posti in queste buche riempite di acqua, e, in poco tempo, si scioglievano diventando una pasta morbida pronta all’uso."
Così lo descrive Emanuele Pisoni, proprietario del luogo ed a questo proposito ci racconta anche il "gioco dei boacéti":
Ecco qualche brano tratto dal comunicato:
"Egregio Mugnaio Artigiano,
come è noto, la rappresentanza sindacale della Vostra Ditta è affidata alla Federazione Fascista Autonoma degli Artigiani d’Italia."
"Il gran numero delle disposizioni legislative riguardanti l’industria molitoria fa sentire ai nostri organizzati l’utilità e la necessità di un’assistenza tecnica, legale e tributaria, data con competenza e completo disinteresse. Crediamo opportuno specificare le forme di assistenza gratuitamente offerte: "
"Nota
Si è creduto opportuno di ricordare ai Mugnai Artigiani che presso la propria Segreteria dell'Artigianato funziona uno speciale Ufficio di Assistenza.
Ciò perché i mugnai sappiano salvaguardarsi da pseudo società assistenziali a carattere privato e perciò speculative.
La Comunità Nazionale non può e non intende devolvere a nessuno tali assistenze di sua esclusiva spettanza; e pertanto, se ai molini artigiani si presentassero inviati di società private, i mugnai sono avvertiti che essi possono rivolgersi per tali assistenze alla Segreteria della loro organizzazione."