Per contestualizzare: nello stesso edificio di Calavino vivevano le famiglie di Quirino (mugnaio) e Stefano con Emanuele (segantini). Emanuele muore in guerra in Austria ed il fratello si reca a Wals per le pratiche relative a questo evento.
Di lì Stefano scrive al cugino Quirino:
"Vels lì 21/8/916/ Carro cucino Colla presente ti faccio sapere che io sto bene spero anche di te che lo desidero mi farai un piacere darli qualche pugnatta di vino che poi sodisfereme, che così cante la sentenza qualche volta meno dunque siamo intesi saluti a tutti i miei di casa, in tuo comodo verai anche tu, il cucino Stefano"
Può essere che la trascrizione non sia esatta, ma da questa cartolina postale, spedita in un contesto molto triste, emerge forte il legame familiare e la volontà di aiutare i genitori anche da lontano.
Dopo la successione del 1909, di nuovo, nella richiesta di un prestito, viene ribadita la parità tra i tre eredi di Pasqua vedova Bigio Pisoni segantino di Calavino: due maschi e una femmina che vivevano insieme nella casa paterna con la moglie ed i figli di Emanuele.
"I Sottoscritti Stefano Emanuele e Teresa Fratelli fu Biaggio Pisoni di qui dichiarano di avere in solidiaramente unno per tutti trè, e tutti tre per uno ricevuto ad imprestito da Mansueto Pisoni di Calavino Cor. 1000 mile, diconsi Corone mila in contanti che in solidariamente unno pertutti tre, e tutti tre per unno si obbligano di restituire in pari numero e valuta al creditore Pisoni od a chi per esso a suva inchiesta colla coresponsione in pertanto dell'interesse in ragione del 5/100 all'anno da oggi impoi esente questo questo da qualsiasi imposta per la rendita ad altro sebene direta al ereditare."
Qui il documento citato:
"Decreto d'aggiudicazione.
Da parte dell'i.r. giudizio distrettuale di Vezzano l'eredità di Pasqua va [vedova] fu Biagio Pisoni da Calavino morta intestata il giorno 26 ottobre 1909 viene in base alla successione legittima aggiudicata puramente in parti uguali ai figli della defunta Stefano, Emmanuele Teresa fu Biagio Pisoni di Calavino cioè con un terzo a cadauno."
Archiviato ciò possono passare a "l'acquisto del diritto di proprietà sul seguente Stabile Sorte nel piano Sarca..."
"I fratelli Pisoni Stefano ed Emmanuele fu [Biagio] detti biasi segantini di Calavino" chiedono un prestito di 500 corone al 5 % di interesse che "venne dagli stessi adoperato quest'importo per pagare dei legnami di larice a Chistè Alfonso di Ezechiele di Lasino, quale procuratore di una massa di colà."
Compare qui il soprannome di famiglia "Biasi" (di Biagio).
In questo registro vengono segnate ogni volta: data, paese, nome e cognome, tipo di farina, chili, a volte la professione.
Possiamo notare che il mulino oltre a Calavino serve regolarmente Lasino, Madruzzo e Sarche (talvolta "Sarcha").
Vediamo che ad inizio registro, di Sarche è registrata una "marcanta" ed in seguito un "Candido marcante" che nel corso di questi 10 mesi acquistano oltre 600 chili di farina gialla, oltre 100 chili di farina bianca e 7 chili di minestra. Il "marcante Andrea" di Lasino ne compera 300 chili di gialla.
Già da qui si capisce che la fa a gran lunga da padrona la farina gialla, vengono poi citate la farina bianca e di segala.
Da notare come le quantità siano molto aumentate rispetto al registro della stessa famiglia del 1891-92:
Nella registrazione della farina macinata come si evince dai titoli di colonna a pagina 15, il numero davanti indica i "Kili" e quello in fondo indica gli "steri" (staio). Non è chiaro se la prima colonna indichi le entrate di cereali e l'ultima le uscite di farina.
Nella colonna centrale sono invece indicati i nomi, o cognomi o mestieri dei clienti, ma anche zii o zia Pasqua [moglie di Biagio] o zia Nanele, e talvolta è indicato il prodotto.
A capo pagina, o di fianco, trovano posto le date.
Tra i prodotti oltre al frumento notiamo "giala" (farina gialla), segala, orzo, "setila" (macinata sottile), "formenton" (grano saraceno).
Fra i mestieri compaiono "marcanta" (commerciante femmina), "tessader" (tessitore), maestro, "monec" (sacrestano), "comare" (ostetrica), curato.
I nomi si ripetono spesso in quanto il grano si salva più facilmente della farina per cui veniva macinato man mano che serviva.
Nella prima pagina troviamo la data di inizio di questa registrazione: 10 novembre 1891; nell'ultima il resoconto: "Soma totale fino ogidì 22/9-92 Kilogrami maicinati K1.350.76 Frateli Pisoni".
Sono questi i figli di Antonio Pisoni morto nel 1885, la firma potrebbe essere del maggiore: Lodovico (1863-1944).
Il documento è composto di tre fogli cuciti col filo uno dentro l’altro.
Quello esterno, più grande, funge da copertina e vi sono apposte delle note successive da cui ricaviamo che al debitore Antonio Giovanni di Calavino morto verso 1863, succedono i figli Antonio e Biagio. Biagio muore poi nel 1878 ed a lui succedono i figli Stefano (9 anni), Emanuele (6 anni) Teresa (4 anni).
Il secondo foglio, datato 6 febbraio 1850 riguarda un contratto di Mutuo col quale “Antonio del fu Andrea Pisoni Ritadin di Lasino ora in Calavino” riceve un mutuo dal “Amministratore del Seminario Principesco Vescovile in Trento” di “fiorini mille Valuta Vienna Moneta Convenzione” con “l’annuo interesse del 5%”. “In assicurazione tanto del Capitale, come degli annuali interessi esso debitore Pisoni sottopone e vincola a speciale ipoteca = Un Edificio con cinque ruote ad acqua due, per due molle, da mulino una per le pile, una per la Sega, ed una pel follo, con piazzale ed Orti annessi, posto il tutto nella Villa di Calavino luogo detto alla Pontara, ed alla Sega, marcata col Civico N 74, con tutti quelli utensili da Mulino, e Sega, che ora vi esistono”. “Questo stabile pervenne al S. Antonio Pisoni per acquisto fatto dal S. Vincenzo Panicali in forza dei documenti dei 3 Maggio 1844 iscritto li 4 [seguente] a N. 304 per la somma di f 3000 abusivi in oro e quindi più che sufficiente a garantire il premesso mutuabile Capitale”
“accorda al Pisoni la dilazione al pagamento del Capitale di anni dieci e non potrà il Pisoni pria della fissata epoca restituirlo senza il consenso del S. Amministratore”
Il terzo foglio datato 1850, redatto il 20 gennaio 1850 dall’Imperial Regio Giudizio Distrettuale di Vezzano ed integrato il 5 febbraio, è un allegato del precedente ed “esaminati attentamente questi registri ipotecari” certifica le stesse informazioni riportate nel documento precedente, analizza le ipoteche fatte da Antonio Pisoni, dalla moglie Teresa Chisté di Luigi Anna Chisté, da Vincenzo Panicali di Trento e e certifica che non vi sono ipoteche in atto.
Così chiamato dall'ultima famiglia proprietaria indicata con cognome e soprannome, è l’ultimo edificio sulla sinistra della vecchia strada imperiale, poco prima della “Pontàra” (= erta), che scende verso Padergnone. Le ruote idrauliche erano alloggiate sulla facciata ad ovest, lambita in sponda orografica destra dalla Roggia, che dopo un breve tratto si gettava nell’orrido della val dei Canevai, fornendo energia alle ruote idrauliche dei mulini sottostanti.
Nello stesso edificio acquistato da Antonio Giovanni Pisoni (1799-1863?) di Lasino, con la moglie Teresa Chistè, nel 1844 da Vincenzo Panicali di Trento c'erano ben "5 ruote idrauliche per macinazione grani, follo e segheria".
La famiglia vi si trasferì e li nacque la loro undicesima e ultima figlia nel 1845. Il figlio Antonio (1820-1885) si occupò del mulino ed il figlio Biagio (1837-1878) della segheria.
Sui registri parrocchiali dei nati a Lasino, Antonio Giovanni ed i suoi antenati fin dal 1500 erano soprannominati Nanotti (da Giovanni = Nane), ma Biagio (1911-1996), nipote di Biagio segantino sopra nominato, venne registrato col soprannome di "Biasi". Nei nostri paesi, dove nome e cognome erano spesso ripetuti, il soprannome di famiglia era così importante da venir segnalato nei registri delle nascite.
Dopo Antonio continuò l'attività molitoria di famiglia il figlio Quirino fino alla sua morte senza eredi nel 1942.
Dopo Biagio continuarono a lavorare alla segheria i figli Stefano ed Emanuele, poi i nipoti Biagio e Valerio, fino al 1968 quando fu demolita. L'ultimo lavoro importante è stato quello di segare i tronchi detti "marcia avanti" per le gallerie della centrale di S. Massenza.
Il follo non è mai stato utilizzato dai Pisoni Biasi; oltre al documento, rimane però il segno sul muro della sua posizione. Una quinta ruota è stata invece aggiunta dalla parte opposta dell'edificio, in sostituzione di quella, a favore di una circolare, posta nel cortile, collegata ad un lungo palo di trasmissione che attraversava tutto l'edificio. Negli anni '40, collegata con cinghie allo stesso palo di trasmissione, è stata aggiunta una sega a nastro (bindella) all'interno della segheria.
Curioso come sulla mappa storica del 1860 sia indicata sull'edificio una sola ruota nell'illustrazione riferita al paese, due ruote su quella riproducente l'intero territorio; forse sulla prima la ruota indicava la famiglia proprietaria dell'edificio (Antonio Pisoni) mentre sulla seconda le ruote indicavano le due attività che vi si svolgevano: molitoria e segheria.
Sulla mappa del catasto austriaco del 1860 sono indicate le numerose ruote idrauliche attive in paese in quel momento.
Mariano Bosetti ha poi spulciato il protocollo degli edifici del tempo ricavando tutte le p. ed. sede di "molina" [ruota idraulica, per lo più mulini per la macinazione dei cereali ma non solo] con i nomi dei proprietari così da dare un nome a ciascuna ruota, arricchendo l'informazione con i soprannomi di famiglia ricavati dalla ricerca di Cornelio Secondiano Pisoni (anni ’30 del XX° secolo).
Avendo documentato l'attività nell'edificio Pisoni "Biasi", risulta curioso come su questa mappa sia indicata sull'edificio una sola ruota nell'illustrazione riferita al paese, due ruote su quella riproducente l'intero territorio; forse sulla prima la ruota indicava la famiglia proprietaria dell'edificio (Antonio Pisoni) mentre sulla seconda le ruote indicavano le due attività che vi si svolgevano: molitoria e segheria. Questa osservazione ci fa presumere che le ruote effettivamente presenti fossero ancor più di quelle indicate.
Sulla mappa del territorio di Lasino del catasto austriaco del 1860 è segnato il "Molin dei Tómpi" sulla rogge che scende dalla Valle di Cavedine, fra Larì e Grumèl, di fronte a Castel Madruzzo.
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Bibliografia:
pag. 60
Sulla mappa del territorio di Calavino del catasto austriaco del 1860 è segnato il ponte di Pendé accanto al quale, sul territorio di Padergnone, era anticamente situata la fucina della famiglia a Prato, di cui non rimane nessuna traccia.
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Bibliografia:
pag 488
Nella località di Pendè, nei pressi dell’omonimo ponte, dei documenti storici attestano la presenza dei fabbri della famiglia a Prato di Vezzano a partire dalla metà del XVI secolo. Questi forestieri trasformavano la forza idraulica della roggia in motrice per azionare gli utensili necessari ai lavori della fucina. In proposito si ricordano le diatribe, sorte nel 1583, tra Francesco della famiglia a Prato e la comunità di Padergnone ed Aliprando Madruzzo (il regolano maggiore di Calavino) per stabilire le condizioni per lo sfruttamento idrico di quel punto della roggia. Un’ulteriore testimonianza del possibile proseguo dell’attività della fucina si ritrova nell’appellativo “mastro” affiancato a Giovanni a Prato fu Francesco come testimone di una lite tra il comune di Vezzano ed alcuni privati. Egli infatti fu privato del diritto di “far pascolar bestie e far legna” nel territorio di Vezzano a causa delle sue attività presenti nel padergnonese. Tuttavia, in seguito alla diretta opposizione del vescovo Carlo Madruzzo nel 1612, l’attività degli a Prato in Pendè ipoteticamente si concluse.
Purtroppo, l'assenza di notizie significative posteriori ha reso impossibile, nonostante i numerosi sopralluoghi effettuati, la corretta localizzazione dell'attività.
[ricerca a cura di Caterina Zanin e Silvano Maccabelli per Ecomuseo della Valle dei Laghi]
Approfondimenti consultabili qui a pag.372-373 ed il ponte di Pendé è segnalato su una mappa del 1767 pubblicata a pag. 428:
Subito sotto il "Molin dela Gioana" parte la derivazione un tempo a servizio del mulino Miori, prima per muovere la ruota idraulica e poi per produrre energia elettrica, funzione utilizzata ancor oggi.
La derivazione del "Molin del Pero" era fornita di un bacino di carico seguito da un'altra paratoia e quindi dallo stretto canale che portava l'acqua alla ruota idraulica. Ormai tutto è in disuso e la paratoia è sgangherata.
Il nuovo Mulino Miori, che possedeva la concessione per la derivazione dal lontano 1892, fu attivo nella prima parte del XX secolo. Infatti, la denuncia del suo accatastamento, a nome di Giuseppe ed Emanuele Miori, figli del mugnaio Giacomo Gioacchino impiegato presso il “Mòlin dei Pradi”, risale all’anno 1902 e la costruzione dell’edificio al 1901, come evidenziato dalla data incisa sul portone d’ingresso.
Il Nuovo Mulino di Giuseppe Miori, nato con il sistema a cilindri, era in grado di macinare in un’ora la stessa quantità di farina che produceva in una giornata un opificio a macina. Nel 1924 Giuseppe Miori installò una turbina del modello Francis, acquistata a Schio (VI), per potenziare l’efficienza dell’opificio. Infatti quest’ultima azionava una dinamo che generava la corrente elettrica, utilizzata ancora oggi a scopo privato, per il motore del mulino e per scaldare il forno del panificio. Il collettore della dinamo veniva utilizzato la notte presso il mulino per poi essere trasferita per il lavoro mattutino presso il vicino cementificio Miori.
Il mulino continuò a produrre la farina fino agli anni ’30 – ’40 del Novecento.
Il Nuovo Mulino Miori ospitava un laboratorio di panificazione, aperto nel 1906, per combattere la pellagra che affliggeva il territorio all’epoca. Il pane cotto dall’impresa Miori veniva venduto nei paesi vicini e trasportato perfino a Terme di Comano ed a Garniga del Bondone. A Giuseppe sono seguiti nella conduzione del panificio e del mulino i figli Lino e Raimondo e poi i figli di quest'ultimo Claudio e Luciano che, nel 2002, lo ha trasferito a Sarche ed ha aperto anche una pasticceria.
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Bibliografia:
All’esterno di quello che un tempo era il "Molin dela Gioana", adagiate in una splendida aiuola di lavanda, sono visibili due coppie di macine qui utilizzate.
In primo piano c'è una macina superiore posizionata in modo da vedere la sua concavità ed il foro centrale, dal quale passava sia il grano sia l'albero rotante che ruotava questa macina grazie ad una sbarra di ferro a farfalla (nottola) incastrata negli appositi incavi.
Essa è appoggiata sulla più robusta macina inferiore che rimaneva fissa e serviva da appoggio a quella superiore rotante. Intorno ha ancora l'anello in ferro che permetteva la fuoriuscita della farina in un solo punto.
Il “Mólin de la Gióana”, presente almeno dal 1860 nelle mappe catastali asburgiche, lavorò fino al 1922. Questo opificio appartenne alla famiglia di Corrado Tonini sicuramente dall’inizio del Novecento. All’esterno, adagiate in una splendida aiuola di lavanda, sono visibili le macine del mulino e, se si segue il corso della roggia, si può scorgere ancor oggi la derivazione del Nuovo Mulino Miori.
La spinta dell'acqua qui è decisamente più forte che ai mulini precedenti ed il motto “El pòl se 'l vòl” [Dio], ripetuto più volte riproduceva il ritmo della rotazione di questa ruota; insieme a quelli degli altri mulini è stato poi ripreso nel canto:
L'affresco, posto sopra il passaggio pedonale (vòlt) che attraversa l'edificio, mostra l'antica posizione della ruota idraulica e della derivazione a servizio del mulino qui attivo.
Questo elemento in pietra con feritoia conservato all'interno dell'ex "Molin del Pero" serviva, in coppia con un altro, a sostenere l’albero motore del mulino, il quale trasmetteva il movimento della ruota idraulica esterna alle macine in pietra all'interno del mulino.
All'esterno dell'edificio una stampa presenta questi elementi dell’antico opificio.