Agricoltura

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  • I "brozzadóri" di Cavedine

    Roberto Pedrotti ci porta a scoprire quel che rimane dei "brozzadóri" di Cavedine, luoghi in cui il carro a due ruote che scendeva dalla montagna veniva trasformato in carro a quattro ruote per proseguire il viaggio in paese. Sono luoghi abbandonati in cui la natura sta prendendo il sopravvento anche laddove l'uomo non ha già distrutto, ma permettono comunque di capire il loro funzionamento di un tempo.
  • Bachicoltura, agricoltura e allevamento

    Antonia Zuccatti, classe 1931, ci racconta la sua esperienza di bambina e giovane donna nell'allevamento dei bachi da seta ("cavaléri") fino alla vendita dei bozzoli ("galéte"), utilizzando anche termini dialettali specifici, citando le località (Ronc, Sorac, Gèra) dove andava a raccogliere le foglie di gelso ("morar") per alimentarli, descrivendo la fatica ed i sacrifici che dovevano affrontare. Descrive poi le altre fonti di sostentamento e di reddito provenienti dalle coltivazioni di viti, patate, frumento, granoturco, dall'allevamento di mucche, vitelli, capre, galline e conigli, accennando all'attività lavorativa del marito Angelo in malga. In fondo alla scheda si può accedere ai termini dialettali che Antonia ha utilizzato e che sono inserti nel glossario di questo archivio.
  • Il lavoro nei campi

    Il lavoro svolto un tempo nei campi e la fienagione vengono qui descritti dai nonni intervenuti in classe prima della scuola primaria di Vezzano all'interno del progetto memoria svolto con Ecomuseo.
  • Gióncola doppia

    Capestro per due buoi con cavicchio in ferro collegato all'anello del capestro da una catena. Tutto il resto è in cuoio. L'anello in corda di cuoio intrecciata è rinforzato da un rivestimento in cuoio.
  • solfro

    Elemento chimico usato un tempo in polvere come antiparassitario su coltivazioni, pollai e conigliere.
  • fasolàr

    Con "fasolàr" ci si riferisce alla pianta del fagiolo e solitamente è usato al plurale: "fasolàri".
  • strami

    Gambo del mais
  • sgasegòtol

    Interno della pannocchia del mais sul quale si fissano le cariossidi.
  • sfoiàzz

    Foglia che protegge la pannocchia del mais. Essiccata veniva usata un tempo per riempire annualmente i materassi, detti "paión de sfoiàzzi" o "paión de sfoióni"
  • machina dala pastùra

    Macchina agricola prima a manovella, poi motorizzata, utilizzata per trinciare il foraggio per l'alimentazione di bovini.
  • formentón

    È una pianta erbacea molto resistente anche in climi freddi e aridi. Raggiunge il metro di altezza e produce fiori a grappolo di colore bianco o rosa. Pur non essendo un cereale veniva coltivato per la produzione di farina dai suoi semi, piccoli e triangolari. Insieme alla farina di frumento veniva usata per fare il pane ed insieme alla farina di mais per fare la polenta taragna.
  • zaldo

    Veniva coltivato per produrre la farina gialla per fare la polenta (anche con l'aggiunta di farina di orzo e di "formentón", ossia grano saraceno) e la "mòsa", ma si sfruttavano anche le altre parti della pianta: - con la trinciaforaggio (“machina dala pastùra”) si tagliavano le cime alle piante quando erano ancora verdi, per dare da mangiare agli animali; - con le brattee secche (sfoiàzi) si facevano i materassi, ogni anno si lavavano le fodere dei materassi e si cambiavano le foglie; con le foglie vecchie si faceva il letto alle mucche; - le brattee secche venivano usate anche per costruire bamboline; - con la “cassèla” si tagliavano gli steli secchi ("strami") per fare il letto alle mucche (farlèt); - i tutoli (sgasegòtoi") si usavano per accendere il fuoco, si mettevano tra le lucaniche appese a stagionare e talvolta si mettevano nei muri in "maltampaia".
  • canàgola

    Accessorio che passava sotto il collo del bue e si fissava al giogo. Poteva essere in legno, ferro o fune.
  • véta

    Supporto in legno, ferro o fune utilizzato per fissare il giogo dei buoi al "timón", la stanga centrale collegata al carro o all'aratro.
  • giöf

    Trave di legno doppiamente ricurvo che veniva posto sul collo di una coppia di buoi allo scopo di trainare il carro o l'aratro. Nella parte centrale era collegato al timone con la "véta". Davanti aveva due passanti in ferro per le "cornére" che venivano fissate intorno alle corna dei buoi. Ai lati e sotto quattro anelli ai quali si attaccavano le "tavèle" ("canàgole") che passavano sotto il collo dei buoi.
  • Giöf

    Questo "giöf" era colorato di azzurro; il colore è stato consumato là dove appoggiava sul collo dei buoi e nella parte centrale dove era fissata la "véta" . Attaccati al "giöf" sono rimasti i passanti in ferro per le "cornére" e una "tavèla" in ferro che passava sotto il collo del bue.
  • but

  • nogàra

    Intesa come pianta. Il frutto si dice invece
  • figàr

    Inteso come la pianta; il frutto in dialetto si dice invece:
  • armelìn

    Il nome scientifico dell'albicocco è "Prunus armeniaca L.". Originario della Cina è arrivato in Europa nel periodo romano attraverso l'Armenia, di qui il vocabolo "armelin", sia per la pianta che per il frutto; in ambedue i casi il termine è maschile.