Accanto ai contadini c'erano un tempo in tutti i paesi della Valle dei Laghi molti piccoli artigiani specializzati in settori specifici. Spesso il mestiere si tramandava di generazione in generazione ma altrettanto spesso le persone si adattavano alle esigenze del momento, imparavano sul campo e mettevano in gioco inventiva, passione e capacità pratiche per permettere la sopravvivenza della loro famiglia. Troviamo in questa collezione artigiani; luoghi, macchine e attrezzi di lavoro degli artigiani, prodotti degli artigiani.
"El travài" era stato realizzato dopo la chiusura della fucina Lucchi verso la metà degli anni '40 del Novecento dall'associazione dei contadini di Ciago. Essendo un paese contadino, essa riuniva tutte le famiglie; aveva altri macchinari in comune così come aveva fondato il caseificio sociale, il consorzio irriguo, il negozio cooperativo e il consorzio elettrico.
Avere in paese questo importante strumento permetteva di chiamare periodicamente a Ciago il maniscalco evitando di dover portare tutti gli animali a Vezzano per la regolare ferratura.
Negli anni '60 l'uso è diventato sempre più saltuario fino a diventare uno strumento di gioco dei bambini, poi una tettoia ed infine è stato demolito.
Il mulino Eccel, accuratamente segnalato nel catasto asburgico del 1860, apparteneva alla famiglia di Giuseppe Eccel ed ha smesso la sua attività nei primi anni Quaranta del Novecento.
All’esterno è stato posizionato l'antico pestino in pietra da due cavità lì utilizzato. Grazie all’energia impressa dalla ruota idraulica dei pali di legno con punta in metallo si muovevano su e giù nei pestini, muovendo i chicchi dell’orzo o altri cereali liberandoli così dalla buccia.
Il mulino di Valentino Lucchi, un alto edificio eretto con muri in pietra, era situato un tempo all’altezza della “curva del feràr” località posta nella parte alta del paese sulla strada che porta in loc. Mondal. Ricordato dagli anziani del paese, l’opificio ospitava una vecchia fucina, demolita al termine degli scontri bellici. Questa fu inaugurata sicuramente dopo il 1860, come dimostrano le linee tratteggiate rosse presenti nella mappa catastale asburgica disegnata in quell’anno.
All’interno dell’edificio c’era il maglio collegato alla ruota idraulica, il cui martellio acuto si sentiva fino in Gazza, la forgia alimentata dalla “bot de l’òra”, l’incudine e tutta la strumentazione tipica dei fabbri. All’esterno c’era il “travai” per la ferratura di buoi e cavalli di cui si servivano quelli di Ciago ma anche dei paesi del vicinato; al tempo una strada proveniente da Covelo e Monte Terlago arrivava a Ciago poco sopra la “curva del feràr” e nella “val dei molini”.
Per garantire un più costante e forte afflusso di acqua alla ruota idraulica, fu costruita poco sopra una vasca di carico dotata di dimensioni considerevoli (larga 3 m, lunga 1,5 m e profonda 70-80 cm) alimentata dal rio Valachel e collegata a un canale di legno chiamato “doccia” che faceva cascare l’acqua sulla ruota.
I ragazzi del tempo usavano la “vasca del feràr” per divertirsi e fare il bagno. Ci racconta Ivo Cappelletti che una volta, uscito dalla vasca, non ha più trovato le sue scarpe, qualcuno gliele aveva portate via. Le scarpe erano un bene prezioso, se ne possedeva un unico paio, alla domenica si passavano con la fuliggine in modo che tornassero belle nere.
Valentino saliva da Vezzano al mattino e tornava a casa la sera; a mezzogiorno uno dei suoi famigliari gli portava il pranzo. Forse la presenza di un fabbro di Vezzano a Ciago è legata al fatto che sua madre, Albina Zuccatti, era proprio originaria di qui.
Verso la metà degli anni Quaranta del Novecento chiuse questa attività; c’è chi lo ricorda scendere col carro pieno della sua attrezzatura e del legname ricavato dallo smontaggio del tetto.
I nuovi proprietari del terreno demolirono poi il rudere inutilizzato per non dover pagare le tasse. Sulla curva del feràr ora non rimane nessuna traccia della fucina.
L’officina di Valentino Lucchi proseguì poi la sua attività a Vezzano, nella casa di famiglia all’incrocio tra via Borgo e via Ronch, coi figli Mario, Elio e Bruno Lucchi e l’uso di macchinari elettrici. Rimontarono a Vezzano il “travài” poco lontano dal loro laboratorio, nello slargo dei Tecchiolli accanto all’attuale parco giochi. Nel 1959 i contadini di Ciago si dotarono, attraverso la società che gestiva il locale caseificio, di un proprio “travài” che posizionarono nella stradina dietro al caseificio stesso: era più semplice far arrivare lì il maniscalco che portare tutti gli animali a ferrare a Vezzano.
A quanto risulta dal vecchio cartellino attaccato a questo bastone, esso corrispondeva ad un "Braccio di Vienna", antica unità misura corrispondente a 0,777 m.
Era utilizzato come bastone da Albino Zuccatti, tessitore di Ciago, quando si spostava da un paese all'altro col rotolo di stoffa da lui tessuta in spalla, e gli serviva anche come indispensabile strumento di misura.
È fornito di manico lavorato e puntale di metallo.
La faccia principale presenta delle lavorazioni incise alle estremità e vi sono inserite 4 tacche di metallo che, insieme alla bordura metallica inferiore, ne delimitano la lunghezza e la divisione in 4 parti uguali, la misura totale è di 77 cm.
Una faccia laterale riporta incisa la data 1854.
Da notare che un'ordinanza del ministero delle finanze dell'Impero austriaco dell'1 novembre 1853 recitava: "si prescrive che a partire dal 1 maggio 1854, in tutti i luoghi ove il braccio di Vienna non è di già dichiarato misura legale, tutti coloro che per professione o mestiere vendono merci a braccia, siano obbligati a servirsi della detta misura, qualora il compratore lo desideri."
Ad una più attenta osservazione si può notare che sulla faccia posteriore, oltre alle decorazioni, sono presenti altre tacche che delimitano una misura totale di 70 cm, anch'essa divisa in 4 parti uguali. Questo lato corrispondeva quindi al braccio da panno e da tela di Trento, la cui conversione corrisponde a 70,2373 cm.
Sull'ultima faccia sono inserite altre tacche che portano ad una misura di 61,8 cm, sempre divisa in 4 parti uguali, ma al momento non ci è dato sapere a che antica unità di misura essa corrispondesse; a meno che, pur se in assenza della tacca iniziale sul manico, non corrisponda al braccio Viennese diviso in 5 parti.
Fonti:
Il funaio, in dialetto "fumàdro", tagliava ed intrecciava le pelli per costruire le funi che poi vendeva.
Il termine funaiolo è specifico di chi fa le funi.
Contenitore in legno per il trasporto delle granaglie, usato come unità di misura prima dell'introduzione del sistema metrico decimale. Tale contenitore aveva misure molto diverse a seconda dei luoghi, per cui anche la sua capacità era molto variabile.
Ad esso corrispondeva la misura agraria del terreno necessario alla semina di uno staio di granaglie.
Modi di dire:
"G'ho la testa come 'n star" - "Te me fai vegnir la testa come 'n star" sta a significare: "Ho/Mi fai venire la testa come un ceppo" - "Sono intontito".
Altre misure agrarie di valore locale erano:
Il moggiolo è un piccolo moggio o modio, un contenitore utilizzato, precedentemente all'introduzione del sistema metrico decimale, come unità di misura per le granaglie. Il suo sottomultiplo era lo staio. Il suo valore variava di luogo in luogo, ne esistevano di molto grandi e di piccoli. Il moggio è divenuto col tempo anche unità di misura agraria per indicare la quantità di terreno che si poteva seminare con un moggio di grano.
Questo treppiede in ferro battuto ha due piedi sotto il cerchio, che proseguono piegati a 90° e sagomati sopra il cerchio, e uno sotto il lungo manico.
Il cerchio veniva posto sopra la brace nel focolare aperto ("fogolàr") per mantenere sollevato dal fuoco pentole di diversa misura.
Sul lungo manico, che usciva dal fuoco, c'è un ferro verticale con due ganci ai quali veniva appoggiato il manico delle padelle, come ad esempio il tostino ("brustolìn"), per mantenerle orizzontali.
Questo treppiede triangolare in ferro battuto veniva posto sopra la brace nel focolare aperto ("fogolàr") per mantenere sollevato la pentola dal fuoco.
La sagomatura del triangolo permetteva di sostenere anche pentole più piccole .
Nell’edificio in Via Borgo 34 Bassetti Quintino e figli, trasferiti qui da Naran, avviarono una falegnameria accanto al mulino, che prima di loro era di proprietà Broschek ed era gestito da Faes Emanuele. Per essere il più possibile autonomi nella loro doppia attività artigianale si dotarono di una segheria veneziana e di una piccola fucina munita di forgia con “bot de l’òra” ad uso interno. Le due ruote idrauliche, che fornivano l’energia necessaria alternativamente a tutte le macchine, erano alimentate da una specifica diramazione della Roggia Grande realizzata con una condotta in muratura ed una chiusa ancora funzionante. L’acqua veniva poi rimessa nella roggia senza alcun consumo.
Negli ultimi anni di attività i Bassetti si specializzarono nella fabbricazione di imballaggi per la frutta ed infine, nel 1953, trasferirono la loro attività a Padergnone in via Nazionale 132 dove prima aveva sede un cementificio.
Tradizionalmente il paiolo è una pentola di rame dalla base arrotondata e dal manico di ferro ad arco e mobile che veniva appeso alla "segosta" nel focolare, in particolare per fare la polenta.
Un ago può avere svariate misure e specifiche funzioni, pensiamo ad esempio all'ago da ricamo, a quello per la lana o quello da calzolaio, per non pensare a quello di una siringa.
I ferri da maglia possono essere di diverso spessore e lunghi con una punta da usare in coppia, o corti ed a due punte da usare in quattro contemporaneamente per fare ad esempio calzini, o tubolare con due punte da utilizzare allo stesso scopo.
Una particolare "ucia" è chiamata
Quando si cuce a mano, se si usa una gugliata troppo lunga la cucitura viene male perché si formano nodi e il filato si sfibra.
Variante:
Uciada lónga, cosindara mata