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calcare, calcarea
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Calcare grigioIl calcare grigio è qui descritto dai ragazzi e dalle ragazze del gruppo opzionale della SSPG di Vezzano “aula di geologia”, tramite tre schede successive facenti parte del gioco che loro hanno progettato e che voi potete provare fisicamente nell'aula all'aperto di geologia o virtualmente anche qui:
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Mulino CattoniSeguendo il corso d’acqua, rimanendo sempre nella parte sopra la chiesa di Ciago, si incontrava il secondo opificio; i coniugi Luigi Fortunato Cattoni (1864 - 1905) e Margherita Cattoni (1872-? figlia di Felice e di Teresa Eccel, altra famiglia di mugnai) furono gli ultimi proprietari che chiusero definitivamente i battenti ad inizio Novecento. L’edificio, che loro avevano acquistato dalle giovani figlie di Giacomo Cappelletti prematuramente scomparso, era suddiviso tra un piano terra dedicato al mulino, che ospitava “el castel” con gli ingranaggi, le macine in pietra, la “tramogia” (cono capovolto munito di fondo adoperato per versare i cereali nel macchinario), ‘l bùrat (macchinario per setacciare la farina e separarla dalla crusca) ed altri strumenti del mugnaio, ed un piano superiore destinato alla cucina ed alla camera da letto. All’esterno, sulla roggia, vi era un lavatoio. Una bella foto presumibilmente di inizio Novecento testimonia la presenza di due ruote e di un canale della doccia. Questo, grazie ad una leva, si poteva spostare dall’interno del mulino. La casa ha poi cambiato proprietari e per lungo tempo la parte del mulino è rimasta inutilizzata, salvo piccoli periodi come quello della seconda guerra quando vi ha soggiornato Vittorio Bertoldi, lo sfollato trentino che in quel periodo ha decorato la chiesa del paese. La grande ruota è andata pian piano decomponendosi fino a scomparire negli anni ‘60. Alcune foto scattate nel 1991 per il notiziario comunale ci mostrano quel che allora era ancora presente all’interno dell’edificio: il castello con i sottostanti ingranaggi, le soprastanti pietre molitorie (palmenti) ed il canale di uscita della farina, un setaccio (crivel). Un’altra foto fatta dalla scuola nel 2000 ci ricorda il lavatoio e una delle macine abbandonate, che ora decora un angolo del giardino riservato della casa. Purtroppo col tempo molto di questo è scomparso. La giovane famiglia che ora abita la casa ha compiuto recentemente lavori di isolazione dell’edificio sul fianco dove scorreva un tempo l’acqua della derivazione: scavando il tufo calcareo in quello che era il letto della derivazione è stata rinvenuta sul fondo una pavimentazione in selciato. Una grossa concrezione calcarea è ancora presente su un angolo dell'edificio dove l'acqua della derivazione iniziava a fiancheggiare la casa.
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La chiesa parrocchiale dei Santi Vigilio e Valentino a VezzanoSi tratta di una chiesa molto ricca di decorazioni sia all'interno che all'esterno. A partire dal 1500 subisce varie ristrutturazioni. Si trova in piazza Mons. Donato Perli che nel 1895 iniziò l'iter che avrebbe ricostruito la chiesa così come la vediamo oggi. Tra il 1904 e il 1907 i lavori vennero svolti da Bonifacio Bassetti di Trento e Rodolfo Gobber delle Sarche. In quell'occasione è stata rinvenuta una pietra datata 1221, appartenente probabilmente all'edificio originario. La facciata esterna è contraddistinta da un portone strombato che porta in rilievo gli stemmi lapidei di Papa Pio X, del vescovo Celestino Endrici e del comune di Vezzano, un mosaico di Cristo Pancreatore ad opera di Marco Bertoldi (1960), un grande rosone ed il campanile abbellito da un quadrante di orologio che reca la data 1814. All’interno gli sono opere di grande pregio, come l'altare maggiore, il mosaico attribuito al bresciano Domenico Italiani raffigurante la 'Traslazione di San Vigilio verso Trento dopo il martirio', le vetrate colorate che rappresentano San Vigilio e San Valentino, statue lignee di vari santi ed i 2 leoni di pietra calcarea ai lati del presbiterio risalenti al XVI secolo ed appartenenti a Castel Madruzzo, presenti nella chiesa dal 1864. Troviamo anche quattro diversi altari lignei, dei quali il secondo contiene le reliquie dei santi protettori di San Valentino e Parentino. Vi sono poi una pala ad olio su tela risalente al XVII secolo rappresentante un miracolo di San Valentino e dei fregi ad opera del pittore Antonio Zeni da Tesero. Importante è ricordare il preziosissimo altare ligneo a portele che oggi è custodito al museo Diocesano ma un tempo si trovava all'interno della chiesa. -- Bibliografia:
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Capitello delle quattro facceSituato allo storico crocevia dove una volta passava la strada romanda detta “Traversara” che collegava Trento, Riva del Garda e le Giudicarie. È stato realizzato con materiali di epoche diverse: la copertura ed il pinnacolo sono pietra calcarea locale e sulla facciata sud del pinnacolo è incisa la data “1700”; le 4 nicchie in pietra rossa presentano una lavorazione più moderna e contenevano 4 raffigurazioni sacre andate perdute; il basamento decorato in finti cocci con la malta risale probabilmente al primo '900. Nel 2007 è stato un po' spostato verso il portale d'entrata di Villa Cesarini Sforza per salvaguardarlo dal traffico. Nel 2013 le nicchie sono state ridecorate dai ragazzi del Liceo delle Arti “Alessandro Vittoria” di Trento, con la tecnica dello smalto a fuoco, raffigurando i quattro numi tutelari di Terlago: San Pantaleone, S. Anna, San Filippo Neri, S. Andrea Apostolo. Bibliografia:
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Pozzo 3 - "Antonio Stoppani" - "Bus dela Maria mata"Perfettamente costruito e visibile dal paese è stato il primo pozzo glaciale scoperto in Italia. Lo scopritore fu Antonio Stoppani nel 1875 e per questo a lui è stato dedicato questo pozzo e l'intero parco glaciologico col sentiero che lo attraversa. L'ingegner Annibale Apollonio con la S.A.T. eseguì nel 1878 rilievi e schede grafiche ipotizzandone lo svuotamento che realizzarono nel 1879 scoprendo così che il fondo non era a scodella come ipotizzava. Diversi i reperti che testimoniano l'utilizzo del pozzo da parte dell'uomo preistorico: Annibale Apollonio nel 1879 parla di "due frammenti di un vaso" che "pare lavorato a mano e non è cotto al fuoco", Paolo Orsi nel 1890 scrive di avervi trovato e conservare "un bel coltello siliceo a sezione triangolare (lungo cent. 4, 25 ), e di una elegantissima cuspide di freccia stretta e lunga (mill. 45), lavorata a fine ritocco" Prima della scoperta di Stoppani il pozzo era chiamato dai locali "Bus dela Maria mata" e una leggenda era ad esso collegata, cosicché ancor oggi è più conosciuto con quel nome. Una versione rivista per i bambini è inserita nella collana della Biblioteca del bosco di Vezzano che per una decina di anni si poteva trovare e leggere direttamente in questo pozzo insieme ad un altro libretto che, senza pretesa scientifica, illustrava ai bambini la formazione dei pozzi. --- Approfondimento: Nel 1880 così lo descrive Apollonio : "Esso è scavato nel macigno calcareo durissimo di formazione liassica, a strati regolari grossi un metro e più ed inclinati di 48 gradi verso l’orizzonte nella direzione da mattina a sera. La superficie della roccia è nuda e la cavità del pozzo vi è incisa netta, ben delineata, colle labbra all'intorno ben arrotondate nella forma rappresentata dagli spaccati qui uniti; solo osservasi una squarciatura nello strato superficiale, la quale partendo dal punto più depresso del labbro inferiore e seguendo la direzione da valle a monte con un’inclinazione di forse 30 gradi (vedi la pianta segnata nell’Annuario dell’anno 1878) costituiva il canale emissario. La sezione orizzontale del pozzo presa sul piano di interrimento misurava 7.50 metri nel senso longitudinale e 6.80 metri nel senso trasversale della valle: il volume del detrito scavato fu calcolato a 50 metri cubi e quello della roccia trapanata dall'acqua e dai massi perforatori di 120 metri cubi. Lo strato superiore dell’ interrimento constava di sabbia, scheggie e massi calcarei franati dal monte e dal ciglio superiore della marmitta dopo la sua formazione, lo strato inferiore invece era composto di un terriccio calcareo assai fino il quale racchiudeva qualche ciottolo e qualche pezzo di pietra calcarea. Sul fondo della marmitta si trovò una ventina di ciottoli di varia grandezza, il maggiore dei quali ha un peso di circa 30 chilogrammi. La maggior parte di questi ciottoli appartiene alle roccie cristalline e fra di esse vi predomina il porfido della valle superiore dell’Adige e della valle Avisana. La superficie interna delle pareti diremo verticali è assai regolare, sagomata a linee curve molto morbide e lavorata come se fosse battuta colla martellina fina. Il fondo della marmitta invece è irregolare ed ha una prominenza nel mezzo precisamente là ove dovrebbe essere più incavato (vedasi la sezione trasversale). Quest’ anomalia dipende in primo luogo dalla maggior durezza e compatezza del terzo strato, poi dalla esistenza di canali e fessure fra i piani di combaciamento del secondo, terzo e quarto strato dai quali l’acqua scappava direttamente dalla marmitta diminuendo la forza motrice rotatoria e con essa l’azione erodente della cascata, scavando invece maggiormente il fondo in prossimità delle fessure. Queste circostanze, la mancanza di massi perforatori di un certo volume, e forse uno spostamento laterale sfavorevole della cascata, furono certamente i motivi per cui il pozzo Stoppani non potè raggiungere quella perfezione o quella profondità che tutti si aspettavano vedendolo prima che si effettuasse lo scavo." e ancora: "Nel pozzo glaciale Stoppani ad 1.50 m. sotto il piano d'interrimento si trovarono due frammenti di un vaso probabilmente della forma d'una catinella del diametro di circa 30 cent. formati di un tritume grossolano di roccie cristalline impastate con poca argilla, di color nerastro. Lo spessore di quei pezzi è di 6 millimetri e desso va ingrossandosi al fondo e sull'orlo superiore. Il vaso pare lavorato a mano e non è cotto al fuoco (vedi fig. N. 8).
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Pozzo 5 - "Covei de Lusan"Successivamente all'escavazione, le pareti di questo pozzo sono state attaccate dagli agenti atmosferici che le hanno in parte ricoperte di una struttura calcarea tutta bucherellata a nido d'ape, acquisendo così una specificità che lo caratterizza rispetto agli altri pozzi.
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Rilievi dopo lo scavo del "Bus dela Maria mata"Illustrazione utilizzata a corredo dell'articolo: "I pozzi glaciali di Vezzano" IN: Annuario SAT n. 6 1879/80 p. 70 così descritta dallo stesso ing. Apollonio: "Fatti i rilievi dello stato anteriore pubblicato per cura della Società nell’Annuario dell’anno 1878 s'incominciò nello scorso autunno lo scavo della marmitta indicata da Stoppani come la più bella, e detta dai terrieri “El bus della Maria matta, e dopo due settimane di lavoro la si poteva vedere nella sua integrità che qui si verrà esponendo. [...] La superficie della roccia è nuda e la cavità del pozzo vi è incisa netta, ben delineata, colle labbra all’intorno ben arrotondate nella forma rappresentata dagli spaccati qui uniti; solo osservasi una squarciatura nello strato superficiale, la quale partendo dal punto più depresso del labbro inferiore e seguendo la direzione da valle a monte con un’inclinazione di forse 80 gradi (vedi la pianta segnata nell’Annuario dell’anno 1878) costituiva il canale emissario. La sezione orizzontale del pozzo presa sul piano di interrimento misurava 7.50 metri nel senso longitudinale e 6.80 metri nel senso trasversale della valle: il volume del detrito scavato fu calcolato a 50 metri cubi e quello della roccia trapanata dall'acqua e dai massi perforatori di 120 metri cubi. Lo strato superiore dell’interrimento constava di sabbia, scheggie e massi calcarei franati dal monte e dal ciglio superiore della marmitta dopo la sua formazione, lo strato inferiore invece era composto di un terriccio calcareo assai fino il quale racchiudeva qualche ciottolo e qualche pezzo di pietra calcarea. Sul fondo della marmitta si trovò una ventina di ciottoli di varia grandezza, il maggiore dei quali ha un peso di circa 30 chilogrammi. La maggior parte di questi ciottoli appartiene alle roccie cristalline e fra di esse vi predomina il porfido della valle superiore dell’Adige e della valle Avisana. La superficie interna delle pareti diremo verticali è assai regolare, sagomata a linee curve molto morbide e lavorata come se fosse battuta colla martellina fina. Il fondo della marmitta invece è irregolare ed ha una prominenza nel mezzo precisamente là ove dovrebbe essere più incavato (vedasi la sezione trasversale). Quest’anomalia dipende in primo luogo dalla maggior durezza e compatezza del terzo strato, poi dalla esistenza di canali e fessure fra i piani di combaciamento del secondo, terzo e quarto strato dai quali l’acqua scappava direttamente dalla marmitta diminuendo la forza motrice rotatoria e con essa l’azione erodente della cascata, scavando invece maggiormente il fondo in prossimità delle fessure. Queste circostanze, la mancanza di massi perforatori di un certo volume, e forse uno spostamento laterale sfavorevole della cascata, furono certamente i motivi per cui il pozzo Stoppani non potè raggiungere quella perfezione o quella profondità che tutti s’aspettavano vedendolo prima che si effettuasse lo scavo.”
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Abisso "percorso interiore"Opera d'arte moderna del "Parco d'Arte Lusan" realizzata da Paolo Vivian (TN) e così descritta nella relativa tabella illustrativa: "L’opera porta alla luce quanto è fruibile solo ad esperti speleologi, dando forma artistica ad un elemento naturale. L’elemento in acciaio inox posto alla sommità rappresenta un cristallo di ghiaccio, ovvero l’acqua da cui le “spaccature” naturali hanno avuto origine. L’abisso scavato nella roccia diventa anche uno specchio del nostro essere interiore più profondo e vero, del nostro codice dell’anima, come scrive James Hillman, della nostra natura che, attraverso l’istinto puro, ci guida nella realizzazione di noi stessi. Il taglio verticale che lo percorre, anche con violenza, è il condizionamento che con l’educazione, ma ancora di più con le imposizioni autoritarie che possono essere date, snatura il nostro essere creando false espressioni di noi stessi." È dedicata all'Abisso di Lamar situato sopra l'omonimo lago. Maggiori informazioni sulla tabella illustrativa.
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tófAl plurale fa "tóvi". Il termine "tufo" indica propriamente una roccia di origine vulcanica, ma laddove queste non ci sono esso viene usato per indicare anche altre rocce leggere e facilmente lavorabili, nel nostro caso il travertino. Il travertino è una roccia calcarea di deposito chimico, porosa e leggera che si forma soprattutto in prossimità di sorgenti e cascate per precipitazione del carbonato di calcio presente nell'acqua. Un tempo nella Valle dei Laghi veniva estratto, tagliato ed utilizzato quale materiale da costruzione. --- Può avere anche un altro significato:
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El calcinèr"All'inizio del sentiero che da Calavino porta alla Forra dei Canevai si trova un avvolto interrato che in passato veniva utilizzato come cantina. Appena entrati, nell’angolo a destra si trova, ancora intatta, la "Busa dela Calcina”, o "Calcinèr”. Parecchi anni fa a Calavino in molte case era presente questa buca, in cui si metteva la calce che poteva servire per molteplici usi: mescolata con la sabbia per realizzare intonaci per le case o per costruire muri o, ancora, per tinteggiare le stanze. Mischiandola con il verderame si otteneva invece un trattamento anticrittogamico per le viti. Per produrre la calce si dovevano cuocerei sassi di calcare in una sorta di fornace detta “Calchèra”; i sassi cotti, che diventavano di un bianco candido, venivano posti in queste buche riempite di acqua, e, in poco tempo, si scioglievano diventando una pasta morbida pronta all’uso." Così lo descrive Emanuele Pisoni, proprietario del luogo ed a questo proposito ci racconta anche il "gioco dei boacéti":
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fornàsCostruzione in muratura utilizzata per la cottura di pietre con cui realizzare materiali da costruzione, nello specifico nella "fornàs" si cuocevano le marne per la produzione del cemento mentre la fornace utilizzata per la cottura del calcare per la la produzione della calce era chiamata:
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"Bus dela Maria mata" visto da Antonio StoppaniIllustrazione utilizzata a corredo dell'articolo "Le marmitte dei giganti" IN: Annuario della Società degli alpinisti tridentini 1877. Milano: Tipografia Editrice Lombarda 1878 p. 174. Così ne parla lo Stoppani nell'articolo citato: "Essa non può sfuggire all’attenzione di chicchessia, che dalla via che esce a mezzodì di Vezzano, o da questo stesso paese, guardi la montagna nuda di bianco calcare che si leva a piano inclinato dietro il caseggiato sul lato d’oriente. A un centinaio di metri, o forse meno, sopra il piano del villaggio si vede come una caverna che accenna a sprofondarsi verticalmente nella roccia. [...] La parte interna ed accessibile della marmitta, a monte dov'è più alta, presenta una profondità di cinque o sei metri, riducendosi a valle a circa mezzo metro soltanto. Termina con un fondo piano formato da un terreno mobile, cioè da un terriccio, certamente d’origine glaciale, che riempie tutta la marmitta fino a quell'altezza, celando sotto di sè la profondità del pozzo. Perciò il fondo delle marmitte di Vezzano si presenta come un praticello erboso, [...] La figura B, eseguita sopra un semplice schizzo da me preso di passaggio, presenta il pozzo glaciale di Vezzano, come lo si vede guardandolo un po’ da vicino dietro il paese"
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calchèraLa “calchèra“ era un forno per la cottura del calcare per la produzione della calce. Aveva forma di botte ed era realizzata in pietra resistente al fuoco, solitamente in un terrapieno nel bosco o nelle immediate vicinanze, così da avere a portata di mano il legname necessario e da poter essere caricata dall'alto. In basso aveva un'apertura dalla quale si alimentava il fuoco giorno e notte per diversi giorni portando il forno ad una temperatura di 900°C. Lo spazio riservato al fuoco era coperto da una volta in pietre più resistenti al fuoco. Sopra la volta, veniva caricata con pietre calcaree. A cottura ultimata si lasciavano lentamente raffreddare le pietre. Tutto il processo durava 3-4 settimane. Poi si scioglievano le pietre cotte in acqua così da formare la calce spenta che veniva conservata a lungo vicino a casa nel