Cartellone realizzato dai bambini della classe prima primaria di Vezzano in collaborazione con Ecomuseo della Valle dei Laghi nel 2019 per la mostra "Animali e cereali nel progetto memoria". Illustra la produzione del formaggio così come i bambini hanno aiutato il casaro a fare.
Cartellone realizzato dai bambini della classe prima primaria di Vezzano in collaborazione con Ecomuseo della Valle dei Laghi nel 2019 per la mostra "Animali e cereali nel progetto memoria". Illustra la procedura utilizzata un tempo per la produzione del burro.
Cartellone realizzato dai bambini della classe prima primaria di Vezzano in collaborazione con Ecomuseo della Valle dei Laghi nel 2019 per la mostra "Animali e cereali nel progetto memoria".
Cartellone realizzato dai bambini della classe prima primaria di Vezzano in collaborazione con Ecomuseo della Valle dei Laghi nel 2019 per la mostra "Animali e cereali nel progetto memoria". Presenta la lavorazione dell'orzo dal raccolto ai diversi utilizzi.
Cartellone tubolare realizzato dai bambini della classe prima primaria di Vezzano in collaborazione con Ecomuseo della Valle dei Laghi nel 2019 per la mostra "Animali e cereali nel progetto memoria". Presenta la lavorazione del granoturco e i vari utilizzi delle sue parti basandosi sui racconti dei nonni, gli strumenti di lavoro, le uscite sul territorio, la visone di filmati.
Cartellone realizzato dai bambini della classe prima primaria di Vezzano in collaborazione con Ecomuseo della Valle dei Laghi nel 2019 per la mostra "Animali e cereali nel progetto memoria". Classifica i cereali presentandone la pianta, i semi e gli utilizzi.
Cartellone realizzato dai bambini della classe prima primaria di Vezzano in collaborazione con Ecomuseo della Valle dei Laghi nel 2019 per la mostra "Animali e cereali nel progetto memoria".
Il lavoro svolto un tempo nei campi e la fienagione vengono qui descritti dai nonni intervenuti in classe prima della scuola primaria di Vezzano all'interno del progetto memoria svolto con Ecomuseo.
Testimonianza di un'avventura capitata a Carla quand'era bambina con la sua pecora Pot Pot raccontata durante un intervento in classe prima della scuola primaria di Vezzano all'interno del progetto memoria svolto con Ecomuseo.
La paletta di ferro aveva il manico lungo per evitare scottature mentre si cucinava. Veniva all'occorrenza usata anche per mettere le braci nel ferro da stiro e nello scaldaletto.
Tritacarne Porker 32 in ghisa rivestito di stagno fissato su supporto di legno.
La carne inserita nell'apertura superiore vine mandata avanti da una vite elicoidale mossa ruotando la manovella.
Per fare lucaniche e salami la si usa prima per tritare, e quindi si fissano sull'uscita la lama di acciaio e la piastrina bucherellata dello spessore desiderato, poi per insaccare, e quindi si fissa sull'uscita l'imbuto della grossezza adatta per infilare il budello da salame o da lucaniche.
Quando il contadino andava a tagliare i cereali o l'erba per fare il fieno ("far fen") con la falce ("fer da segar") portava con se due diversi attrezzi per tenerla affilata: il corno con la cote, che usava frequentemente, e l'incudine con il martello, che usava ogni alcune ore di lavoro.
In questo caso si sedeva, piantava per terra il supporto di ferro (incudine), vi appoggiava sopra la lama della falce e pazientemente la batteva con il martello spostandola lentamente in modo che tornasse ad essere ben affilata. Questa operazione era chiamata "bàter el fèr" o "farghe el fil al fèr"
Arco in legno terminante con due incavi in cui venivano inseriti due secchi per il trasporto a spalla dell'acqua dalla fonte a casa, al tempo in cui l'acqua non era ancora arrivata nelle case (verso il 1950 nella maggior parte dei paesi della Valle dei Laghi ).
Su questo arcuccio è incisa la data di costruzione ed una dedica: "1940 A mia cugina Maria per ricordo Gelmo".
Nelle gelide notti invernali con serramenti e pavimenti che isolavano poco e la cucina come unica stanza riscaldata della casa, lo scaldaletto permetteva di coricarsi in un letto caldo e asciutto che così rimaneva a lungo. Il portentoso strumento era formato da un trabiccolo aperto in legno, protetto sulla base da una lamiera di rame, che veniva posto per tempo tra le lenzuola in mezzo al letto. Era chiamato "monega" ed aveva lo scopo di contenere lo scaldaletto e tener sollevato le lenzuola cosicché il calore potesse espandersi ed asciugare l'umidità.
Lo scaldaletto era un contenitore in rame in cui venivano inserite grossi braci ardenti. Il coperchio era traforato in modo che le braci potessero ricevere aria e rimanere vive; il manico era lungo per evitare di scottarsi quando lo si andava a posizionare nella "monega".
Quando si andava a letto, il tutto veniva appoggiato sul pavimento cosicché continuava a distribuire tepore finché le braci non si spegnevano del tutto.
Succedeva talvolta che nel letto matrimoniale uno andasse a letto prima dell'altro e che lo scaldaletto venisse spostato sul lato libero in modo da tener ben caldo quella parte in attesa che arrivasse il ritardatario.
La "bèna" era una cesta fatta generalmente con rami di faggio grande come un carro utilizzata per il trasporto di merci. Questa è una "bèna" giocattolo.
Contenitore in legno in cui veniva inserito lo zolfo ("solfro") in polvere per poi distribuirlo come antiparassitario sulle coltivazioni e su pollai e conigliere.
Aveva due bretelle, una fissa e l'altra mobile: si metteva sulla schiena con la bretella fissa e poi si agganciava quella mobile. Muovendo con una mano la leva la polvere veniva soffiata attraverso un tubo nel diffusore metallico che veniva orientato con l'altra mano.
Come risulta dall'etichetta metallica è stato prodotto dalla ditta G. Bressan di Trento.
La fune da carro era fatta da strisce di cuoio intrecciate e serviva per assicurare i carichi sul carro. Era unita ad una navetta di legno ("spòla") e per fermarla era necessario un cavicchio, anch'esso di legno.
I campanacci vengono messi al collo delle mucche al pascolo per poterle ritrovare più facilmente, anche in caso di nebbia e permettere a loro stesse di ritrovarsi.
Per la ferratura del bue, si usavano ferri diversi a seconda dell'unghia che si ferrava e dell'uso che veniva fatto del bue. Il bue ha due dita che toccano terra e quindi ha bisogno di 8 ferri, anche se talvolta venivano ferrati solo davanti o anche solo le unghie anteriori esterne.
I ferri, modellati su misura dal maniscalco, avevano dei fori per inserirvi i chiodi con cui fermarli all'unghia. Se il bue doveva lavorare su zone montane, si usava un ferro munito di linguetta che veniva piegata sopra l'unghia verso l'esterno così da distribuire meglio l'impatto del ferro rendendo più duratura la ferratura.
Cinghia in cuoio, con cuciture anch'esse in cuoio, collegata ad anello da ambo le parti con una fune di cuoio intrecciato chiusa a formare un anello.
La cinghia veniva messa intorno alle corna del bue e l'anello finale veniva fissato al timone del carro con il cavicchio di legno.
Si infilava della saggina, si pareggiava , si chiudeva la morsa e si cuciva. Ne usciva una scopa piatta alla quale si aggiungeva poi il manico.
Veniva usata nella stalla durante il filò.
Parte dei finimenti, collegata alle redini, usata per direzionare il cavallo durante il lavoro. Questa imboccatura è del tipo "filetto", snodata, tutta metallica.
I due cerchi sono posti ai lati della bocca e la parte snodata (cannoni) va ad infilarsi nella parte senza denti della bocca, tra gli incisivi e i premolari.
Agisce sui punti d'incontro delle labbra e sulla lingua.