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  • Invito nascita Consorzio Valorizzazione Vino Santo

    Lettera d'invito alla presentazione del "Consorzio per la Tutela e Valorizzazione del Vino Santo Classico Trentino", in occazione della 47° mostra dei vini del Trentino. La lettera è firmata da Arrigo Pisoni, che fu il presidente del Consorzio per tutta la sua durata.
  • La guerra raccontata da Enrico Aldrighetti

    L'intervista è stata realizzata in vista delle celebrazioni del 60° del Voto a San Valentino, occasione in cui reduci e civili sono stati invitati a raccontare la loro esperienza di guerra. Mi chiamo Enrico Aldrighetti, classe 1924. Sono partito da Vezzano, alla volta di Trento, il 16 agosto 1943. A Trento mi dissero di essere arruolato nei granatieri a Roma. Essendo primo in ordine alfabetico, mi assegnarono il compito di condurre 9 reclute a destinazione. Ho assolto il compito consegnando in caserma i miei compagni con i documenti di accompagnamento. Gli americani avevano già cominciato i bombardamenti su Roma e noi andavamo a rifugiarci in campagna. Ben presto arrivò l’8 settembre. Il 9 mattina la caserma era deserta; eravamo rimasti solo in 6, tutti gli altri, compresi gli ufficiali, erano spariti. Ho proposto ai miei compagni di buttare i materassi dalle finestre e venderli. Abbiamo guadagnato 20 lire l’uno. Poi siamo andati alla stazione dei treni dove c’erano pochi soldati tedeschi che hanno fatto finta di non vederci. Forse erano ancora in attesa di ordini sul comportamento da tenere con i soldati italiani. Saliti sui vagoni, piano piano siamo arrivati a Trento. Mi ero messo i vestiti borghesi che avevo ancora nello zaino. Con un basco pagato 3 lire in testa per nascondere il taglio militare, sono riuscito a scendere dal treno senza farmi prendere dai tedeschi che controllavano la stazione. E che nel frattempo avevano ricevuto l’ordine di arrestare i soldati italiani e spedirli in Germania. Sono arrivato al ponte di San Lorenzo e l’ho trovato distrutto dai bombardamenti. Poco più a monte avevano improvvisato un traghetto, così son potuto passare sull’altra sponda e raggiungere Vezzano. Era il 12 settembre del 1943.
  • Sussidio profughi 1918

    Documento mandato da Innsbruck al Comune di Santa Massenza per corrispondere 1.400 lire per il mantenimento dei profughi. La data è del 4 ottobre 1918.
  • Rendita catastale 1890-1900

    Documento della rendita netta catastale nei Comuni del Distretto di Vezzano riferito al decennio 1890-1900.
  • La guerra raccontata da Tullio Daldoss

    Nel 2005, in occasione del 60 ° anniversario del Voto a San Valentino fatto dalla comunità dell'ex Comune di Vezzano, Tullio Daldoss di Ranzo racconta, in dialetto trentino, la sua esperienza durante la seconda guerra mondiale. Il 26 gennaio del '42 mi sono recato al distretto di Trento per rispondere alla cartolina di chiamata alle armi. Da qui venni mandato a Treviso dove rimasi fino a giugno per un breve periodo di addestramento militare. Quindi fui spedito con il mio reparto in Piemonte in attesa di essere mandato al fronte. Verso metà ottobre salii con tutto il battaglione sul treno per il fronte russo. Il 27 ottobre scendemmo dal treno alla stazione di un paese di cui non ricordo il nome (e devo dirti che i nomi delle località russe proprio non me li ricordo). Scesi dal treno, partimmo a piedi verso il fronte. La marcia durò 7 giorni. Giungemmo al distaccamento di notte, per non farci vedere dai russi, e qui c'erano ad attenderci i soldati, ai quali davamo il cambio, che subito partirono in direzione opposta per un periodo di riposo nelle retrovie. Stanchi morti ci gettammo sulle brande appena lasciate dai nostri commilitoni. Eravamo all'inizio di novembre. I russi erano abbastanza tranquilli; qualche scaramuccia, qualche bombardamento senza gravi conseguenze. Arrivammo al 12 dicembre. I russi attaccarono la divisione Sforzesca, che era distante da dov'ero io come da qui alla Cappella (usa sempre questi paragoni con località di Ranzo), quasi un chilometro, e li vedemmo passare oltre le nostre linee. Il giorno dopo li vedemmo tornare indietro e qualcuno diceva che erano stati respinti, ma io avevo la sensazione che per noi sarebbe stato l'inizio della fine. Infatti il giorno 16 attaccarono nuovamente e nessuno li fermò più fino al loro incontro con gli americani a Berlino. La sera del 19 dicembre arrivò l'ordine di ripiegare. All'alba, dopo aver attraversato paesi dei quali non ricordo il nome, siamo arrivati ai piedi di una collina, dall'alto della quale arrivava un rumore di spari. Tutto intorno si vedevano carri armati bruciare e la terra era coperta di morti; da quel paese andando avanti come da qui a Deggia (tre quattro chilometri) non si vedevano che cadaveri. Nonostante la stanchezza, il freddo e la paura, mi allontanai il più possibile dal campo di battaglia. Raggiunsi un gruppo di case e vidi che una era adibita a infermeria. Non riuscivo a stare in piedi così entrai e scoprii che la maggior parte dei ricoverati erano italiani. Mi sdraiai in un angolo e presi subito sonno. Al risveglio vicino a me vidi un infermiere russo. Lui parlava un poco l'italiano e disse che stavano arrivando i soldati russi. Con due italiani uscii dall'infermeria e ci incamminammo lungo lo stradone. Ci liberammo dei fucili e delle giberne. Non avevamo fatto che qualche centinaio di metri quando fummo raggiunti da una colonna di artiglieria russa. Alzammo le mani e restammo fermi. Al mattino, era il 22 dicembre, ci radunarono con altri prigionieri sullo stradone e cominciò la marcia che durò fino al primo gennaio, quando raggiungemmo la stazione ferroviaria. Dieci giorni di marcia senza mangiare, dormendo dove capitava, spesso all'aperto, con il freddo, la neve e il ghiaccio che ci bruciavano la pelle. Chi non ce la faceva moriva abbandonato in strada. Io ho cercato di aiutare qualcuno e sono stato aiutato da altri. Ma furono moltissimi quelli rimasti per strada. Alla stazione ci dettero finalmente una pagnotta da un chilo ogni 6 persone. Il nostro campo di prigionia era dedicato alla coltivazione del cotone. Questa attività ci impegnava tutto l'anno fra il seminare le piantine, a due a due ogni 35 centimetri, il zapparle e sradicare l'erba. Finalmente finì la guerra. Iniziarono le trattative fra il governo italiano e quello sovietico per lo scambio dei prigionieri. Fu raggiunto l'accordo di rimpatriare tutti fra il 15 e il 30 settembre. Il 6 ottobre eravamo ancora nei campi di cotone quando giunse un plotone ad ordinarci di rientrare in caserma. Salimmo su due treni che partirono uno la sera stessa e l'altro il giorno dopo. I vagoni erano abbastanza spaziosi e potemmo costruire delle cucine di mattoni per preparare qualche pasto caldo. Durante il viaggio siamo passati vicino a Mosca e siamo entrati anche in Berlino. Finalmente il 2 dicembre abbiamo passato il confine e siamo arrivati in Italia.
  • La guerra raccontata da Romano Beatrici

    Nel 2005, in occasione del 60 ° anniversario del Voto a San Valentino fatto dalla comunità dell'ex Comune di Vezzano, Romano Beatrici di Ranzo racconta, in dialetto trentino, la sua esperienza durante la seconda guerra mondiale. Sono partito con il mio reparto nel novembre del ’40, destinazione fronte greco-albanese. Siamo rimasti accampati a Carovigno, in Puglia, fino al febbraio del 1941, a causa del pattugliamento del mare da parte degli anglo-americani. Sbarcati a Vallona, siamo partiti a piedi verso il fronte sul monte Spadarit, dove da giorni infuriava la battaglia contro i greci. Io ero addetto al mortaio da 81. I combattimenti, fra vittorie e sconfitte, proseguirono fino all’arrivo dei tedeschi, così siamo tornati in Albania, vicino al fiume Vajussa. Passato un periodo di riposo, siamo partiti a piedi verso nord fino al confine con la Jugoslavia. Ora il nostro nemico era la Jugoslavia. Fra continue marce e battaglie, sia contro l’esercito Jugoslavo che contro i partigiani, siamo arrivati a settembre del ’42. Il 15 siamo partiti in treno diretti a Bussoleno, in Val di Susa, per combattere sul fronte francese. Qui ho potuto usufruire di una licenza di 30+2. Poco dopo il rientro, siamo partiti in treno per Modane, in Francia. Da qui abbiamo iniziato una marcia terribile verso Marsiglia: 470 Km, una scatoletta di carne e una galletta al giorno. 40 Km al giorno, mangiare barbabietole ghiacciate rimaste nei campi, noci rimaste fra le foglie lungo le strade. Dopo 2 settimane siamo arrivati a Orange, vicino a Marsiglia. Il nostro compito era di presidiare il territorio già conquistato dai tedeschi. Poi siamo passati a Digne, nell’alta Provenza, a controllare una polveriera; quindi a Grenoble. Eravamo qui l’8 settembre del ’43. Il nostro comandante ci consigliò di prendere lo zaino, attraversare le alpi e tornare in Italia. Durante la salita verso il passo del Moncenisio, mi catturò un soldato tedesco e mi condusse verso valle dove la maggior parte dei miei commilitoni stavano disarmati e tenuti a bada dai tedeschi. Poi tutti in marcia, sotto la minaccia dei fucili, attraverso il Moncenisio fino a Susa. Dopo una notte passata a dormire nelle stalle, al mattino ci fecero salire su una tradotta, 30 per vagone: se all’arrivo fosse mancato qualcuno, avrebbero fucilato 3 di noi per ognuno. Scoprimmo ben presto che la destinazione erano i campi di concentramento della Germania. Per mangiare, ci buttavano nel vagone una cassetta di mele mezze marce, che finivano sul pavimento lurido, coperto dai nostri escrementi. Il nostro campo era a Buchenwald. Eravamo forse più di 300.000. Per mangiare cominciavamo la coda alle dieci del mattino per riuscire a prendere una scodella di minestra, fatta di acqua bollita con qualche patata, alle volte dopo le quattro del pomeriggio. Un giorno ci radunarono tutti noi prigionieri italiani. Un generale tedesco, vecchio e con due enormi borse sotto gli occhi (gli ufficiali giovani e in salute erano tutti al fronte), attraverso un interprete ci disse di dividerci in tre gruppi: da una parte chi vuole andare al lavoro, dall'altra chi vuole andare con il Reich e per ultimi quelli che preferivano rimanere al campo. Quasi tutti siamo andati nel gruppo del lavoro; tre con il Reich e una trentina per rimanere al campo. L'interprete, piano piano disse ai trenta che volevano rimanere che correvano il rischio di prendersi un colpo in testa, così vennero nel nostro gruppo del lavoro. Il primo maggio del '45, verso le quattro del pomeriggio, entrò nella baracca un ufficiale tedesco: raus raus raus, andatevene a casa. Ci fece leggere un comunicato che diceva che dovevamo abbandonare l'Austria: chi viene trovato dopo il cinque maggio al di qua di Schwarzag, viene fucilato sul posto. Con due compagni la sera stessa siamo partiti in treno da Salisburgo. Siamo scesi a Spittal an der Drau e abbiamo fatto a piedi tutta la valle del Drava fino a San Candido, un centinaio di chilometri. Qui alcuni partigiani ci hanno fatto mangiare pane e formaggio dandocene anche un po' di scorta. Proseguimmo per Fortezza, sempre a piedi perché le linee ferroviarie erano state bombardate; altri ottanta chilometri. Anche Fortezza era stata bombardata così abbiamo proseguito a piedi giù attraverso Bressanone fino a Bolzano, 50 chilometri. Poi in treno fino a Trento dove ho salutato i compagni di viaggio prendendo il Buco di Vela diretto a Vezzano. Alle quattro del pomeriggio del quattro maggio ero al bar del Carlo Garbari a Vezzano. Dopo una modica bevuta, ho preso la strada dello Scal e prima di notte ero a Ranzo."
  • La guerra raccontata da Luigi Beatrici

    L'intervista è stata realizzata in vista delle celebrazioni del 60° del Voto a San Valentino, occasione in cui reduci e civili sono stati invitati a raccontare la loro esperienza di guerra. Il racconto di Luigi, classe 1919, parte dal 9 settembre 1943. Quel giorno stava rientrando in treno verso Lubiana dopo una breve licenza. Lungo la Valsugana seppe che il giorno prima c’era stato l’armistizio. Alcuni soldati che erano con lui scesero alla prima fermata e tornarono a casa. Lui pensò che fosse più giusto ritornare in caserma a ritirare il congedo. Durante il tragitto, un ufficiale consigliò i militari di passare dal comando di Trieste che lì avrebbero sbrigato le pratiche per il ritorno a casa. Dopo una notte al comando, arrivarono improvvisamente i soldati tedeschi che fecero tutti prigionieri. Dopo 5 giorni e 5 notti di treno Luigi arrivò a Stablack, vicino a Konigsberg, capitale della Prussia Orientale, oggi Kaliningrad. Qui rimase 15 giorni, durante i quali i tedeschi cercavano di convincere i prigionieri a combattere per il Duce, che era stato liberato dalla prigionia sul Gran Sasso. Qualcuno accettò di tornare a combattere; Luigi preferì rimanere prigioniero. Un commerciante tedesco di ferramenta lo prese come lavorante, così poté godere di un po’ di libertà ed ebbe da mangiare a sufficienza. Dopo una quindicina di giorni, i russi sfondarono il fronte vicino a Konigsberg. Luigi, con l’aiuto di un prigioniero ukraino, anch’esso al servizio dello stesso padrone, e di alcuni prigionieri, caricò la merce su 7 vagoni del treno (parte della merce rimase in magazzino, talmente era ricco il negoziante tedesco). Ma dopo un breve tragitto, il treno si bloccò perché i russi erano già lungo il percorso. Allora il padrone caricò su un carro tutta la merce che gli premeva di più e partì verso occidente con Luigi e l’ukraino. Sul Baltico, per sfuggire ai russi, furono costretti a rifugiarsi su un’isola vicina alla riva, percorrendo con il carro un tratto di mare ghiacciato. Qui dovettero fermarsi per un mese, costretti a mangiare anche i cavalli. Finalmente arrivò la notizia che la riva del Baltico era libera dai russi, così, a piedi, poterono riprendere il viaggio verso occidente. A un certo punto Luigi vide un gruppo di prigionieri che sotterravano dei cadaveri e fece questa considerazione: ”E digo da per mi, come fai a saver i soi che i gh’è chi, che quela isola del Baltico l’è piena de cadaveri!”. Ma già durante la prima notte vennero circondati dai russi. Allora si rifugiarono in una casetta nel bosco, abitata da una vecchietta sola. Mentre dormivano, arrivarono alcuni soldati russi e uno si prese gli scarponi di Luigi. Quando si svegliò e vide che mancavano gli scarponi, fu preso dalla disperazione: in quelle condizioni era una condanna a morte. La vecchietta si accorse del problema e cercò in casa delle scarpe dei parenti che forse erano in guerra o forse erano morti. Portò a Luigi un paio di scarponi che sembravano fatti su misura per lui; non sapeva più come ringraziarla. Ripresero il viaggio verso la Polonia. A un certo punto raggiunse quattro prigionieri italiani e con loro arrivò a Varsavia. Qui si consegnarono a un lager dei russi così almeno potevano mangiare. Finalmente finì la guerra. Era il 25 maggio. Il viaggio verso casa fu lungo e pieno di imprevisti: Luigi arrivò a Ranzo il 2 ottobre!
  • La guerra raccontata da Elio Faes

    L'intervista è stata realizzata in vista delle celebrazioni del 60° del Voto a San Valentino, occasione in cui reduci e civili sono stati invitati a raccontare la loro esperienza di guerra. Questo il sunto del contenuto: Partito in treno il primo gennaio del 1941, età 21 anni, destinazione Russia. Il treno fa sosta a Cracovia, in Polonia, per 8 giorni. Ripartenza per l’Ucraina. Scesi alla stazione (non specifica la città), partenza verso il fiume Don (dove c’era il fronte Germania-Italia contro Russia), a tappe forzate e a piedi: 35 o 40 Km al giorno per un mese. Sul Don vengo messo in prima linea in una postazione con mitraglia. L’obiettivo erano i russi sull’altra sponda del fiume. Tentavano l’attraversamento, ma cadevano come mosche: l’acqua era coperta di cadaveri. Scarseggiava il cibo: veniva portato una o al massimo due volte a settimana. Fortunatamente la zona era piena di campi di girasole; così si attenuavano i crampi della fame. Un giorno arrivano i bombardieri russi. Non c’erano ripari. Una bomba cade vicino e mi trovo con il mio compagno di mitraglia, coperto di sabbia per 30 centimetri. Gli altri commilitoni della postazione corrono sotto un albero pensando di essere al riparo. Una bomba centra in pieno l’albero e i miei amici: erano nove. Finito il bombardamento, il comandante ordina a me e al mio amico di raccogliere i poveri resti degli altri nove. Con il telo tenda abbiamo svolto la macabra raccolta: “averen binà su mez quintal de roba, en tut, e i era en nove”. Mi hanno poi cambiato posto. Facevo il porta ordini, dal comando al fronte, un paio di volte al giorno, qualche volta anche di notte. Un tratto di strada era allo scoperto e qualche volta ero il bersaglio del nemico; fortunatamente non avevano una grande mira. Alla fine del ’42 i russi sfondano il nostro fronte. Inizia la ritirata. Con il mio amico ci fermiamo in un paesino per procurarci del pane. Arriva un tenente, forse tedesco, con una slitta trainata da due cavalli: mentre entra a prendere il pane, saltiamo sulla slitta e scappiamo. Le strade erano coperte da 50 centimetri di neve. Nella slitta abbiamo trovato una forma intera di formaggio e una quindicina di chili di zucchero. Finalmente raggiungiamo una colonna di italiani e tedeschi a bordo di camion militari. Abbiamo abbandonato la slitta, ormai trainata da un solo cavallo perché l’altro era morto per strada, cercando di salire sui camion. Abbiamo visto dei soldati aggrapparsi alle sponde per salire e i tedeschi picchiarli sulle mani con il calcio dei fucili. Fra i tanti camion ne abbiamo trovato uno carico di italiani che ci hanno raccolti. Ci siamo fermati in una cittadina per essere visitati: alcuni sono stati dichiarati abili in grado di proseguire la guerra, io sono stato dichiarato “menomato” e quindi da far rientrare in Italia per seguire delle cure. In treno quindi siam partiti alla volta di Senigaglia dove sono rimasto 2 mesi. Il mio problema era la pelle mangiata dai pidocchi: praticamente di pelle non ne avevo più. Bagno tutto i giorni, unguenti e massaggi. E finalmente il ritorno a Ranzo.
  • Contratto di Mezzadria

    Contratto di mezzadria stipulato tra Emma Andreis e Adriano Bones datato 1930.
  • Restituzione Titoli del Prestito di Guerra Austriaco

    Documento dell' Ufficio Italiano di Verifica e Compensazione che testimonia la restituzione di titoli di prestito di Guerra austriaco nei confronti della Signora Emma Andreis di Vezzano.
  • Paket/Geld Bestellkarte (Buoni d'Ordine di Pacchi/Denaro)

    Si tratta di buoni d'ordine di pacchi e denaro dell'ufficio postale di Vezzano datati 4-5 e 9 dicembre 1916. Possiamo riconoscere il numero dell'ordine (Nummer), l’ufficio postale (Postamt), il destinatario (Empfänger),il valore (Wert), le spese postali (Zustellgebühr).
  • Coppia sul ponte della stretta

    Coppia fotografata da Ermenegildo Garbari sul ponte della stretta di Padergnone, fra il 1940 e il 1945: Ermenegildo girava con la sua macchina fotografica nei giorni di festa per vedere se qualcuno voleva farsi scattare una fotografia, per poter guadagnare qualcosa in più, ed è quello che probabilmente è capitato con questa coppia. Il ponte è ancora quello vecchio, e sullo sfondo si vede il canneto dalla parte del Lago di Toblino, con il pendio dietro che sale verso Calavino.
  • Memoria del denaro spedito a Giacomo Biotti

    Il documento certifica l'elenco dei fiorini spediti al militare Giacomo Biotti dal fratello: sono elencate le lettere nelle quali Giacomo richiedeva il denaro e sulla destra i fiorini che sono stati spediti. Al numero 6 è anche indicata "la spedizione di un paio di braghe" avvenuta il 3 agosto del 1858.
  • Lettere di Giacomo Biotti

    Queste lettere sono state scritte da Giacomo Biotti di Padergnone, negli anni 1856 e 1859. Dalle date e dai luoghi da cui scriveva, non è chiaro in quali guerre abbia combattuto. Nelle sue lettere Giacomo saluta i familiari indicando sempre il luogo e il battaglione nel quale si trova. In una in particolare domanda se la famiglia abbia del denaro da spedirgli, perché la paga da miliare è miserabile, ma se non si potesse, fa niente.
  • Bollette di pagamento imposte di consumo

    Alcune bollette riportanti importi e dati risalenti al 1930-1932 del (forse) signor Tomasi Ferruccio. Da notare di particolare nella seconda la parte dedicata al trasporto, che è stata compilata con orari precisi. A parte le cifre, le scritte sono purtroppo per lo più illeggibili. I francobolli hanno mantenuto il loro colore brillante.
  • Biglietto della lotteria nazionale

    Biglietto della lotteria nazionale completo della "Federazione Italiana Nazionale Fascista per la lotta contro la tubercolosi". Sulla parte destra della pagina finale campeggia uno dei motti di Mussolini.
  • Intervista a Diomira Grazioli

    Diomira Grazioli, nata nel 1939, ci racconta della sua famiglia, degli anni che spese facendo la maestra, dell'osteria gestita dalla sua famiglia in paese a Vezzano e i ricordi della Seconda Guerra Mondiale.
  • Ricordi d'infanzia di Maria Dallapè

    Sollecitata dalla nipotina, nonna Maria racconta la sua infanzia alla Berlonga - Stravino negli anni '50. Briscola, arrampicate con fantasia, salto alla corda, recitazione, lavoro, tanta comunità e dialogo coi compagni , ascolto delle esperienze e delle storie fantasiose degli adulti.
  • Divisa da Balilla

    Il fratello di Umberto Garbari con la divisa da piccolo Balilla e la M di Mussolini appuntata sul cappello. Alla sua sinistra, un carabiniere mostra la fascia sul braccio sinistro. Alla destra del bambino, probabilmente un parente. La foto è forse stata scattata nei pressi della scuola elementare di Vezzano nel periodo della Seconda Guerra Mondiale. Umberto ci racconta che suo padre era infastidito dal fatto che la divisa da Balilla costasse dieci lire, più della paga di un operaio dell'epoca, e non era possibile cucirsela.
  • Gemma Comai racconta la sua infanzia a Vigo Cavedine negli anni '50 -'60

    Sollecitata dalla nipotina, nonna Gemma racconta della sua infanzia ai bambini che partecipano al progetto "Giochi e filastrocche" organizzato in collaborazione tra l'Ecomuseo della Valle dei Laghi ed Istituto Comprensivo Valle dei Laghi-Dro. Per essere ben compresa dai bambini si rivolge in lingua italiana ma utilizza anche termini dialettali per dare più risalto ad alcuni termini come "bala" (palla), "pirlo" (trottola), "salasà" (selciato), "scondiléver" (nascondino), "zorla" (maggiolino).
  • El merler

    Presentazione del gioco del merler scolpito sulla roccia nei dintorni di Ciago. Le regole del gioco sono presenti nella scheda oggetto collegata.
  • Intervista ad Arrigo Pisoni

    Intervista ad Arrigo Pisoni, classe 1932, che ci parla della nascita del Consorzio per la valorizzazione del Vino Santo Trentino, nato il 30 settembre 1976, del quale Arrigo è stato presidente per 21 anni. Ci parla anche di come, in passato, era visto in Vino Santo, durante la Seconda Guerra Mondiale, e di come si sia lottato insieme per far riemergere questa perla della Valle dei Laghi.
  • Intervista a Giorgio Tozzi, proprietario della storica macelleria di Vezzano

    Giorgio Tozzi, classe 1942, ci parla delle origini della sua macelleria, spaziando fra ricordi e racconti, che vanno dalla Prima alla Seconda Guerra Mondiale, alle attività che una volta si svolgevano lungo la Roggia di Vezzano.
  • El pirlo

    Spiegazione e dimostrazione di un gioco molto diffuso un tempo tra i bambini di Vigo Cavedine. Il "pirlo" era una trottola di legno con puntale metallico che si metteva e tratteneva in movimento con l'uso di uno spago.
  • Il gioco delle cambrette

    In seguito al ritrovamento casuale in un orto di Ciago di un reperto risalente a circa 50 anni prima, riaffiorano in Attilio ricordi d'infanzia legati al paese natale di Vigo Cavedine. Si tratta di una "cambreta" ossia di un pezzetto di filo elettrico rigido piegato ad U che i bambini usavano in abbinamento ad un elastico per fare "el gioc dele cambrete", una rudimentale ma efficace fionda da utilizzare sia per giocare che per fare malanni. Come spiega e mostra nel video i bambini avevano le tasche piene di "cambrete" poiché una volta lanciate non era sempre facile ritrovarle: erano piccole, andavano lontano e, se colpivano qualcosa, rimbalzavano proseguendo lontano anche la corsa all'indietro.