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  • Tornio dei Bassetti

    Il tornio era collegato alla ruota idraulica tramite cinghie e pulegge allo scopo di bloccare e mettere un rotazione un pezzo di legno. Serve per arrotondare, levigare, forare, decorare... un legno posto in rotazione.
  • Bindella dei Bassetti

    La sega a nastro o bindella è fornita di una sega a nastro circolare che ruota su due volani (ruote) di cui il superiore folle, mentre l'inferiore era collegato alla ruota idraulica tramite cinghie e pulegge. Nella foto storica qui presente vediamo che il suo uso era passato alla trazione tramite motore elettrico. Questa "bindèla" è stata recuperata ed utilizzata per arredare l'ingresso della casa. Nella foto ravvicinata si vede bene la lama ed il guida lama in legno duro che impediva alla stessa di uscire dal volano durante l'avanzamento del legname da tagliare.
  • Falegnameria Gentilini

    Anche nell’edificio in Via Borgo 10 un mulino venne trasformato in falegnameria, questa volta dai Gentilini, che proseguirono la loro attività fino al 1966. Terminava con questo edificio il canale di derivazione della Roggia Grande. Dopo aver fatto girare l’ultima ruota idraulica di Vezzano, l’acqua che ne usciva si univa a quella di una vicina sorgente per tornare poi nella Roggia Grande poco più a sud. Il sito di Ecomuseo con gli approfondimenti è raggiungibile qui:
  • Panificio Tecchiolli

    È nell’edificio in Via Borgo 18 che i Tecchiolli hanno iniziato la loro attività di panificatori prima di trasferirsi a Cavedine. Avevano iniziato come fabbri, poi sono passati alla macinazione ed infine hanno aggiunto anche la panificazione. Il sito di Ecomuseo con gli approfondimenti è raggiungibile qui:
  • Francesco Trentini

    Rinomato scultore di Lasino nato il 15 febbraio 1876 e morto il 25 maggio 1966. Per conoscere la vita e le opere di questo scultore rimandiamo all'approfondita ricerca svolta da un gruppo di lavoro con capofila il Comune di Madruzzo:
  • Laboratorio di ceramiche Pardi

    In Via Borgo 20 Guido e Mario Pardi, provenienti da Roseto degli Abruzzi, hanno lavorato la ceramica dal 1931 al 1966. La loro produzione artistica si è avvalsa anche della preziosa collaborazione con il noto artista di Lasino Francesco Trentini, al quale è dedicato un sito:
  • Artieri del Trentino - ceramica

    L'articolo presenta la lavorazione della ceramica in Trentino distinguendo le fabbriche di laterizi, da quelle di ceramiche usuali e di ceramiche artistiche. Si sofferma poi fra queste ultime a descrivere in particolare La "Ceramica Trentina", fabbrica costruita da Antonio Leonardi a Vezzano. È estratto dalla rivista "Artieri del Trentino" - Numero unico di propaganda per l'attività artigiana e piccola industria. La copia qui presente è stata lasciata da Mario Pardi nel suo laboratorio di ceramista di Vezzano e conservata da chi ha acquistato e ristrutturato l'edificio.
  • Mulino Garbari

    Nell’edificio in Via Borgo 22, nel 1979 si è fermato il mulino Garbari, l’ultimo alimentato dalla ruota idraulica a Vezzano, cosa ormai rara, tanto da essere documentata sulla neonata rete televisiva RAI 3, secondo quanto ci viene raccontato. Non sappiamo da quando era in funzione, ma per almeno un paio di secoli ha dato lavoro e sostentamento alla famiglia Garbari, che ad inizio '900 ha sostituito il mulino a pietra con uno metallico a cilindri rendendo la produzione molto più rapida. I pezzi del mulino a cilindri, smontati e numerati, sono stati conservati nell’ipotesi di una futura ricostruzione da parte della Comunità di Valle. Una coppia di macine (palmenti) del precedente mulino a pietra è conservata al Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all’Adige ed una macina è inserita nell’aiuola della pace presso il teatro di Valle a Vezzano. Come in tutte le famiglie, anche in questa qualcuno ha cambiato attività: Quintino e il figlio Giuseppe tra il 1949 e l 1951 si sono dedicati alla falegnameria occupandosi di un settore particolare: la costruzione delle botti. Il sito di Ecomuseo con gli approfondimenti è raggiungibile qui:
  • Ex derivazione fucina Manzoni

    Seppure con una funzione diversa, possiamo ancora vedere la breve derivazione della Roggia Grande che portava alla fucina Manzoni. Da lì partiva un canale (doccia), prima in legno e poi sostituito con uno in ferro, che fiancheggiava l'edificio e portava l'acqua sopra le ruote idrauliche. L'acqua tornava quindi subito nella roggia: energia rinnovabile al 100%.
  • Tante ruote idrauliche sulla stessa casa

    Su questa piccola sezione della mappa del catasto austriaco del 1860 sono indicate le ruote idrauliche attive in quel momento a Vezzano sulle case all'entrata del paese ed il ponte che superava la Roggia Grande con quella che un tempo era l'unica via di accesso al paese per chi veniva da Trento.
  • Ora laboratorio Manzoni ma un tempo...

    -------------- Lavorazione del rame -------------- In questo edificio Franco Manzoni continua l'attività storica di famiglia di lavorazione artigianale del rame, con vendita dei prodotti, iniziata dal bisnonno Pietro nell'edificio che si trova poco sotto a questo:
  • Vecchi prodotti fucina Aldrighetti

    L'officina Aldrighetti produceva per lo più piccoli attrezzi, ne vediamo qui alcuni appesi nella casa dell'attuale proprietario.
  • Bót de l'òra Aldrighetti

    Si vede qui la parte sopraelevata dal terreno della tromba idroeolica, in dialetto locale "bót de l'òra", della fucina Aldrighetti. Nella copertura in pietra della botte si vedono due fori: dal foro grande entrava l'acqua che vi arrivava da un alto tubo alimentato da una deviazione della Roggia Grande; dal foro piccolo usciva l'aria compressa dentro un tubo che arrivava alla fucina mantenendo quindi il fuoco vivo così da raggiungere le alte temperature necessarie alla lavorazione del ferro.
  • caradór

    il carradore era l'artigiano che costruiva i carri, unendo abilità da falegname ad altre da fabbro
  • Il mulino dei Faes - Burati

    Essendo ambedue Faes i mulini documentati presenti a Fraveggio, li descriviamo utilizzando il soprannome di famiglia del ramo dei Faes che li possedeva, in questo caso i "Buràti". La storia di questo mulino si perde nella notte dei tempi e, come già raccontato nell'introduzione ai mulini di Fraveggio, è documentato che nel 1545 un mulino Faes fosse già attivo e che i figli di Antonio Faes nato nel 1574 avessero assunto il soprannome "Burati", dal nome del buratto, strumento usato nel mulini per separare la farina per granulometria. Nel 1933 questo mulino non era più in servizio, ma possiamo supporre che sia stato dismesso pochi anni prima poiché Giuseppe Faes, bambino a quel tempo, ricorda che si divertiva ad entrare nella cucina di Vittorina e Luigi (Gigi) Faes “Burat” e, tramite una leva, muovere la doccia esterna in legno che portava l’acqua dall'alto sulla grande ruota idraulica a cassetta, anch'essa di legno, mettendo così in moto, anche solo per gioco e per brevi momenti, la ruota ormai scollegata dal mulino che si trovava un tempo al piano di sotto. Possiamo quindi supporre che questo mulino fosse stato attivo almeno tra il 1540 e il 1920. L'acqua della roggia che alimentava la sua ruota idraulica arrivava a Fraveggio dalla cascata del torrione, posta un po' più avanti di dove si trova ora. Per oltre un secolo ha alimentato anche il mulino-falegnameria dei Faes "Nocènti", quindi scorreva a fianco del Vicolo dei mulini per poi dividersi in due rami; all’altezza della chiesa, attraversava il vicolo per affiancare il mulino dei Burati. Ora scorre interrata, solo un pezzo della pietra che la copriva nel tratto in cui attraversava il vicolo è ancora lì, nel punto in cui termina la pavimentazione in porfido ed inizia lo sterrato. Dismesso il mulino, l’edificio fu venduto ai Bressan che nel tempo l’hanno completamente ristrutturato a fini abitativi. Gli attuali proprietari, attenti alle tradizioni, hanno recuperato dai muri dell’orto due macine in pietra, le hanno ripulite e posizionate accanto all’entrata del vecchio mulino per recuperare così alla memoria l’originale utilizzo della casa in cui vivono. --- Bibliografia:
  • Il mulino dei Faes - Nocenti

    Storia del mulino-falegnameria Essendo ambedue Faes i mulini documentati presenti a Fraveggio, li descriviamo utilizzando il soprannome di famiglia del ramo dei Faes che li possedeva, in questo caso i "Nocènti". Presumiamo che la costruzione di questo mulino sia opera dei fratelli Innocenzo e Virgilio Faes, figli di Giovanni Battista Faes "Burat", i primi a prendere il soprannome di "Nocènt", secondo quando risulta dai registri parrocchiali. Essendo loro nati rispettivamente nel 1810 e 1820, possiamo dedurre che probabilmente questo edificio sia successivo al 1830; quel che è certo è che nella mappa del 1860 il mulino era indicato. La relazione statistica della Camera di Commercio e dell’Industria di Rovereto del 1880 cita la presenza di due mugnai attivi a Fraveggio. La memoria degli anziani di Fraveggio ci riporta poi a inizio novecento quando il mulino venne trasformato in falegnameria. L’unica traccia giunta fino a noi di questo vecchio mulino è la presenza di mezza macina di granito in un muro di sostegno nel cortile davanti alla casa. Innocenzo Faes, annata 1890, l'ultimo artigiano di Fraveggio ad utilizzare la ruota idraulica, portò avanti con passione l’attività di famiglia di falegname, continuando a lavorare fin dopo i 70 anni, per poi chiudere definitivamente. Funzionamento del mulino-falegnameria Il mulino dei Nocenti, inserito al piano terra di un alto e stretto edificio, si trovava poco sotto la cascata del torrione. Come vediamo nella mappa storica, la ruota era collocata in origine alla metà del lato maggiore dell’edificio, al tempo più corto e senza sporgenze, al quale, al termine della Grande Guerra, venne aggiunta la cubatura visibile oggi. La falegnameria Faes, che inizialmente si avvaleva di una ruota in legno per ricavare l’energia meccanica, adottò negli anni Trenta una turbina metallica alla quale aveva collegato anche una dinamo per la produzione di corrente continua che gli permetteva di illuminare casa e laboratorio. La turbina, custodita dagli attuali proprietari dell’edificio, è conservata nelle campagne di Fraveggio. Avendo la roggia una portata limitata, al di sopra della cascata, vi era una derivazione con una piccola vasca di carico da cui partiva un tubo che, seguendo la morfologia del terreno, raggiungeva l’edificio e scendeva nel sottosuolo fino al piano interrato della casa dove convogliava il getto d’acqua sopra ad una piccola ruota idraulica metallica, del tipo a cassetta, prima di tornare nuovamente nella roggia. Muovendo una stanga pensile che arrivava all’interno del mulino, l’artigiano riusciva a regolare la posizione del tubo e di conseguenza la quantità d’acqua che cadeva sulla ruota, modificando così la velocità di rotazione dell’albero di trasmissione e dei macchinari ad esso collegati, fino a fermarli. L’artigiano aveva il laboratorio al piano terra fornito di diverse macchine, tra cui: la sega a nastro (detta bindella), la pialla, il tornio e la sega circolare collegate attraverso un sistema di pulegge e cinghie all’albero motore della ruota idraulica situato nel seminterrato. I bambini del tempo ricordano “el Nozent” accedere da una botola al seminterrato dove con un sistema di leve spostava le cinghie da una puleggia all’altra facendo in tal modo funzionare un macchinario diverso al piano superiore. Molti dei suoi attrezzi e dei sistemi di collegamento alle varie macchine erano progettati e costruiti con ingegno da lui stesso. Produceva assi, mobili, serramenti, botti, pavimenti, bare ed una particolare specialità: “scalzi dei sciòpi” (calci di fucile) realizzati su misura, generalmente in legno di ciliegio. Rapporti Mulino - Consorzio Irriguo Interessante il connubio tra falegnameria “del Nozènt” e il consorzio che realizzò l’impianto irriguo per le campagne di Fraveggio. A lavori ultimati, nel 1939, per mantener fede all’impegno di non arrecar danno alla precedente utilizzazione di questo opificio, il Consorzio irriguo comperò un motore elettrico da utilizzare in luogo della ruota idraulica per il periodo da aprile a settembre, quando la roggia veniva utilizzata a scopo irriguo, pagando nel contempo i relativi consumi di energia. Il bello della ruota idraulica era che non consumava acqua: l’acqua faceva girare la ruota producendo energia meccanica, e successivamente anche energia elettrica, poi tornava nella roggia per proseguire il suo corso. In questo caso scorreva a fianco del Vicolo dei mulini e, all’altezza della chiesa, lo attraversava per affiancare il mulino dei Burati. Ora scorre interrata, solo un pezzo della pietra che la copriva nel tratto in cui attraversava il vicolo è ancora lì, nel punto in cui termina la pavimentazione in porfido ed inizia lo sterrato. --- Bibliografia:
  • Antichi mulini di Fraveggio

    Il paese di Fraveggio è attraversato ancora oggi da una roggia che precipita, in forma di cascata, nel terreno sottostante in direzione del Lago di Santa Massenza. L’importanza fondamentale di questo corso d’acqua si rintraccia sia nell’evocativo toponimo “Vicolo dei Molini” sia nei resti di due antichi opifici. Le prime testimonianze, portate alla luce dagli studi del celeberrimo etnografo trentino Giuseppe Sěbesta, si datano al 1545 e ricordano “Un torchio “sotto la fontana” presso l’acquedotto del mulino dei Faes”. Un successivo documento ufficiale del 1553, conservato nell’archivio storico di Vezzano, attesta inoltre che “Giordano "Molesini" da Fraveggio costituisce a favore di Giovanni Maria del fu Giacomo un censo perpetuo di 2 staia di frumento, assicurato sopra un appezzamento di terra arativa, vineata e prativa del valore di 4 staia di semente, sito nelle pertinenze di Fraveggio, in località "su al Molin", al prezzo di 12 ragnesi del valore di 5 lire ciascuno”. Il catasto asburgico, fonte fondamentale e ricca d’informazioni per gli studi trentini, segnala l’esistenza di due mulini a Fraveggio nel 1860. Infine, un ulteriore elemento interessante si ritrova nella relazione statistica della Camera di Commercio e dell’Industria di Rovereto del 1880 che cita la presenza di due mugnai attivi nel borgo. Nel 1933 il neonato Consorzio irriguo di Fraveggio “domanda la concessione dell’acqua della roggia di Fraveggio” dichiarando che “Il compimento delle opere e l’esercizio dell’impianto non danneggerà le due attuali utilizzazioni, - la piccola derivazione per forza motrice del sig. Innocenzo Faes, ed il pubblico lavatoio in piazza di Fraveggio-.” Il mulino Faes a fianco della chiesa non era più in servizio, ma possiamo supporre che sia stato dismesso pochi anni prima poiché Giuseppe Faes, bambino a quel tempo, ricorda che si divertiva ad entrare nella cucina di Vittorina e Luigi (Gigi) Faes, soprannominato “Burat” e, tramite una leva, muovere la doccia esterna in legno che portava l’acqua alla ruota idraulica mettendo così in moto, anche solo per gioco e per brevi momenti, la ruota ormai scollegata dal mulino che si trovava un tempo al piano di sotto. A quanto possiamo ricavare dall’analisi della preziosa ricerca genealogica fatta da Ettore Parisi, il ramo Faes dei “Burati” vanta un’antica origine: i primi registrati con questo soprannome sono i figli di Antonio Faes nato nel 1574. Il buratto è uno strumento per setacciare la farina, soprannome quindi che rimanda alla professione di mugnaio. Fra i Burati, i primi registrati col soprannome “Nocent” sono i fratelli Innocenzo e Vigilio Giacomo nati nel 1810 e nel 1820; della famiglia dei “Nocenti”, poi chiamati “Nozènti”, era l’ultimo mulino attivo a Fraveggio. --- Bibliografia:
  • Cartolina di Cavedine

    L'ingrandimento in formato 50x70 cm, scansionato in questa occasione, mostra una cartolina di Cavedine di inizio '900. Nella parte superiore è raffigurata una panoramica della chiesa di S. Maria Assunta con in primo piano il cimitero. Nella fotografia sottostante la nuova officina elettrica industriale. In quegli anni infatti la Cooperativa si ampliò con un edificio a nord. Sulla sinistra si vede la tettoia della segheria che venne ingrandita nel settembre del 1900 dopo soli tre mesi dall'inaugurazione. Nella vecchia segheria era presente un magazzino per derrate alimentari e agrarie. Sulla facciata si nota la statua di S. Giuseppe collocata nel 1908.
  • Sfilata allegorica promozionale Vino Santo Roncher al Carnevale di Arco

    L'ingrandimento in formato 40x30 cm, scansionato in questa occasione, mostra un carro allegorico realizzato da Costante Roncher per il carnevale di Arco. Lo scopo era di promuore il "Vin Sant" (Vino Santo) realizzato dalla premiata ditta Costante Roncher di Cavedine.
  • Fabbrica di carri agricoli a Stravino

    L'ingrandimento in formato 70x50 cm, scansionato in questa occasione, rappresenta un gruppo di persone presso la fabbrica di carri agricoli a Stravino. Si dovrebbe trattare del primo carro per il trasporto di legname costruito da "Tombol" ai "Forti" di Stravino. Secondo gli appunti rinvenuti rispetto a questa fotografia il secondo uomo da sinistra verso destra è "Minicoto Gnoc", a seguire "Tombol" o "Rodolfo Pederzolli" e "Cesare Gnoc". Secondo altri appunti la fotografia rappresenta un carro costruito da Rodolfo Pederzolli (papà di Vittore).
  • Il primo edificio della Cooperativa

    L'ingrandimento in formato 70x50 cm, scansionato in questa occasione, rappresenta il primo edificio della Cooperativa, inaugurato il 13 maggio 1900. Una parte del piano terra è occupato dalla segheria che verrà trasferita dopo pochi mesi sotto una tettoia sulla sinistra dello stabile.
  • I taglialegna

    L'ingrandimento in formato 40x30 cm, scansionato in questa occasione, mostra un sacerdote e un taglialegna che per l'occasione si sono messi in posa, simulando l'operazione del taglio manuale del tronco. Qualcuno riconosce il luogo o i protagonisti o il contesto dello scatto?
  • Il formaggio - cartellone

    Cartellone realizzato dai bambini della classe prima primaria di Vezzano in collaborazione con Ecomuseo della Valle dei Laghi nel 2019 per la mostra "Animali e cereali nel progetto memoria". Illustra la produzione del formaggio così come i bambini hanno aiutato il casaro a fare.
  • Il burro - cartellone

    Cartellone realizzato dai bambini della classe prima primaria di Vezzano in collaborazione con Ecomuseo della Valle dei Laghi nel 2019 per la mostra "Animali e cereali nel progetto memoria". Illustra la procedura utilizzata un tempo per la produzione del burro.
  • Il travaglio di Ciago

    "El travài" era stato realizzato dopo la chiusura della fucina Lucchi verso la metà degli anni '40 del Novecento dall'associazione dei contadini di Ciago. Essendo un paese contadino, essa riuniva tutte le famiglie; aveva altri macchinari in comune così come aveva fondato il caseificio sociale, il consorzio irriguo, il negozio cooperativo e il consorzio elettrico. Avere in paese questo importante strumento permetteva di chiamare periodicamente a Ciago il maniscalco evitando di dover portare tutti gli animali a Vezzano per la regolare ferratura. Negli anni '60 l'uso è diventato sempre più saltuario fino a diventare uno strumento di gioco dei bambini, poi una tettoia ed infine è stato demolito.