Contenuti
Modello
Oggetto fisico
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Macina del mulino Pisoni "Tonati"
Macina inferiore fissa, proveniente dal vicino molino Pisoni "Tonati", utilizzata nel 1996 come elemento di arredo urbano a ricordo della fiorente attività molitoria diffusa un tempo in paese. -
Opera di presa e lavatoio Scalfi
L'opera di presa in pietra che alimentava la "bót de l'òra" e la ruota idraulica della fucina Scalfi partiva a monte di una delle tante cascate della roggia di Calavino. Sulla vasca di raccolta dell'acqua possiamo vedere la lastra di pietra inclinata usata per lavare. -
Bót de l'òra Scalfi
Racchiusa nell'angusto spazio tra le opere di presa e l'argine della roggia questa "bót de l'òra" conserva intatta la sua parte in pietra. Nella copertura superiore si possono notare i due spazi aperti affiancati in cui erano infissi i tubi necessari per l'entrata dell'acqua e per l'uscita dell'aria. Da questa apertura si può osservare sul fondo il palo in legno dove sbatteva l'acqua per produrre l'aria ossigenata, necessaria alla fucina per mantenere il fuoco vivo così da raggiungere le alte temperature indispensabili alla lavorazione del ferro. -
Mazzetto di "lino delle fate piumoso" e il gioco dei "boacéti"
A dirla correttamente si tratta di un mazzetto di "Stipa pennata" o "lino delle fate piumoso", pianta perenne poco diffusa in valle, che fiorisce tra maggio e luglio. Le spighette esposte al sole e al caldo si aprono diventando piumose. Nelle foto si vede lo stesso mazzo nelle due diverse situazioni. Lo si usa per addobbare i cappelli tirolesi insieme all'immancabile piuma, ma quello che riportiamo qui è il gioco dei "boacéti". Emanuele Pisoni, classe 1948 di Calavino, lo faceva da bambino con gli amici. I ragazzi preparavano un mazzetto di quest'erba che cresceva solo in un luogo a Calavino, lo intingevano nella calce conservata nel “calcinèr” e lo lanciavano sul muro di una casa. Si spiaccicava e rimaneva attaccato per breve tempo alla parete come una “boàcia” (escremento di vacca), di qui il nome del gioco. Vinceva chi la faceva rimanere più tempo sulla parete. Gli raccontavano che quelli più vecchi di lui li intingevano proprio nelle "boàce". Ci conferma questa versione Dolores Zuccatti, classe 1933 di Ciago, che andava con la sua amica Luigia poco sopra il paese a ricercare quest'erba particolare e difficile da trovare, che chiamavano "molina". Ne raccoglievano uno stelo qua ed uno là, finché riuscivano a farsi il loro mazzetto. Rientrate in paese, infilzavano gli spuntoni sporgenti dalle spighe nelle "boàce", che si trovavano frequenti nelle vie sterrate o selciate, e si divertivano a lanciarle lontane. -
Ricostruzione di un mulino a palmenti in scala ridotta
La ricostruzione di un mulino in forma ridotta, ma perfettamente funzionante, è stata fatta su un'idea ed a spese di Emanuele Pisoni. Come per la segheria, è stato subito affiancato da Fabio Bassetti che ha costruito la struttura portante e da Ferruccio Morelli che ha realizzato le parti in metallo; il resto è stato tutta opera sua: ruota, lubecchio, lanterna e tramoggia. Le macine in pietra sono state fatte da Giancarlo Pozzani di Stravino, noto scalpellino. Massima attenzione è stata data ai particolari, compreso l'elevatore per la rabbigliatura delle macine. Il mulino è smontabile così da poterlo trasportare e ricostruire in luoghi diversi. Una pompa permette il movimento e ricircolo dell'acqua, indispensabile al moto della ruota idraulica, laddove non possa essere collegato direttamente ad una roggia. -
Il pestino dei Ricci "Dinòti"
I pezzi di questo pestino a mole sono stati recuperati dal mulino Ricci Dinòti e montati nel giardino della casa di fronte da Sandro Ricci. A quanto ricorda il pestino è stato acquistato dalla sua famiglia con l'intenzione di affiancarlo alle macine del mulino ma non è mai stato montato nel mulino stesso. -
Il pestino dei Pisoni "Biasi"
Ad oggi il pestino dei Pisoni "Biasi" è a pezzi, ma chissà che un giorno non riprenda vita. All'interno della stanza adibita a mulino, per terra, si trova ancora il basamento circolare di pietra del pestino; ha 130 cm di diametro, è incavato ad anello, vi è in centro il foro per l'albero motore in ferro e sui bordi rialzati vi sono 2 punzoni in ferro su cui era fissato l'anello in legno che completava il contenitore. Sul "castello" del mulino, appoggiati al muro dietro le macine e le solforatrici, ci sono l'anello in legno, alto 20 cm, e una delle ruote di pietra (mole) dal diametro di 70 cm. L'altra "mola" gemella è invece all'esterno dell'edificio. -
Ricostruzione di una sega veneziana in scala ridotta
"Io sono la Sega Veneziana e devo la mia rinascita alla “pazzia”, caparbietà e un pizzico di ingegno di tre signori che mi hanno voluto riesumare dalla mia ormai decennale dipartita. Erano gli anni cinquanta-sessanta quando, dopo centinaia di anni di onorato servizio, ho dovuto lasciare spazio alla incombente tecnologia moderna. Si dice che io sia nata da un'idea di Leonardo da Vinci; bene c'è da crederci, perché nonostante i miei movimenti siano apparentemente di una semplicità estrema, i vari sincronismi, indispensabili per il buon funzionamento, sono stati un bel grattacapo per coloro che mi hanno riportato alla vita, segno che il grande Leonardo ha dovuto pensarci un po' prima di darmi un'anima. Certo che il mondo d'oggi è cambiato totalmente da quando operavo paziente governata da un silenzioso e instancabile “Segheta”. Quel mondo incantato oggi non c'è più. Quando l'acqua movimentava la mia ruota e io cominciavo a sezionare le “bòre” e il “Segheta", come un burattinaio comandava serioso ogni movimento, era musica, musica vera, come quella delle grandi opere, tanto che i passanti si fermavano ad osservare incuriositi a bocca aperta. A conferma di questo, cioè che quel mondo non c'è più, ho dovuto accettare un compromesso per la mia rinascita e funzionare, qualche volta, a secco visto che l'acqua nelle piazze non c'è . L'importante però è testimoniare in modo realistico il ruolo che ho avuto per centinaia di anni e ringrazio questi tre signori che mi hanno dato questa possibilità. I protagonisti . I tre protagonisti citati sono tre coscritti del 1948 di Calavino che oltre ad avere la stessa età sono accomunati da molte altre cose. Tutti e tre figli di artigiani del legno, tutti e tre appassionati della storia dei vecchi mestieri e curiosi di conoscere i segreti (che rischiano di rimanere tali) delle vecchie macchine e attrezzi di un tempo, per questo si son messi in testa di costruire la Sega Veneziana, strumento di lavoro che ha avuto vita fino agli anni sessanta. In particolare a Calavino l'ultima Sega Veneziana è stata smantellata nel 1968 a casa Pisoni “Segheti”. Si spera che dopo mesi di lavoro certosino questa ricostruzione possa dare testimonianza vera della storia “recente” del nostro paese che in realtà sembra lontana anni luce. CALAVINO 15 giugno 2008 Morelli Ferruccio — Pisoni Emanuele — Bassetti Fabio" Questo citato è il testo predisposto dagli autori in occasione della prima attivazione della loro segheria alle feste madruzziane di Calavino del 2008. Nelle foto si vede la stessa sega pronta per l'edizione 2016 della stessa festa e di seguito la sega in funzione all'edizione 2018 del festival etnografico presso il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina. Qui la storia della segheria citata: -
Derivazione del mulino Miori
Subito sotto il "Molin dela Gioana" parte la derivazione un tempo a servizio del mulino Miori, prima per muovere la ruota idraulica e poi per produrre energia elettrica, funzione utilizzata ancor oggi. -
Derivazione "Molin del Pero"
La derivazione del "Molin del Pero" era fornita di un bacino di carico seguito da un'altra paratoia e quindi dallo stretto canale che portava l'acqua alla ruota idraulica. Ormai tutto è in disuso e la paratoia è sgangherata. -
Macine del "Molin dela Gioana"
All’esterno di quello che un tempo era il "Molin dela Gioana", adagiate in una splendida aiuola di lavanda, sono visibili due coppie di macine qui utilizzate. In primo piano c'è una macina superiore posizionata in modo da vedere la sua concavità ed il foro centrale, dal quale passava sia il grano sia l'albero rotante che ruotava questa macina grazie ad una sbarra di ferro a farfalla (nottola) incastrata negli appositi incavi. Essa è appoggiata sulla più robusta macina inferiore che rimaneva fissa e serviva da appoggio a quella superiore rotante. Intorno ha ancora l'anello in ferro che permetteva la fuoriuscita della farina in un solo punto. -
Pietra con feritoia
Questo elemento in pietra con feritoia conservato all'interno dell'ex "Molin del Pero" serviva, in coppia con un altro, a sostenere l’albero motore del mulino, il quale trasmetteva il movimento della ruota idraulica esterna alle macine in pietra all'interno del mulino. All'esterno dell'edificio una stampa presenta questi elementi dell’antico opificio. -
Paratoia presso il "Molin del Pero"
La paratoia in legno apre e chiude la deviazione di parte dell'acqua della Roggia Grande verso il canale di derivazione che la portava sulla ruota del "Molin del Pero". Ad oggi rimane chiusa e la blocca. -
Carro in miniatura
Non è certo se questo carro sia stato realizzato da Tullio Morandi o da suo padre, Casimiro; quel che è certo è che rispecchia fedelmente la struttura dei carri che realizzavano nel loro laboratorio. Il piano di carico, detto scalà, si può togliere proprio come nella realtà e sotto ha fissato la cassa degli attrezzi. Tolto quello si può osservare meglio la struttura del carro ed il sistema frenante (martinicca) azionato dalla manovella ("macanìcola") posta sul retro che agiva su una trave ("mànghen") sospesa al bilancino ("balanzìn") e terminante con ceppi di legno ("ciòchi") che andavano a spingere sulle ruote. Sul retro veniva decorato nel rispetto del gusto del compratore. Per approfondire la conoscenza del carro si consiglia lettura di Retrospettive (1990-3) - pag. 18-23: -
"Bót de l'òra" Manzoni
La botte della tromba idroeolica, "bót de l'òra" in dialetto, dei Manzoni è oggi conservata presso il Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina - San Michele all'Adige e la si può vedere ricostruita nel cortile all'entrata. È stata lasciata in parte aperta per poter vedere la pietra su cui batteva l'acqua al suo interno. -
Bót de l'òra Morandi
Cinquant'anni dopo l'abbandono, la tromba idroeolica, in dialetto locale "bót de l'òra", dei Morandi permette ancora di capirne la struttura. Vista dal basso possiamo notare la grande botte di pietra, l'alto tubo che formava la cascata, parte del canale che le portava l'acqua ed il tubo più sottile che entrava nella fucina per fornire ossigeno al fuoco. La vista da fuori è quello che possiamo osservare anche percorrendo via Ronch. -
Scaffale degli attrezzi
Su questo scaffale della falegnameria Bassetti trovavano posto pialle (quella grande era chiamata "piona"), scalpelli, seghe e cassettine piene di attrezzi e materiali. -
Cinghia e puleggia
La puleggia costituiva un importante organo di trasmissione del movimento dalla ruota idraulica (e successivamente dal motore elettrico) ai vari macchinari del mulino, tramite cinghie in cuoio. -
Tornio dei Bassetti
Il tornio era collegato alla ruota idraulica tramite cinghie e pulegge allo scopo di bloccare e mettere un rotazione un pezzo di legno. Serve per arrotondare, levigare, forare, decorare... un legno posto in rotazione. -
Bindella dei Bassetti
La sega a nastro o bindella è fornita di una sega a nastro circolare che ruota su due volani (ruote) di cui il superiore folle, mentre l'inferiore era collegato alla ruota idraulica tramite cinghie e pulegge. Nella foto storica qui presente vediamo che il suo uso era passato alla trazione tramite motore elettrico. Questa "bindèla" è stata recuperata ed utilizzata per arredare l'ingresso della casa. Nella foto ravvicinata si vede bene la lama ed il guida lama in legno duro che impediva alla stessa di uscire dal volano durante l'avanzamento del legname da tagliare. -
Vecchi prodotti fucina Aldrighetti
L'officina Aldrighetti produceva per lo più piccoli attrezzi, ne vediamo qui alcuni appesi nella casa dell'attuale proprietario. -
Tracce della derivazione verso via Borgo
Queste tracce testimoniano ancor oggi il punto in cui la derivazione principale della Roggia Grande andava a sfiorare i caseggiati lungo via Borgo, che ospitavano diversi opifici, a partire dalla fucina Aldrighetti. Questa derivazione è stata dismessa e completamente chiusa nel 2001 subito dopo le grandi piogge seguite da esondazioni. -
Bót de l'òra Aldrighetti
Si vede qui la parte sopraelevata dal terreno della tromba idroeolica, in dialetto locale "bót de l'òra", della fucina Aldrighetti. Nella copertura in pietra della botte si vedono due fori: dal foro grande entrava l'acqua che vi arrivava da un alto tubo alimentato da una deviazione della Roggia Grande; dal foro piccolo usciva l'aria compressa dentro un tubo che arrivava alla fucina mantenendo quindi il fuoco vivo così da raggiungere le alte temperature necessarie alla lavorazione del ferro. -
Resto della lastra sulla roggia
La roggia scorre ora interrata all'interno del paese di Fraveggio. Un tempo scendeva dalla cascata del torrione e scorreva in superficie di fianco al vicolo dei mulini che poi attraversava raggiungendo il mulino dei Burati. Sopra quel tratto di attraversamento della roggia c'era una lastra di pietra, di cui il pezzo qui fotografato rimane testimone. -
Le macine dei "Burati"
Gli attuali proprietari, attenti alle tradizioni, hanno recuperato dai muri dell’orto due macine in pietra, le hanno ripulite e posizionate accanto all’entrata del vecchio mulino per recuperare così alla memoria l’originale utilizzo della casa in cui vivono. Si tratta di una coppia di macine (palmenti) dalla struttura ben identificabile, poste una sopra l'altra e appoggiate inclinate al muro. La macina inferiore, che rimaneva fissa, è qui in parte coperta dall'altra ma si può notare l'orlo in pietra e l’apertura laterale che portava la farina nel buratto o in un sacco. La macina superiore, rotante, è qui posizionata in modo da vedere la faccia inferiore incavata, che combaciava perfettamente con quella inferiore convessa. Si notano inoltre le scanalature, che favorivano la macinazione del grano e la fuoriuscita della farina, gli incassi a farfalla, nei quali era incastrata una sbarra di ferro (nottola) fissata all'albero rotante della macina passante per il foro centrale della macina inferiore, ed il foro centrale dal quale entrave il grano.