Parte di una mangiatoia in legno in disuso che ci permette di vedere i fori nel legno davanti ("ciòc dela magnadòra") in cui veniva inserita la catena a cui erano legati mucche e buoi.
Capestro per due buoi con cavicchio in ferro collegato all'anello del capestro da una catena. Tutto il resto è in cuoio. L'anello in corda di cuoio intrecciata è rinforzato da un rivestimento in cuoio.
Attrezzo formato da una tavoletta metallica con lamine sporgenti da un lato e cinghia di pelle dall'altro. La cinghia veniva inserita nella mano e sfregando gli animali con le lamine di ferro si toglieva loro lo sporco dal mantello.
La Paganella proietta la sua ombra sulla parte alta della parete Sud del Monte Becco di Corno, un'ombra che disegna un enorme abete, "pézza" in dialetto locale, essa si fa sempre più evidente tra le 10 e le 11 ora solare, per poi affievolirsi e scomparire dopo mezzogiorno. È dunque un orologio solare naturale che, considerati i quasi 2000 metri di altitudine, è visibile in un vasto territorio.
Ai nostri valligiani contadini e pastori, privi di orologio, l'osservazione e l'identificazione di quell'ombra era ovvia e per fortuna non è stata distrutta dalla costruzione della strada.
Il messaggio offerto dall'ombra era per loro chiaro: per i pastori era ora di avviarsi verso casa con le bestie al pascolo, per i contadini era ora della pausa per il pranzo e presto sarebbe arrivato qualche bambino a portare il pranzo. I contadini infatti, se erano lontani da casa, si fermavano in campagna e consumavano il pranzo all'ombra di qualche albero, per poi continuare il loro lavoro senza dover rifare di nuovo la strada. Era invece compito dei bambini e delle bambine portare il pranzo ai genitori.
Così ne parlava Nereo Cesare Garbari in un articolo del 1970 riportato a pag. 13 del notiziario comunale, che invitiamo a leggere:
Sulle falde del Monte Gazza un'ombra che disegna un grande 1, alta una cinquantina di metri, si fa sempre più evidente tra le 9 e le 10 ora solare, per poi affievolirsi e scomparire dopo le 11. È dunque un orologio solare naturale visibile da diversi luoghi del "Pedegagia".
La si può osservare volgendo lo sguardo verso la strada di Ranzo, poco sotto il tracciato appena superata la "galleria" in salita.
Ai nostri valligiani contadini e pastori, privi di orologio, l'osservazione e l'identificazione di quell'ombra era ovvia e per fortuna non è stata distrutta dalla costruzione della strada.
Il messaggio offerto dall'ombra era per loro chiaro: per i pastori era ora di avviarsi verso casa con le bestie al pascolo, per i contadini era ora della pausa per il pranzo e presto sarebbe arrivato qualche bambino a portare il pranzo. I contadini infatti, se erano lontani da casa, si fermavano in campagna e consumavano il pranzo all'ombra di qualche albero, per poi continuare il loro lavoro senza dover rifare di nuovo la strada. Era invece compito dei bambini e delle bambine portare il pranzo ai genitori.
Così ne parlava Nereo Cesare Garbari in un articolo del 1970 riportato a pag. 12 del notiziario comunale, che invitiamo a leggere:
Legatura di cinghia e fune in cuoio che veniva posta intorno alle corna del bue e fissata con una "cavicèla" nella parte anteriore del timone con la funzione di permettere al bue di frenare quando il carro spingeva avanti il timone.
È formata da due cinghie in cuoio da porre intorno alle corna (cornére) unite a un corda in cuoio intrecciato formante tre anelli (anèi) ed un cavicchio di legno fissato con una corda ad un anello.
Punto in fondo alle strade di montagna in cui il carro a due ruote (bròz") veniva trasformato in carro a quattro ruote.
Parte della strada aveva uno sorta di alto scalino coperto sotto il quale veniva posizionato il "mèz car" con due ruote grandi o il "carriöl" con due ruote piccole.
Il bue veniva fatto scendere col "bròz" lungo la strada curvando in modo da far arrivare sopra il "brozzadór" la parte posteriore del carico a strascico e sotto il "brozzadór" il bue che gli girava a fianco.
A quel punto i conduttore agganciava il "mèz car" o il "carriöl" sotto il carico a strascico.
Con l'aggiunta delle due ruote posteriori il "bròz" veniva così trasformato in un carro a quattro ruote, adatto a proseguire il viaggio al piano.
Giogo per un solo bue. C'è il tipo applicato alla fronte e assicurato alle corna e quello che si applica alla nuca dell’animale. Il tipo di giogo per un solo bovino ("gioàt") è collegato tramite catene ad un bilancino ("balanzin").
Foglia che protegge la pannocchia del mais. Essiccata veniva usata un tempo per riempire annualmente i materassi, detti "paión de sfoiàzzi" o "paión de sfoióni"
È una pianta erbacea molto resistente anche in climi freddi e aridi. Raggiunge il metro di altezza e produce fiori a grappolo di colore bianco o rosa. Pur non essendo un cereale veniva coltivato per la produzione di farina dai suoi semi, piccoli e triangolari. Insieme alla farina di frumento veniva usata per fare il pane ed insieme alla farina di mais per fare la polenta taragna.
Veniva coltivato per produrre la farina gialla per fare la polenta (anche con l'aggiunta di farina di orzo e di "formentón", ossia grano saraceno) e la "mòsa", ma si sfruttavano anche le altre parti della pianta:
- con la trinciaforaggio (“machina dala pastùra”) si tagliavano le cime alle piante quando erano ancora verdi, per dare da mangiare agli animali;
- con le brattee secche (sfoiàzi) si facevano i materassi, ogni anno si lavavano le fodere dei materassi e si cambiavano le foglie; con le foglie vecchie si faceva il letto alle mucche;
- le brattee secche venivano usate anche per costruire bamboline;
- con la “cassèla” si tagliavano gli steli secchi ("strami") per fare il letto alle mucche (farlèt);
- i tutoli ("sgasegòtoi") si usavano per accendere il fuoco, si mettevano tra le lucaniche appese a stagionare e talvolta si mettevano nei muri in "maltampaia".