Cartolina non viaggiata. Riporta la descrizione: Padergnone m. 286 - Trentino - La Chiesa".
Scorcio della chiesa curaziale antica padergnonese dei santi Filippo e Giacomo di prima fabbrica risalente almeno al 1520, raffigurata sul lato meridionale con l'affresco del San Cristoforo e il campanile, a valle del gruppo del Gazza coperto di neve.
Davanti alla chiesa, il vecchio Monumént dei Caduti, ora spostato sul lato est fuori campo dell'edificio sacro; fra la chiesa e casa Walzl, l'antico portico del Lunèl, ora demolito e recante l'alloggio per il vecchio albo comunale.
A sinistra, l'altura protourbana dei Crozzòi, sostenuta dall'alto muro, edificato intorno alla metà dell'Ottocento per far posto al primitivo tracciato dello Stradon, e ospitante un rudimentale traliccio di legno per la corrente elettrica che fa da contraltare a quello più moderno che s'intravede alla sua destra.
Questi "pali della luce" del 1921 sono una preziosa testimonianza dell'operosità dei nostri avi che realizzarono la rete di distribuzione dell'energia elettrica in paese costituendo il Consorzio Elettrico di Padergnone, investendo risorse proprie e molto lavoro di volontariato, compreso quello di andare nei boschi a tagliare il legname necessario, trasportarlo e piantarlo lì dove serviva, per poi passare tutto all'Enel nel 1964 con un indennizzo irrisorio per quanto realizzato.
Oltre il paese, il grande traliccio dell'alta tensione per il trasporto dell'energia anche fuori regione, ci testimonia la presenza della Centrale Idroelettrica di Santa Massenza entrata in funzione nel 1952.
Da queste informazioni si desume la datazione approssimativa della fotografia.
Il cementificio di Padergnone, sorto nel 1902 per volontà di Giuseppe Miori e del suo socio Graffer, frantumava le marne estratte dalla vicina Lasta dei Conti, dapprima a suon di mazza, poi avvalendosi di magli azionati dalla forza motrice dell'acqua della Roggia Grande. Nel 1924 venne installata una turbina (utilizzata inizialmente a turno con il Nuovo Mulino Miori) che trasformava l’energia idraulica in elettrica per: scaldare il forno, cuocere le marne, frantumare le pietre con la macina e perfino illuminare le abitazioni vicine. L’opificio, venduto nel 1943 alla famiglia Bassetti di Vezzano, fu adattato alla produzione di legname da opera e di imballaggi. Quest’attività andò scemando negli anni successivi portando alla sua chiusura negli anni ‘60– ‘70 del Novecento.
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Bibliografia:
Per approfondimenti si invia alla lettura di pag. 371, 379 383-388,394 del testo qui consultabile:
Il percorso degli antichi mulini di Padergnone si snoda principalmente a partire dall’incrocio tra via XII Maggio e via San Valentino, attraversa i Vòlti dei Caschi, segue via Montagnola ed infine percorre via di Pendè. Lungo questo itinerario il visitatore può leggere i pannelli dedicati, scoprire la storia degli antichi opifici del paese e notare le differenze esistenti tra gli antichi edifici e quelli odierni.
Sono stati collocati sei pannelli illustrativi che descrivono le caratteristiche e le vicende dei seguenti stabili: “mòlin dei Pradi” e la sega del “tòf”, “mòlin del Pero”, “mòlin de la Giòana” e le pescicolture Miori, Nuovo Mulino Miori ed infine cementificio Miori (trasformato nell’ex segheria Bassetti) ed il perduto opificio della famiglia a Prato.
Nel corso dei secoli a Padergnone furono sicuramente attivi 4 mulini e 5 opifici costruiti lungo il corso della roggia che attraversa ancora oggi il centro abitato. Nel 1881 la Camera di Commercio e d’Industria di Rovereto testimonia la presenza di 3 mugnai attivi a Padergnone.
Diverse testimonianze si possono rintracciare e ricavare anche dalla lettura e dall’analisi delle leggi, diretta espressione dei bisogni e della necessità di regolamentare lo sfruttamento delle risorse naturali del territorio. È interessante ricordare in particolare l’articolo 78, presente nella copia posteriore della Carta della Regola del XVII secolo, che prevedeva la deviazione della roggia dal naturale corso sui prati, nei giorni festivi, da “un vespero ad un altro”. In tale periodo di tempo, era infatti proibito ai mugnai di far refluire l’acqua nel suo letto, per garantire il movimento della ruota del mulino, a meno che un Vicino non si trovasse nell’urgente bisogno di macinare il proprio grano.
La popolazione di Padergnone, ispirata dalla fede e dall’importanza socio-economica dei mulini, ha creato ed attribuito dei proverbi ai tre più antichi opifici del paese. Al “Mòlin dei Pradi” è stata associata la frase “Dio ‘l te aiuta”, al “Mòlin del Pero” il motto “Se ‘l podrà ‘l te aiuterà” ed al “Mòlin de la Giòana” il detto “El pòl se ‘l vòl”. Queste espressioni, pronunciate più volte a voce alta, imitano la velocità stessa della roggia che da lenta diventa sempre più rapida.
La tradizione locale ha riportato questi proverbi nel “Coro dei Molini”, un canto che ripropone con cadenza ritmico-musicale la potenza dell’acqua della Roggia Grande.
Si ringraziano per le preziose testimonianze e la collaborazione: Assunta Mauro, Pierluigi Daldoss, Maria e Valentino Sommadossi, Claudio Miori ed Ezio Bressan.
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Bibliografia:
Questa cartolina ricorda una solenne cerimonia religiosa in cui i fedeli portano lunghe candele. Si nota la presenza di tre preti, davanti a loro il coro esclusivamente maschile, dietro di loro una bambina con un mazzo di fiori e un uomo con un gonfalone abbassato. Sotto lo stemma sabaudo il portone è aperto e ornato da due grandi drappi.
Non abbiamo informazioni certe su questa foto per cui possiamo fare solo ipotesi.
Potrebbe essere una processione ferma nei pressi di uno degli altarini che venivano costruiti tradizionalmente in ogni piazza in occasione delle processioni eucaristiche, che seguivano proprio questo itinerario.
Potrebbe essere un funerale partito proprio dalla casa con lo stemma sabaudo. Un tempo era d'uso in alcuni paesi della nostra valle che ogni famiglia partecipante ad un funerale ricevesse una lunga candela. Arrivati a casa, essa veniva tagliata in parti ed utilizzata per illuminare la casa e nel contempo ricordare il defunto.
Riguardo la localizzazione, è riconoscibile lo stesso scorcio già descritto nella foto
Candida Gentilini muore nella canonica di Calavino il 6 aprile 1891, dove viveva col fratello mons. Luigi Gentilini.
La memoria ricorda anche il fratello Augusto, cappellano di Lasino, morto nel 1871 "nella robusta età di XXXXI anni".
Il trigesimo è un rito funebre nel trentesimo giorno dalla morte del defunto.
Da notare che si fa riferimento a "Masi Lasino" e "Sarche Masi" in quanto "Pergolese" è un neotoponimo che appare ufficialmente per la prima volta il 23 agosto 1968 nel decreto provinciale n° 1568 R/B. Prima di questa data il nome ufficiale del paese era proprio "Masi Lasino".
Memoria in cartoncino rigido piegato a metà.
L'interno verticale contiene la foto ovale incollata sulla memoria in un apposito spazio decorato e la descrizione della sua vita religiosa.
L'esterno invece è orizzontale.
Così è stato ricordato nella sua memoria:
"Prelato domestico di SS Leone XIII, Cavaliere dell'ordine di Francesco Giuseppe, membro dell'o. r. Accademia degli Agiati, cittadino onorario di Arco Dro-Ceniga Terlago Vigolo Baselga e Lasino, per più anni Deputato alla Dieta e al Palamento.
Nato il 22 febbr.1812 Prete dal 23 sett.1834 fu Coop. a Castelnovo Parroco a Lizzana Decano per anni quarantasei a Calavino ove morì il 18 giugno 1900."
In occasione della benedizione della "Madonnina" posta nel capitello al bivio tra le strade selciate di Covelo e Ciago, un nutrito gruppo di persone raggiunge il luogo a bordo di un motocoltivatore che svolge per l'occasione la funzione di bus. Il frate, che sostituisce il parroco del paese don Silvio Vogt, anziano ed indisposto a salire lassù, sale a piedi come altre persone.
In primo piano una Giardinetta, automobile con le curiosa carrozzeria con parti in legno.
Sullo sfondo la chiesa con le bandierine che si usava appendere in occasione della sagra; era infatti il 22 luglio, ricorrenza della patrona Santa Maria Maddalena.
Dietro la foto la dedica riporta:
"Alla nostra cara zia e cugini in segno di affetto e riconoscenza offriamo.
Angelina d'anni 21, Santa 19, Olga 14, Noemi 5".
Le 4 sorelle sono accanto alla tomba della loro mamma morta a seguito della Spagnola all'età di 43 anni, mentre era in attesa del tredicesimo figlio.
La tomba era coperta di ghiaino, circondata da archetti di legno, con in testa una crocifisso di ferro finemente lavorato davanti al quale c'era un rosaio. Intorno c'era prato. Sul muro di cinta verso il privato c'era una recinzione col filo spinato.
Le donne portavano scuri vestiti lunghi fino ai piedi, le bambine vestiti chiari più corti.
In questo tratto del paese di Lon, la vecchia piazza, era presente un antico portale che racchiudeva il cortile di una casa, ed incorporava un grande capitello. Sotto l'arco si vede una donna dal nero vestito lungo fino ai piedi. Sulla destra due "bène" sono appoggiate all'alto muro di sostegno dell'orto. Di fronte, un cancello costruito con sottili pali chiude l'accesso ad un portico.
La strada è sterrata ma davanti al capitello e nei cortili interni si intravede il selciato (in dialetto "salasà").
In questo capitello, poi distrutto nel corso dei lavori di ristrutturazione verso il 1970, era presente un dipinto raffigurante San Rocco. Durante il Corpus Domini e la Via Crucis questa era una tappa fissa dove ci si fermava a pregare, ed il 17 gennaio, ricorrenza di Sant'Antonio abate protettore degli animali e del paese, davanti ad esso veniva portato il bestiame per essere benedetto dal sacerdote.
Quattro ragazze portano la statuetta della Madonna da collocare nel capitello fatto qualche anno prima sulla strada per il Monte Gazza, al bivio fra Ciago e Covelo. Intorno si muovono altri partecipanti alla solenne cerimonia.
Due musicisti dilettanti suonano fisarmonica e chitarra sul poggiolo davanti alla porta della cucina. Sotto quel poggiolo, che collegava la strada alla cucina/entrata della casa, scorreva la roggia e c'era la grande ruota idraulica del mulino di Cappelletti Remo. La casa sarà poi ampliata.
Situata al centro dell'abitato, accanto al lago, la Chiesa di Santa Massenza, è orientata verso est. Si presenta in stile neogotico, con una facciata a capanna con due spioventi ed un portale ad ogiva. La torre campanaria è posizionata sul lato a nord.
Se ne hanno tracce a partire dal 1198, quando viene ricordata in un documento su pergamena.
Verso la fine del XV secolo la vecchia chiesa viene sostituita da un nuovo edificio, ad opera di religiosi appartenenti alla congregazione dei celestini delle vicine Sarche e i lavori vennero ultimati nel 1520
Ottenne dignità curiaziale nel 1806 e nel 1872 il vescovo di Trento Benedetto Riccabona de Reichenfels decise di ampliarla. La piccola chiesetta ebbe così una nuova navata, unita al presbiterio del XVI secolo. La solenne consacrazione venne celebrata nel 1879.
Durante gli anni venti del '900, le volte sia della sala sia del presbiterio vennero decorate. Ottenne dignità parrocchiale nel 1963.
Gli ultimi interventi che hanno interessato l'edificio si sono avuti nel 2002 quando tutti gli impianti ed i serramenti sono stati rinnovati, e il restauro ha riguardato anche le grandi vetrate e gli spazi della parte della sacrestia.
Sulla destra vediamo un uomo intento ad attingere acqua da un pozzo per caricare un'irroratrice manuale, mentre sulla sinistra è visibile il cancello ligneo del Palazzo Vescovile menzionato a p.10 della pubblicazione "Ville, torri e palazzi di Vallelaghi : Padergnone, Santa Massenza e Terlago".
La data è ricavata dal timbro postale.
La cartolina è scritta da una villeggiante "servita come una principessa".
Il palazzo vescovile nel 1905 venne venduto a privati e trasformato in albergo, fece di Santa Massenza la "Piccola Nizza de Trent" attirando molti turisti da tutto il Tirolo.
Nel 1947 iniziarono a riempire la parte settentrionale del lago coi materiali di scavo provenienti dalle gallerie per la costruzione della centrale idroelettrica, allontanando così il palazzo dal lago.
La foto pubblicitaria dell'albergo risale quindi a questo arco temporale, come si vede era collegato con una scala alla darsena.
Si tratta di un corposo volume di oltre 500 pagine, in grande
formato, arricchito da oltre 2.000 fotografie, curato da Danilo Mussi in collaborazione con diversi storici della valle.
L’idea nasce con l’intento di valorizzare e testimoniare quella presenza cristiana che da sempre ha coinvolto le nostre genti, non solo nelle monumentali espressioni di fede come chiese e santuari, ma anche nei più piccoli e popolari “segni di fede”, come i capitelli, le cappellette, le Vie Crucis, le croci ed i crocifissi, gli affreschi sacri, le piccole nicchie ed edicole poste sulle facciate delle case, o su tronchi d’albero o seminascoste lungo le strade dei paesi, nei boschi, in montagna. Né mancano le lapidi sparse, i monumenti ai caduti, i cimiteri, espressioni di desiderio di dare pace ai defunti accostandoli al loro ricongiungimento a Dio.
Un lavoro durato tre anni, iniziato nei primi mesi del 2010, una certosina mappatura che si è concretizzata nell’esposizione di un percorso che dalla conca di Terlago si è portata nel Vezzanese per continuare in Val di Cavedine, e terminare nella zone dei laghi di Cavedine e Toblino. Un percorso che oltre a riportare notizie storiche, artistiche, culturali dei manufatti ritrovati, arricchendole con altre informazioni e curiosità, illustra attraverso un corposo numero di fotografie ed immagini la loro reale ed attuale presenza.
[Recensione di Attilio Comai su Retrospettive n. 48 del 2013]
Molto interessante questo scorcio con la casa dalla nicchia col crocifisso ligneo e l'epigrafe, che si trova di fronte alla chiesa. Più dietro si vede l'ex canonica e sulla casa in primo piano una bacheca pubblica.
Interessantissimi i mezzi di trasporto qui presenti: i carretto a due ruote trainato dal mulo, poco oltre il carro a quattro ruote con la "bèna" per il trasporto di materiali ed in primo piano una "civéra", specie di carriola con lunghi manici per il trasporto di pietrame ed altro materiale pesante.
Deduciamo si tratti di una processione o comunque di una ricorrenza religiosa dalle arcate di pino; il cartellone posto in alto farebbe pensare all'accoglienza di un nuovo parroco, dato che negli anni '30 a S. Massenza si sono succeduti diversi curati. Potrebbe trattarsi dell'arrivo di don Mirafiore Gamberoni nel 1936, di don Germano Poli nel 1937, di don Carlo Vivaldelli nel 1938, o di don Angelo Cazzoli nel 1940. Oppure potrebbe trattarsi addirittura di una visita vescovile in paese. In ogni caso, la posizione della folla all'entrata dell'abitato suggerisce comunque l'idea di un'accoglienza. In questo frangente la gente sembra intenta ad ascoltare il coro, visibile sulla sinistra.