Mulini

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  • Bót de l'òra Morandi

    Cinquant'anni dopo l'abbandono, la tromba idroeolica, in dialetto locale "bót de l'òra", dei Morandi permette ancora di capirne la struttura. Vista dal basso possiamo notare la grande botte di pietra, l'alto tubo che formava la cascata, parte del canale che le portava l'acqua ed il tubo più sottile che entrava nella fucina per fornire ossigeno al fuoco. La vista da fuori è quello che possiamo osservare anche percorrendo via Ronch.
  • Falegnameria Gentilini

    Anche nell’edificio in Via Borgo 10 un mulino venne trasformato in falegnameria, questa volta dai Gentilini, che proseguirono la loro attività fino al 1966. Terminava con questo edificio il canale di derivazione della Roggia Grande. Dopo aver fatto girare l’ultima ruota idraulica di Vezzano, l’acqua che ne usciva si univa a quella di una vicina sorgente per tornare poi nella Roggia Grande poco più a sud. Il sito di Ecomuseo con gli approfondimenti è raggiungibile qui:
  • Panificio Tecchiolli

    È nell’edificio in Via Borgo 18 che i Tecchiolli hanno iniziato la loro attività di panificatori prima di trasferirsi a Cavedine. Avevano iniziato come fabbri, poi sono passati alla macinazione ed infine hanno aggiunto anche la panificazione. Il sito di Ecomuseo con gli approfondimenti è raggiungibile qui:
  • Mulino Garbari

    Nell’edificio in Via Borgo 22, nel 1979 si è fermato il mulino Garbari, l’ultimo alimentato dalla ruota idraulica a Vezzano, cosa ormai rara, tanto da essere documentata sulla neonata rete televisiva RAI 3, secondo quanto ci viene raccontato. Non sappiamo da quando era in funzione, ma per almeno un paio di secoli ha dato lavoro e sostentamento alla famiglia Garbari, che ad inizio '900 ha sostituito il mulino a pietra con uno metallico a cilindri rendendo la produzione molto più rapida. I pezzi del mulino a cilindri, smontati e numerati, sono stati conservati nell’ipotesi di una futura ricostruzione da parte della Comunità di Valle. Una coppia di macine (palmenti) del precedente mulino a pietra è conservata al Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina di San Michele all’Adige ed una macina è inserita nell’aiuola della pace presso il teatro di Valle a Vezzano. Come in tutte le famiglie, anche in questa qualcuno ha cambiato attività: Quintino e il figlio Giuseppe tra il 1949 e l 1951 si sono dedicati alla falegnameria occupandosi di un settore particolare: la costruzione delle botti. Il sito di Ecomuseo con gli approfondimenti è raggiungibile qui:
  • Ex derivazione fucina Manzoni

    Seppure con una funzione diversa, possiamo ancora vedere la breve derivazione della Roggia Grande che portava alla fucina Manzoni. Da lì partiva un canale (doccia), prima in legno e poi sostituito con uno in ferro, che fiancheggiava l'edificio e portava l'acqua sopra le ruote idrauliche. L'acqua tornava quindi subito nella roggia: energia rinnovabile al 100%.
  • La derivazione Manzoni

    Nel tratto della Roggia Grande che fiancheggia la SS45bis poco sopra l'abitato di Vezzano parte la derivazione che alimenta il bacino di carico dei Manzoni. Una paratoia metallica regolabile con una saracinesca permette di gestire l’afflusso d’acqua nella diramazione.
  • Ora laboratorio Manzoni ma un tempo...

    -------------- Lavorazione del rame -------------- In questo edificio Franco Manzoni continua l'attività storica di famiglia di lavorazione artigianale del rame, con vendita dei prodotti, iniziata dal bisnonno Pietro nell'edificio che si trova poco sotto a questo:
  • Bacino di carico Manzoni

    Il laghetto artificiale dei Manzoni, in parte svuotato, permette di vedere bene il bacino di carico e la condotta che porta alla turbina per l'autoproduzione di energia elettrica, interna all'edificio. Un tempo il bacino era a servizio delle numerose ruote idrauliche presenti su questo edificio e su quelli sottostanti, garantendo un più costante afflusso di acqua. Dietro la vasca si intravede l'acqua in entrata proveniente da una derivazione della Roggia Grande.
  • Le macine dei "Burati"

    Gli attuali proprietari, attenti alle tradizioni, hanno recuperato dai muri dell’orto due macine in pietra, le hanno ripulite e posizionate accanto all’entrata del vecchio mulino per recuperare così alla memoria l’originale utilizzo della casa in cui vivono. Si tratta di una coppia di macine (palmenti) dalla struttura ben identificabile, poste una sopra l'altra e appoggiate inclinate al muro. La macina inferiore, che rimaneva fissa, è qui in parte coperta dall'altra ma si può notare l'orlo in pietra e l’apertura laterale che portava la farina nel buratto o in un sacco. La macina superiore, rotante, è qui posizionata in modo da vedere la faccia inferiore incavata, che combaciava perfettamente con quella inferiore convessa. Si notano inoltre le scanalature, che favorivano la macinazione del grano e la fuoriuscita della farina, gli incassi a farfalla, nei quali era incastrata una sbarra di ferro (nottola) fissata all'albero rotante della macina passante per il foro centrale della macina inferiore, ed il foro centrale dal quale entrave il grano.
  • La roggia di Fraveggio

    Fraveggio è attraversato da una roggia che deriva dalla sorgente Canevin Malea all’altezza di Lon, il paese soprastante. Questa viene arricchita dalle acque dei rivi di Garubol e Fossà provenienti dai locali acquedotti potabile e irriguo. La roggia arriva in paese dalla cascata al torrione, leggermente spostata nel 2007, come si vede nella foto pubblicata a pag.17 del notiziario comunale n.3 di quell'anno (sotto riportato). Scorre lungo il Vicolo dei Molini, dietro la chiesa di san Bartolomeo e si divide in due rami intubati nel sottosuolo del centro storico. Una parte scorre a fianco della toresela, attraversa la strada e raggiunge la campagna dove sempre nel 2007 è stata realizzata una vasca di decantazione. L’altra prosegue sotto la piazza biforcandosi nuovamente, alimentando il lavatoio, affianca la canonica e si riunisce per attraversare gli orti e precipitare in una suggestiva cascata assieme all’altro ramo. Raccoglie le acque sgorganti a Paltan, alle Rogiòle e ai Tovi, alimentando nel contempo l’acquedotto irriguo di Santa Massenza. Continua la sua discesa affiancando verso Est la loc. Campagna, fino ad arrivare in località Vai da dove prosegue intubata sotto la zona utilizzata dagli impianti della centrale idroelettrica. Raccoglie le acque di deflusso del depuratore (in media 11 l/s) e sfocia infine nel lago di Santa Massenza a quota 245 mslm, dopo un percorso di 1900 metri. Una roccia costruita dall'acqua Nei pressi delle cascate si verifica un fenomeno molto curioso: la formazione del travertino, chiamato anche “el tof per far i vòlti”. Il travertino è un tufo calcareo poroso e leggero che si forma con le particelle di minerali (carbonato di calcio) portate dall’acqua. L’acqua, nebulizzata intorno alla cascata, evapora ed i minerali in essa contenuti formano la roccia inglobando all’interno resti vegetali, come foglie o ramoscelli, che poi si decompongono, lasciando al suo interno dei buchi e conferendole il caratteristico aspetto spugnoso. Questo tufo leggero, isolante e relativamente resistente, veniva estratto facilmente ed utilizzato nella costruzione di avvolti, intercapedini, pareti non portanti (“strameze”), ma si vede in un vecchio edificio situato fra i due mulini di Fraveggio un esempio di uso anche per la costruzione della parte più alta delle pareti esterne. L’opificio che si occupava della lavorazione del tufo era “la sega per el tof” ed in zona era presente a Padergnone, poco sotto la chiesa di San Valentino in agro, e a Terlago. --- Bibliografia:
  • Il mulino dei Faes - Burati

    Essendo ambedue Faes i mulini documentati presenti a Fraveggio, li descriviamo utilizzando il soprannome di famiglia del ramo dei Faes che li possedeva, in questo caso i "Buràti". La storia di questo mulino si perde nella notte dei tempi e, come già raccontato nell'introduzione ai mulini di Fraveggio, è documentato che nel 1545 un mulino Faes fosse già attivo e che i figli di Antonio Faes nato nel 1574 avessero assunto il soprannome "Burati", dal nome del buratto, strumento usato nel mulini per separare la farina per granulometria. Nel 1933 questo mulino non era più in servizio, ma possiamo supporre che sia stato dismesso pochi anni prima poiché Giuseppe Faes, bambino a quel tempo, ricorda che si divertiva ad entrare nella cucina di Vittorina e Luigi (Gigi) Faes “Burat” e, tramite una leva, muovere la doccia esterna in legno che portava l’acqua dall'alto sulla grande ruota idraulica a cassetta, anch'essa di legno, mettendo così in moto, anche solo per gioco e per brevi momenti, la ruota ormai scollegata dal mulino che si trovava un tempo al piano di sotto. Possiamo quindi supporre che questo mulino fosse stato attivo almeno tra il 1540 e il 1920. L'acqua della roggia che alimentava la sua ruota idraulica arrivava a Fraveggio dalla cascata del torrione, posta un po' più avanti di dove si trova ora. Per oltre un secolo ha alimentato anche il mulino-falegnameria dei Faes "Nocènti", quindi scorreva a fianco del Vicolo dei mulini per poi dividersi in due rami; all’altezza della chiesa, attraversava il vicolo per affiancare il mulino dei Burati. Ora scorre interrata, solo un pezzo della pietra che la copriva nel tratto in cui attraversava il vicolo è ancora lì, nel punto in cui termina la pavimentazione in porfido ed inizia lo sterrato. Dismesso il mulino, l’edificio fu venduto ai Bressan che nel tempo l’hanno completamente ristrutturato a fini abitativi. Gli attuali proprietari, attenti alle tradizioni, hanno recuperato dai muri dell’orto due macine in pietra, le hanno ripulite e posizionate accanto all’entrata del vecchio mulino per recuperare così alla memoria l’originale utilizzo della casa in cui vivono. --- Bibliografia:
  • Il mulino dei Faes - Nocenti

    Storia del mulino-falegnameria Essendo ambedue Faes i mulini documentati presenti a Fraveggio, li descriviamo utilizzando il soprannome di famiglia del ramo dei Faes che li possedeva, in questo caso i "Nocènti". Presumiamo che la costruzione di questo mulino sia opera dei fratelli Innocenzo e Virgilio Faes, figli di Giovanni Battista Faes "Burat", i primi a prendere il soprannome di "Nocènt", secondo quando risulta dai registri parrocchiali. Essendo loro nati rispettivamente nel 1810 e 1820, possiamo dedurre che probabilmente questo edificio sia successivo al 1830; quel che è certo è che nella mappa del 1860 il mulino era indicato. La relazione statistica della Camera di Commercio e dell’Industria di Rovereto del 1880 cita la presenza di due mugnai attivi a Fraveggio. La memoria degli anziani di Fraveggio ci riporta poi a inizio novecento quando il mulino venne trasformato in falegnameria. L’unica traccia giunta fino a noi di questo vecchio mulino è la presenza di mezza macina di granito in un muro di sostegno nel cortile davanti alla casa. Innocenzo Faes, annata 1890, l'ultimo artigiano di Fraveggio ad utilizzare la ruota idraulica, portò avanti con passione l’attività di famiglia di falegname, continuando a lavorare fin dopo i 70 anni, per poi chiudere definitivamente. Funzionamento del mulino-falegnameria Il mulino dei Nocenti, inserito al piano terra di un alto e stretto edificio, si trovava poco sotto la cascata del torrione. Come vediamo nella mappa storica, la ruota era collocata in origine alla metà del lato maggiore dell’edificio, al tempo più corto e senza sporgenze, al quale, al termine della Grande Guerra, venne aggiunta la cubatura visibile oggi. La falegnameria Faes, che inizialmente si avvaleva di una ruota in legno per ricavare l’energia meccanica, adottò negli anni Trenta una turbina metallica alla quale aveva collegato anche una dinamo per la produzione di corrente continua che gli permetteva di illuminare casa e laboratorio. La turbina, custodita dagli attuali proprietari dell’edificio, è conservata nelle campagne di Fraveggio. Avendo la roggia una portata limitata, al di sopra della cascata, vi era una derivazione con una piccola vasca di carico da cui partiva un tubo che, seguendo la morfologia del terreno, raggiungeva l’edificio e scendeva nel sottosuolo fino al piano interrato della casa dove convogliava il getto d’acqua sopra ad una piccola ruota idraulica metallica, del tipo a cassetta, prima di tornare nuovamente nella roggia. Muovendo una stanga pensile che arrivava all’interno del mulino, l’artigiano riusciva a regolare la posizione del tubo e di conseguenza la quantità d’acqua che cadeva sulla ruota, modificando così la velocità di rotazione dell’albero di trasmissione e dei macchinari ad esso collegati, fino a fermarli. L’artigiano aveva il laboratorio al piano terra fornito di diverse macchine, tra cui: la sega a nastro (detta bindella), la pialla, il tornio e la sega circolare collegate attraverso un sistema di pulegge e cinghie all’albero motore della ruota idraulica situato nel seminterrato. I bambini del tempo ricordano “el Nozent” accedere da una botola al seminterrato dove con un sistema di leve spostava le cinghie da una puleggia all’altra facendo in tal modo funzionare un macchinario diverso al piano superiore. Molti dei suoi attrezzi e dei sistemi di collegamento alle varie macchine erano progettati e costruiti con ingegno da lui stesso. Produceva assi, mobili, serramenti, botti, pavimenti, bare ed una particolare specialità: “scalzi dei sciòpi” (calci di fucile) realizzati su misura, generalmente in legno di ciliegio. Rapporti Mulino - Consorzio Irriguo Interessante il connubio tra falegnameria “del Nozènt” e il consorzio che realizzò l’impianto irriguo per le campagne di Fraveggio. A lavori ultimati, nel 1939, per mantener fede all’impegno di non arrecar danno alla precedente utilizzazione di questo opificio, il Consorzio irriguo comperò un motore elettrico da utilizzare in luogo della ruota idraulica per il periodo da aprile a settembre, quando la roggia veniva utilizzata a scopo irriguo, pagando nel contempo i relativi consumi di energia. Il bello della ruota idraulica era che non consumava acqua: l’acqua faceva girare la ruota producendo energia meccanica, e successivamente anche energia elettrica, poi tornava nella roggia per proseguire il suo corso. In questo caso scorreva a fianco del Vicolo dei mulini e, all’altezza della chiesa, lo attraversava per affiancare il mulino dei Burati. Ora scorre interrata, solo un pezzo della pietra che la copriva nel tratto in cui attraversava il vicolo è ancora lì, nel punto in cui termina la pavimentazione in porfido ed inizia lo sterrato. --- Bibliografia:
  • Antichi mulini di Fraveggio

    Il paese di Fraveggio è attraversato ancora oggi da una roggia che precipita, in forma di cascata, nel terreno sottostante in direzione del Lago di Santa Massenza. L’importanza fondamentale di questo corso d’acqua si rintraccia sia nell’evocativo toponimo “Vicolo dei Molini” sia nei resti di due antichi opifici. Le prime testimonianze, portate alla luce dagli studi del celeberrimo etnografo trentino Giuseppe Sěbesta, si datano al 1545 e ricordano “Un torchio “sotto la fontana” presso l’acquedotto del mulino dei Faes”. Un successivo documento ufficiale del 1553, conservato nell’archivio storico di Vezzano, attesta inoltre che “Giordano "Molesini" da Fraveggio costituisce a favore di Giovanni Maria del fu Giacomo un censo perpetuo di 2 staia di frumento, assicurato sopra un appezzamento di terra arativa, vineata e prativa del valore di 4 staia di semente, sito nelle pertinenze di Fraveggio, in località "su al Molin", al prezzo di 12 ragnesi del valore di 5 lire ciascuno”. Il catasto asburgico, fonte fondamentale e ricca d’informazioni per gli studi trentini, segnala l’esistenza di due mulini a Fraveggio nel 1860. Infine, un ulteriore elemento interessante si ritrova nella relazione statistica della Camera di Commercio e dell’Industria di Rovereto del 1880 che cita la presenza di due mugnai attivi nel borgo. Nel 1933 il neonato Consorzio irriguo di Fraveggio “domanda la concessione dell’acqua della roggia di Fraveggio” dichiarando che “Il compimento delle opere e l’esercizio dell’impianto non danneggerà le due attuali utilizzazioni, - la piccola derivazione per forza motrice del sig. Innocenzo Faes, ed il pubblico lavatoio in piazza di Fraveggio-.” Il mulino Faes a fianco della chiesa non era più in servizio, ma possiamo supporre che sia stato dismesso pochi anni prima poiché Giuseppe Faes, bambino a quel tempo, ricorda che si divertiva ad entrare nella cucina di Vittorina e Luigi (Gigi) Faes, soprannominato “Burat” e, tramite una leva, muovere la doccia esterna in legno che portava l’acqua alla ruota idraulica mettendo così in moto, anche solo per gioco e per brevi momenti, la ruota ormai scollegata dal mulino che si trovava un tempo al piano di sotto. A quanto possiamo ricavare dall’analisi della preziosa ricerca genealogica fatta da Ettore Parisi, il ramo Faes dei “Burati” vanta un’antica origine: i primi registrati con questo soprannome sono i figli di Antonio Faes nato nel 1574. Il buratto è uno strumento per setacciare la farina, soprannome quindi che rimanda alla professione di mugnaio. Fra i Burati, i primi registrati col soprannome “Nocent” sono i fratelli Innocenzo e Vigilio Giacomo nati nel 1810 e nel 1820; della famiglia dei “Nocenti”, poi chiamati “Nozènti”, era l’ultimo mulino attivo a Fraveggio. --- Bibliografia:
  • La roggia di Ciago, o di Valachel, o di Nanghel

    La Roggia di Ciago nasce dalle sorgenti di Valachel a quota 670 e 692 mslm in loc. Mondal e subito alimenta il serbatoio dell’acquedotto irriguo. Nella sua ripida corsa attraverso il paese, lungo la Val dei Molini, un tempo forniva l’energia idraulica necessaria ad una fucina e cinque mulini ed alimentava due lavatoi, uno accanto al mulino Cattoni e uno sull’attraversamento di Via San Rocco. Ora in quel tratto c'è una vasca di decantazione e da Via San Rocco viaggia intubata fin sotto la strada del Pedegaza, passando anche sotto un edificio. Arrivata sotto il paese scende più tranquilla lungo la campagna. Da quanto risulta dal progetto di completa sistemazione dell’alveo del 1908, l’acqua andava allora in gran parte dispersa prima di unirsi alla sorgente di Nanghel, punto in cui assume il nome di Roggia di Nanghel, la cui importanza risulta dalla Carta di Regola di Vezzano del 1574 (Vedi pag 239-240 Il libro delle acque). Al suo arrivo a Vezzano la roggia viaggia intubata fino alla nuova rotatoria del 2006 dove è stata deviata e riportata in superficie in un percorso più lungo per oltrepassare la rotatoria stessa, raggiungere il lavatoio davanti alle scuole e continuare il suo viaggio intubata sotto via Roma. Arrivata alla piazza principale di Vezzano, un tempo veniva deviata verso sinistra, intubata superava l’Albergo Stella d’Oro, tornava in superficie negli orti adiacenti a Via Borgo, si univa ad un’altra sorgente, tuttora attiva, e passando per la campagna di Terra Mare si immetteva nella Roggia Grande. Approfittando dei lavori alla rete fognaria, la roggia di Nanghel, è stata poi intubata insieme alle acque bianche sotto via Roma fino agli Alberoni. Attraversata la strada provinciale, ritorna allo scoperto in località Fossati unendosi alla sorgente Fontanele, proprio dove un tempo c’era il grande lavatoio usato dalle donne del Dos. La roggia attraversa la zona artigianale fra nuovi alti argini in pietra per poi immettersi nella Roggia Grande in località Acque Sparse, prima che essa riattraversi la strada provinciale nel suo viaggio verso Padergnone. Informazioni tratte da:
  • Tracce del mulino Cattoni nel 2018

    Di fianco all'edificio che ospitava il mulino Cattoni si vede il letto della derivazione ripulito ed un'ampia concrezione di travertino, qui chiamato tufo, laddove passava il canale di derivazione che portava l'acqua sopra la ruota, attraverso un canale mobile in legno chiamato "doccia".
  • Pestino a due vasche

    Questo pestino in pietra (pila) del mulino Zuccatti ha due cavità. Grazie all’energia impressa dalla ruota idraulica, due pali di legno con punta in metallo si muovevano alternati su e giù nel pestino senza toccare il fondo ma muovendo vorticosamente i chicchi di orzo o di altri cereali liberandoli così dalla buccia, operazione chiamata pilatura.
  • Pestino ad una vasca

    Questo pestino in pietra (pila) del mulino Zuccatti ha una sola cavità. Grazie all’energia impressa dalla ruota idraulica, un palo di legno con punta in metallo si muoveva su e giù nel pestino senza toccare il fondo ma muovendo vorticosamente i chicchi di orzo o di altri cereali liberandoli così dalla buccia, operazione chiamata pilatura.
  • Le macine Zuccatti

    Tra le macine dismesse dal mulino Zuccatti e abbandonate lungo strada privata che porta al sentiero della "Val dei Molini" ancora due sono ancor oggi (2021) ben identificabili ed una è stata recuperata ed utilizzata come elemento di decoro in una casa privata valorizzando e ricordando l'antica attività molitoria che lì si conduceva.
  • Lastra sopra la derivazione

    Questa lastra di pietra fungeva da ponte lungo il sentiero della "Val dei Molini" sopra la derivazione a servizio dei mulini. Si trova poco sotto l'attuale ponte in legno che attraversa la roggia. Una paratoia a monte permetteva di limitare l'afflusso dell'acqua nella roggia e deviarla nella derivazione a servizio del mulino di legno scomparso e poi a catena dei mulini Zuccatti, Eccel, Cappelletti, tutti forniti di ruote idrauliche del tipo a cassetta, mosse dall’acqua condotta dalla “doccia”, un canale mobile in legno posizionato in modo da formare una cascata ed imprimere così sufficiente forza alla ruota anche in presenza di rogge come questa con una portata limitata.
  • Macina del vecchio mulino di legno

    Grossa macina inferiore abbandonata, sporgente verticalmente dal terreno per metà della sua altezza.
  • Mulino Eccel

    Il mulino Eccel, accuratamente segnalato nel catasto asburgico del 1860, apparteneva alla famiglia di Giuseppe Eccel ed ha smesso la sua attività nei primi anni Quaranta del Novecento. All’esterno è stato posizionato l'antico pestino in pietra da due cavità lì utilizzato. Grazie all’energia impressa dalla ruota idraulica dei pali di legno con punta in metallo si muovevano su e giù nei pestini, muovendo i chicchi dell’orzo o altri cereali liberandoli così dalla buccia.
  • Il mulino di legno scomparso

    Di questo mulino ci sono giunti solo ricordi tramandati per cui non sappiamo datarne l'esistenza. Per quel che ne sappiamo si trovava tra il Mulino Cattoni ed il Mulino Zuccatti, era in legno, macinava la farina, sfruttava una derivazione che poi andava ad alimentare anche i mulini sottostanti e probabilmente apparteneva alla famiglia Zuccatti ancora oggi proprietaria del terreno. Percorrendo la “Val dei molini”, proprio sopra il ponticello che attraversa la roggia è ancora presente una delle macine per metà sporgente dal suolo e subito sotto il ponte una lastra di pietra testimonia il luogo esatto dove passava la derivazione. Nel luogo dove si trova la macina c'è un pezzetto piano che, secondo i ricordi tramandati, ospitava appunto il mulino. Poco sopra giace una grande pietra incavata. Particolarmente preziosa per poter ricordare questo mulino è la testimonianza di Antonia Zuccatti dal minuto 1:59 al 4:20 qui presente:
  • Fucina Lucchi

    Il mulino di Valentino Lucchi, un alto edificio eretto con muri in pietra, era situato un tempo all’altezza della “curva del feràr” località posta nella parte alta del paese sulla strada che porta in loc. Mondal. Ricordato dagli anziani del paese, l’opificio ospitava una vecchia fucina, demolita al termine degli scontri bellici. Questa fu inaugurata sicuramente dopo il 1860, come dimostrano le linee tratteggiate rosse presenti nella mappa catastale asburgica disegnata in quell’anno. All’interno dell’edificio c’era il maglio collegato alla ruota idraulica, il cui martellio acuto si sentiva fino in Gazza, la forgia alimentata dalla “bot de l’òra”, l’incudine e tutta la strumentazione tipica dei fabbri. All’esterno c’era il “travai” per la ferratura di buoi e cavalli di cui si servivano quelli di Ciago ma anche dei paesi del vicinato; al tempo una strada proveniente da Covelo e Monte Terlago arrivava a Ciago poco sopra la “curva del feràr” e nella “val dei molini”. Per garantire un più costante e forte afflusso di acqua alla ruota idraulica, fu costruita poco sopra una vasca di carico dotata di dimensioni considerevoli (larga 3 m, lunga 1,5 m e profonda 70-80 cm) alimentata dal rio Valachel e collegata a un canale di legno chiamato “doccia” che faceva cascare l’acqua sulla ruota. I ragazzi del tempo usavano la “vasca del feràr” per divertirsi e fare il bagno. Ci racconta Ivo Cappelletti che una volta, uscito dalla vasca, non ha più trovato le sue scarpe, qualcuno gliele aveva portate via. Le scarpe erano un bene prezioso, se ne possedeva un unico paio, alla domenica si passavano con la fuliggine in modo che tornassero belle nere. Valentino saliva da Vezzano al mattino e tornava a casa la sera; a mezzogiorno uno dei suoi famigliari gli portava il pranzo. Forse la presenza di un fabbro di Vezzano a Ciago è legata al fatto che sua madre, Albina Zuccatti, era proprio originaria di qui. Verso la metà degli anni Quaranta del Novecento chiuse questa attività; c’è chi lo ricorda scendere col carro pieno della sua attrezzatura e del legname ricavato dallo smontaggio del tetto. I nuovi proprietari del terreno demolirono poi il rudere inutilizzato per non dover pagare le tasse. Sulla curva del feràr ora non rimane nessuna traccia della fucina. L’officina di Valentino Lucchi proseguì poi la sua attività a Vezzano, nella casa di famiglia all’incrocio tra via Borgo e via Ronch, coi figli Mario, Elio e Bruno Lucchi e l’uso di macchinari elettrici. Rimontarono a Vezzano il “travài” poco lontano dal loro laboratorio, nello slargo dei Tecchiolli accanto all’attuale parco giochi. Nel 1959 i contadini di Ciago si dotarono, attraverso la società che gestiva il locale caseificio, di un proprio “travài” che posizionarono nella stradina dietro al caseificio stesso: era più semplice far arrivare lì il maniscalco che portare tutti gli animali a ferrare a Vezzano.
  • Tracce del mulino Cattoni nel 2008

    Poco distante dall'edificio che ospitava il mulino Cattoni si vede il corso naturale della roggia; accanto alla casa: il letto della derivazione, una ampia concrezione di travertino, qui chiamato tufo, laddove passava il canale di derivazione che portava alla "doccia", il perno di una delle ruote idrauliche.
  • Falegnameria Bassetti

    Nell’edificio in Via Borgo 34 Bassetti Quintino e figli, trasferiti qui da Naran, avviarono una falegnameria accanto al mulino, che prima di loro era di proprietà Broschek ed era gestito da Faes Emanuele. Per essere il più possibile autonomi nella loro doppia attività artigianale si dotarono di una segheria veneziana e di una piccola fucina munita di forgia con “bot de l’òra” ad uso interno. Le due ruote idrauliche, che fornivano l’energia necessaria alternativamente a tutte le macchine, erano alimentate da una specifica diramazione della Roggia Grande realizzata con una condotta in muratura ed una chiusa ancora funzionante. L’acqua veniva poi rimessa nella roggia senza alcun consumo. Negli ultimi anni di attività i Bassetti si specializzarono nella fabbricazione di imballaggi per la frutta ed infine, nel 1953, trasferirono la loro attività a Padergnone in via Nazionale 132 dove prima aveva sede un cementificio.